L’orrore per ciò che sta accadendo e il rifiuto di ciò che potrebbe succedere nel prossimo futuro appaiono gli elementi distintivi del giudizio che sta fornendo il popolo italiano sui drammatici avvenimenti in corso sul fronte di guerra.

Non pare esserci spazio pubblico per qualche vate di rinnovate “radiose giornate di maggio” e le posizioni di convenienza internazionale dei governi non appaiono fondate su un reale e concreto consenso popolare: prima fra tutte quelle dell’invio di ulteriori armamenti sui quali si fonderebbe una nuova escalation bellica.

Inutile scrivere che questa posizione non è filo-questo o filo-quello ma nasce da una insopprimibile idea di pace e di sviluppo che sta nel cuore del nostro popolo e dei popoli europei: anzi proprio la pace, e non le schermaglie dei vari convegni di Bruxelles, rappresenta il vero e solo fondamento possibile per l’unità europea.

La destra ha vinto le elezioni non tanto su di un nazionalismo di tipo “bellico” ma su di una ricerca di “protezione” di tanti ceti sociali in difficoltà e ormai smarriti: alla destra è stato lasciato uno spazio enorme non affrontando i temi della condizione materiale della vita nel nostro tempo.

I partiti della sinistra “naturalmente” pacifista sono stati timidi a proclamare queste verità, anche nel corso della recente campagna elettorale.

Era possibile appoggiarsi meglio a due pilastri e trovare così una migliore tensione unitaria.

Il primo pilastro è quello rappresentato dai settori cattolici impegnati in questo campo richiamandosi ad appelli che arrivano direttamente dalla loro suprema magistratura (a volte sembra di risentire “l’inutile strage” di Benedetto XV) e il secondo da quei riferimenti alla storia socialista che ancora si collocano nella scia del rifiuto dei crediti di guerra di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht e poi alle conferenze di Zimmerwald e Kienthal fino alla lotta dei “partigiani della pace” contro l’escalation nucleare (oggi tornata tragicamente d’attualità) e la battaglia contro i missili d’Occidente e d’Oriente negli anni’80.

Ci si è presentati invece pieni di buone intenzioni ma poste dentro a contenitori di sostanziale “indeterminatezza populista”.

E’ necessaria un forte iniziativa a livello internazionale perché ci ponga come obiettivo il rilancio delle grandi organizzazioni sovra – nazionali e la loro democratizzazione in un mondo completamente cambiato rispetto a quando fu fondata l’ONU.

La manifestazione del 5 novembre dovrà rappresentare la vera e propria cartina di tornasole della forza dell’idea di pace mostrandone anche la necessaria estensione di massa: certo ci sono da compiere dei passi indietro e qualche passo avanti e non sarà facile.

Non ci sono alternative se intendiamo restare umani.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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