Demostenes Floros: “Ridiscutere le sanzioni o andremo incontro alla rabbia sociale”Demostenes Floros è un analista geopolitico ed economico e Senior Energy Economist presso il CER, Centro Europa Ricerche, autore del libro “Crisi o transizione energetica? Come il conflitto in Ucraina cambia la strategia europea per la sostenibilità”. Negli ultimi mesi si è distinto per la capacità di argomentare analisi indipendenti, anche all’interno dei salotti televisivi, distinguendosi tra le rare voci dissonanti nel concerto del mainstream. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per una chiacchierata sulla situazione che colpisce l’Italia e l’Europa sul fronte economico ed energetico.

Bollette alle stelle, rischi di approvvigionamento, possibili razionamenti energetici: la narrazione televisiva tende a individuare come causa scatenante il conflitto in Ucraina e le sanzioni verso Mosca, tuttavia i prezzi avevano cominciato a salire ben prima dell’inizio della guerra: quando e perché i prezzi del gas hanno cominciato a salire?

In Europa si è registrato un chiaro e significativo aumento del prezzo del gas naturale a partire dal marzo 2021. A mio avviso vi sono tre macro-cause: in primo luogo le i cosiddetti fattori di mercato, dopo la crisi da lockdown la domanda in Europa è cresciuta in modo significativo, del 6%, mentre le capacità di approvvigionamento sono in costante e continuo calo ormai da 10 anni. Il secondo fattore invece è riconducibile a fattori geopolitici, i principali sono il sabotaggio del progetto South Stream (il gasdotto che dalla Russia avrebbe dovuto condurre il gas in Europa attraverso l’Italia, ndr.) e poi del Nord Stream 2. Il terzo fattore è quello dei limiti della transizione energetica, ovvero l’insufficiente densità di potenza e l’intermittenza delle fonti rinnovabili, nonché le politiche per il contenimento delle emissioni di co2. Se dovessi però indicare una causa sopra a tutte le altre non avrei alcun dubbio ad indicare come principale causa dell’aumento dei prezzi il fattore speculativo, reso possibile dalla scelta europea di abbandonare il sistema che legava il prezzo della materia prima a quanto stabilito da contratti di fornitura di lungo periodo con i Paesi produttori, per renderli variabili in base ai meccanismi della domanda e dell’offerta stabiliti presso la cosiddetta borsa di Amsterdam.

Quando e per quale ragione si decise di passare alla quotazione del prezzo del gas tramite il TTF?

Questo cambiamento è stato fortemente richiesto da tutti i Paesi europei e dalla Commissione europea su spinta degli USA con l’obiettivo di ridurre la rendita mineraria della federazione russa. I contratti gas su gas nascono oltre 10 anni fa. È vero che il prezzo nel mercato gas su gas nel decennio trascorso sono stati minori rispetto ai contratti di lungo periodo, d’altra parte i contratti davano delle garanzie sulla quantità del gas ricevute e di prezzi stabili. Questo era nell’interesse dei Paesi consumatori, tant’è che i contratti di lungo periodo si erano diffusi dopo la crisi petrolifera degli anni ‘70 su spinta dei Paesi consumatori. Alcuni economisti stimano che nel decennio trascorso il prezzo dei contratti alla borsa di Amsterdam, quindi quelli gas su gas, abbiano fatto risparmiare all’incirca 70 miliardi di euro e questo può anche darsi che sia vero. Il problema è che già nel 2021 di questi 70 miliardi, 30 si sono polverizzati. La situazione si è ribaltata, cioè i gas su gas sono diventati più costosi e immagino che già a settembre 2022 i restanti 40 miliardi siano stati anch’essi polverizzati. Per cui è stata una scelta sciagurata dell’UE.

Accennava anche al fatto che questo cambiamento è avvenuto anche su spinta degli USA. E qui credo che entriamo anche poi nel quadro geopolitico di quella che è la situazione attuale. Nel senso che l’impressione è appunto quella che gli Stati Uniti siano riusciti negli ultimi mesi, specialmente dopo lo scoppio della guerra in Ucraina a portare a termine un disegno che cercavano di mettere in atto da tempo, ovvero porre una frattura insanabile tra Europa e Russia. È corretto affermare che gli USA siano il Paese che più sta guadagnando dalla situazione anche dal punto di vista economico?

Non c’è alcun dubbio. Basta guardare gli effetti delle sanzioni che colpiscono una sponda dell’Atlantico in maniera drammatica e non l’altra. D’altra parte gli USA hanno messo in campo da tempo il sabotaggio delle linee di approvvigionamento dalla Russia all’Europa, dal South Stream,  progetto che era d’interesse strategico per l’Italia, fino al Nord Stream2. Gli USA hanno raggiunto un risultato geopolitico, allontanando l’Europa dalla Russia, ed uno economico, perché le forniture di gas russo ci stanno venendo sostituite in parte dal gas liquido estratto negli Stati Uniti, che è più costoso e molto dannoso dal punto di vista ambientale, visto che è prodotto attraverso la devastante tecnica della fratturazione idraulica.

In questo scenario che panorama si aspetta per l’economia europea nei prossimi mesi?

I dati sono già evidenti nella lora gravità. Ci sono due scenari possibili. In quello ottimista riusciremo a passare l’inverno sostituendo il gas russo con altri fornitori, lo pagheremo molto di più e quindi avremo una crisi per molte nostre imprese che non potranno competere sui mercati internazionali con quelle americane. In quello pessimistico, invece, andremo incontro a un ulteriore processo di deindustrializzazione dell’Europa. Già i primi dati indicano la possibilità di perdere oltre 500.000 posti di lavoro nei prossimi mesi.

I sostenitori delle sanzioni contro Mosca affermano che questo sforzo servirà a porre fine alla guerra, costringendo Putin al ritiro per evitare il collasso economico, ipotizzando che la Russia sia già in fortissima difficoltà economica, cosa ne pensa?

Quando vennero approvate le prime sanzioni ricordo leader italiani ed esteri sostenere che nel giro di qualche giorno avremmo visto il crollo della Federazione Russa. Siamo a sette mesi e mezzo e l’economia della federazione russa non è crollata. Questo non significa certo che non vi siano problemi per Mosca, ma i dati ci dicono che se le stime fornite a marzo prefiguravano un crollo del pil russo del 10-15% nel 2022 oggi queste si muovono verso una forbice dal -4 al -6%, mentre le stime per il 2023 vanno verso il segno positivo. Questo mentre i dati relativi all’UE vedono sempre più concretamente l’ipotesi di recessione. I dati macroeconomici russi ci parlano di una Russia con una bilancia commerciale a livelli record e di una inflazione alta ma sotto la doppia cifra, che invece l’Europa ha superato. Da ultimo è interessante notare che la Banca Centrale Russa stia continuando a diminuire i tassi d’interesse, a dimostrazione di come la situazione sia ritenuta sotto controllo. Chiaro che la situazione dell’economia russa sia decisamente diversa da quella che i nostri leader prospettavano nelle loro dichiarazioni pubbliche. Questo è quanto ci dicono i dati, dopodiché esistono anche altri analisti, come quelli dalla Harvard University, che prevedono che sul lungo periodo le sanzioni porteranno al collasso dell’economia russa, ma date le condizioni ragionare sul lungo periodo mi pare fuorviante.

Anche perché presupporrebbe la capacità europea di mantenere le sanzioni sul lungo periodo. Ci affacciamo all’inverno e si leggono ipotesi di ogni tipo, alcuni analisti disegnano scenari catastrofici per l’approvvigionamento energetico italiano, altri invece sono rassicuranti sottolineando come le riserve di gas siano attualmente sopra l’80%, ritenuto il livello di guardia. Che inverno si devono aspettare gli italiani?

Un buon livello di scorte sono una precondizione necessaria ma non sufficiente per superare l’inverno. Considerando che, ad oggi, le aziende europee stanno esportando quasi al massimo delle loro capacità, io temo che l’Italia e l’Europa necessiteranno comunque delle forniture russe. Questo a meno che non vi sia una forte riduzione della domanda, grazie ad un inverno particolarmente mite, o per effetto di razionamenti che avrebbero effetti economici e sociali imprevedibili. È vero che il nostro Paese ha una maggiore diversificazione energetica rispetto ad altri Stati europei come la Germania, che non ha i rigassificatori e che non ha la nostra diversificazione, ma questo non ci pone al riparo. Quindi prevedo una stagione invernale molto complicata.

Una delle possibili soluzioni prospettate è il cosiddetto Price Cap sul quale si è detto di tutto: inizialmente lo volevano solo l’Italia e pochi altri Paesi, poi improvvisamente sembrava esser diventata questione di assoluta urgenza e che l’UE fosse sul punto di approvarlo, ora è stato rinviato e non si sa se verrà mai messo in campo né in quale forma. Cosa pensa a riguardo, sarebbe una misura efficace?

Francamente anch’io non sono riuscito a capire quale sarebbe la formula del Price Cap progettato dall’Unione. Nell’ipotesi in cui si procedesse alla sua attuazione credo che la risposta russa sarebbe una immediata interruzione delle forniture con tutte le conseguenze di cui parlavamo precedentemente. Un altro aspetto di cui noi dobbiamo invece tener conto sono gli interessi divergenti che esistono fuori e dentro i confini nazionali perché noi abbiamo visto i Paesi del sud Europa che erano i gran parte favorevoli, ma molti nel nord sono contrari, a cominciare dai Paesi Bassi che hanno interessi riconducibili alla borsa europea del gas ed ha Paesi produttori come la Norvegia. Detto questo il mercato del gas non è come quello del petrolio che ha un unico mercato globale, per il gas esistono diversi mercati regionali tra nord America, Europa e Asia. Il gas naturale liquefatto va dove lo porta il miglior prezzo, quindi il rischio sarebbe che il GNL americano prenda la via dell’Asia, come da Washington si sono già premurati di avvisare. Quindi sarebbe nella migliore ipotesi una misura valida per pochi mesi.

Intanto il dibattito politico italiano si divide sulle mosse da fare per aumentare la produzione nostrana di energia, tra chi punta tutto sulle rinnovabili e chi crede che sia necessario un ritorno al nucleare, qual è la sua opinione?

Il nostro Paese nel proprio paniere energetico prima della crisi aveva il 43% di gas naturale, quasi totalmente importato dalla Russia, e oltre il 10% di produzione da fonti rinnovabili, un quadro in linea con gli obiettivi della transizione energetica. Detto questo, bisogna capire che al momento le rinnovabili non sono pronte per coprire il nostro fabbisogno. Servono investimenti enormi e un salto di livello tecnologico per rendere plausibile che sostituiscano le fonti fossili. Non a caso secondo gli obiettivi di transizione il gas naturale era visto come fonte di passaggio tra le fossili e l’energia rinnovabile, grazie ad un impatto molto inferiore al petrolio in termini di emissioni di co2. Su questo bisogna essere chiari. Inoltre, dietro allo sviluppo delle rinnovabili all’orizzonte si impongono anche altre contraddizioni di natura geopolitica, date dal fatto che le rinnovabili necessitano di materie prime che sono in gran parte in mano a Paesi esteri, in primis la Cina. Riguardo al nucleare invece credo che l’Italia abbia fatto l’errore di abbandonare non solo la produzione dopo il referendum del 1987, ma anche la ricerca. Il risultato è che ad oggi non abbiamo minimamente le conoscenze necessarie per avviare una produzione nazionale. Inoltre, anche risolto questo problema, il nucleare di quarta generazione di cui si parla tanto è una tecnologia ancora in fase di sviluppo e serviranno anni prima che possa diventare realtà. Si parla di possibili soluzioni a medio-lungo termine, che non potranno aiutarci a superare la crisi in corso.

Intanto, non sapendo come risolvere la questione, si pianificano razionamenti dei consumi per famiglie e imprese, dopo due anni di restrizioni pandemiche all’orizzonte si affacciano le restrizioni energetiche. Eppure i consumi civili rappresentano una quota minoritaria dei consumi totali di energia…

Temo che l’efficacia di queste misure sia piuttosto relativa. Nel senso che qui noi dobbiamo raccontare contestualmente il dato relativo al consumo di gas naturale nel settore manifatturiero. Non basterà assolutamente abbassare il termosifone di un grado o due, di spegnere le luci e farsi la doccia fredda. Quindi noi dovremo avere dei veri razionamenti dell’energia e ridurre la produzione. Questa è la gravità della situazione e guardi che se noi analizzassimo i dati relativi ai consumi di gas naturale del settore manifatturiero, noi osserveremmo che un meno 8,1% era già indicato nel primo trimestre. Cioè, l’attività del settore manifatturiero del nostro Paese era già calata nel primo trimestre del 2022 e questo a causa dei prezzi alti già registrati nel 2021. Nel quadro attuale il rischio è che il razionamento possa pure diventare superfluo, nel senso che saranno le aziende a smettere di consumare senza ricevere l’ordine, perché cesseranno la produzione per i costi insostenibili delle bollette.

Mi pare che abbiamo disegnato un quadro che appare senza via d’uscita, tolta la possibile ricerca di una soluzione diplomatica della crisi ucraina e un conseguente ritorno a rapporti commerciali con la Russia, o esiste un’alternativa?

Guardi, le vie che vedo sono solamente due le due che ha colto: o procediamo con i razionamenti e tutto quello che possono comportare, o si ridiscute il tema delle sanzioni a Mosca. Non vedo alternative. E se non si tornerà sulla seconda opzione io, al posto dei governanti europei, sarei alquanto preoccupato dalla rabbia sociale cui potremmo andare incontro nei prossimi mesi.

[di Andrea Legni]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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