Che cosa c’è dietro il cambiamento di nome del Miur in Ministero “dell’Istruzione e del merito”
[Manifesto dei 500]
Nomina sunt consequentia rerum…
Quando il Ministero della Pubblica Istruzione venne da Berlinguer cambiato in “Ministero dell’Istruzione”, la scomparsa di “pubblica” portò con sé la Legge di parità, l’Autonomia Scolastica con l’ingresso dei privati, i tagli alla scuola statale, la “concorrenza” tra le scuole. Fu la porta aperta alle Leggi Moratti e Gelmini e poi alla “buona” scuola di Renzi
Un tratto comune a tutte queste contro-riforme fu il mantra del presunto “merito”, dietro al quale si nasconde l’attacco alla libertà d’insegnamento, riconosciuta costituzionalmente, elemento base delle democrazie, e il tentativo di far esplodere l’unità della categoria dei docenti, quindi il contratto nazionale.
Dal 1999, quasi tutti i governi hanno provato a scardinare questi due elementi, compreso l’ultimo di Draghi, senza tuttavia riuscirci per la mobilitazione e la resistenza che il mondo della scuola ha regolarmente attuato, a partire dagli scioperi storici contro il “concorsone” di Berlinguer del 17 febbraio 2000 e contro il “bonus” di Renzi del 5 maggio 2015.
Ora, Meloni decide di cambiare addirittura il nome del ministero, che diventa “dell’Istruzione e del merito”. Potrebbe sembrare semplicemente ridicolo: è come se il Presidente della Repubblica diventasse di colpo “Presidente della Repubblica e dell’equità”, oppure “Presidente della Repubblica e della prosperità”.
Ma la cosa è in realtà grave.
Nomina sunt…: con la Meloni, un’istituzione (il Ministero dell’Istruzione) si confonde con un programma. Una parte politica tende a diventare istituzione. Un vecchio vizio di qualcuno… Vizio che però, benché non siamo alla vigilia del fascismo, non può far (solo) (sor)ridere: è un altro segno dello svuotamento della democrazia e della volontà di imporre a tutti i costi le proprie idee.
Di quale “merito” si parla?
Nel programma di Fratelli d’Italia troviamo: potenziamento delle scuole paritarie, voucher per le famiglie da poter spendere a scelta nelle statali o nelle paritarie, riduzione di un anno della scuola superiore, apertura ai privati per la scuola statale. Poi, naturalmente e come d’abitudine nel bla bla bla di tutti i programmi di tutti i governi, c’è la “valorizzazione dei docenti con avvicinamento agli stipendi europei”. Ma ad una condizione: la formazione continua.
E qui il gioco dell’oca riparte da capo, da Berlinguer, dalla Gelmini, da Renzi, da Draghi: volete uno stipendio decente, cari insegnanti? Piegatevi alla distruzione della libertà d’insegnamento.
E sì, perché l’ “aggiornamento” di oggi non è quello delle discipline, del sapere, della libera ricerca didattica e del confronto sui metodi: è quello ministeriale, dell’indottrinamento per imporre una didattica di regime, orientata a distruggere le discipline a favore di una scuola-animazione nella quale un po’ si lavora, un po’ si fanno “esperienze”, un po’ si parla di problemi sociali e personali in modo generico e propagandistico, un po’ si seducono gli allievi, il tutto in modo naturalmente “tecnologico”.
Per fortuna, tra il dire e il fare, c’è tutto lo spazio della lotta, più attuale che mai. Prepariamoci