È stato assegnato ieri 19 ottobre il premio Sacharov, ovvero il massimo riconoscimento dell’Unione Europea per la libertà di pensiero. I candidati selezionati dai parlamentari eletti a Strasburgo erano tre: Zelensky e “il coraggioso popolo ucraino”, la Commissione per la verità in Colombia e il fondatore di Wikileaks, Julian Assange. Come prevedibile il premio è andato al popolo ucraino. «Quello di mio marito è una caso politico, Julian è un prigioniero politico, premi come il premio Sakharov fungono da protezione politica e nel suo caso questo premio potrebbe salvargli la vita» aveva dichiarato in un accorato appello la moglie di Assange, Stella Moris. La Conferenza dei capigruppo dell’europarlamento poteva lanciare un segnale forte per richiedere la liberazione di Assange, ma non l’ha fatto.
Il comunicato del Parlamento europeo spiega che il premio è andato agli ucraini perché “non solo stanno combattendo per proteggere le loro case, la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale, ma stanno anche difendendo la libertà, la democrazia, lo stato di diritto e i valori europei sui campi di battaglia contro un regime brutale che cerca di minare la nostra democrazia, indebolire e dividere la nostra Unione”. Argomentazioni apparentemente non molto in linea con le ragione di un premio nato per celebrare persone e organizzazioni che lottano per “i diritti umani e le libertà fondamentali”, considerando che – a prescindere da ogni possibile valutazione di merito – non si può certo affermare che l’Ucraina stia affrontando la guerra preoccupandosi di mantenere inalterate libertà civili e di espressione peraltro già zoppicanti dalle parti di Kiev. In Ucraina da febbraio 2022 gli uomini adulti che rifiutano di combattere sono trattati come disertori, undici partiti di opposizione sono stati messi fuorilegge e tutti i canali televisivi sono stati accorpati in un unico media gestito dal governo. Particolari che fanno risuonare ancora una volta come ambiguo e opportunistico un premio che nella teoria dovrebbe tutelare chiunque si batta per la libertà, ma nella pratica rappresenta sempre più spesso un riconoscimento dato a chi si batte contro i governi considerati nemici dell’Occidente. Basti sapere che nelle ultime sei edizioni, quattro volte il premio è stato assegnato a oppositori del governo russo (lo scorso anno al più celebrato degli avversari di Putin, Alexey Navalny), una agli oppositori del governo bielorusso e una all’opposizione venezuelana, nonostante quest’ultima abbia cercato più volte di attuare colpi di stato violenti.
A nulla è servita la campagna dei comitati per la libertà di Assange che fino all’ultimo hanno cercato di sottolineare come dare il premio al giornalista australiano detenuto nel Regno Unito sarebbe stato un atto di grande coraggio politico con il quale l’Europa avrebbe potuto fare qualcosa di concreto per impedirne l’estradizione negli Stati Uniti, dove rischia fino a 175 anni di carcere. Un ultima lezione di stile e di capacità di vedere il bicchiere mezzo piano è però arrivata dalla stessa Stella Moris Assange in un breve comunicato: «Congratulazioni al popolo ucraino per aver ricevuto il Premio Sakharov. Grazie a tutti coloro che hanno sostenuto la candidatura di Assange. Con la nomina di Julian tra i finalisti, il Parlamento europeo ha inviato un messaggio importante: free Assange NOW»