L’affaire Berlusconi ci indirizza un messaggio claustrofobico. Bisogna stare attenti a come si parla. Occhi e orecchie sono lì a riempire taccuini qualora le parole pronunciate seguissero un ragionamento critico, lontano dalla logica binaria.
Attento! Il nemico ti ascolta: l’affaire Berlusconi
Come si fa a passare in un men che non si dica dall’essere considerato un baluardo liberale, avamposto della democrazia in una trincea assediata da nostalgici dell’olio di ricino a un pericoloso infiltrato della catena oligarchica russa? Da fedele osservante della catechesi draghista a guitto compagno di sbornie di Vladimir Putin?
Non appena appare all’orizzonte uno scenario nel quale il centro del sistema, quel partito che da decenni offre garanzie di stabilità, che più di tutti gli altri si aggomitola nel proprio estremismo di mercato, si allontana dal Governo, ecco che compaiono dossier improvvisi, giornalisti d’inchiesta coraggiosi. Che tendono a riscomparire quando l’ordine è ricomposto da un nuovo Governo d’emergenza. Nel quale tutti partecipano con ansia di ligia obbedienza ai pieni poteri del tecnico competente. Pieni poteri oggi conditi dalla guerra.
Cosa ha detto quindi quel claudicante impostore, primo privatizzatore delle Istituzioni, nella sua spicciola mentalità aziendale? Quel Berlusconi che si aggira nei palazzi mostrando la propria espressione caricaturale? Con il piglio confidenziale che precede un briefing mattutino ha spiattellato una manciata di verità
Per esempio che la progettazione, l’espansione di questa guerra è il frutto di una regia occidentale. Di lunga durata. E che Zelensky no, non è un eroe, ma un pericoloso esaltato, animato da pulsioni psicotiche, molto assonanti alla mentalità nazional-socialista. Che forse, proprio perché quella mentalità trova nella guerra una nuova legittimazione, sarebbe stato il caso di destituirlo, in qualche modo.
Ma queste verità nelle virtuose democrazie di mercato e di guerra, proprio non si possono dire. Lo sa bene il reporter Giorgio Bianchi, che l’Ucraina la frequenta dall’inizio delle ostilità, quindi dal 2014, perquisito in una stanza d’albergo in piena notte, senza mandati e senza notizie di reato.
L’affaire Berlusconi ci indirizza un messaggio claustrofobico. Bisogna stare attenti a come si parla. Ma non nella sfera della diplomazia di Stato, dove la verità non si sposa con l’accortezza professionale. Bensì nelle conversazioni comuni, nelle riunioni di partito, nelle lezioni universitarie. Occhi e orecchie sono lì a riempire taccuini qualora le parole pronunciate seguissero un ragionamento critico, lontano dalla logica binaria (e falsa) dell’aggressore e dell’aggredito.
Quella logica dalla retorica puerile che non ammette soluzioni di pace. Stampo discorsivo in grado di esaltare la purezza della battaglia. Delle macerie e del sangue versato