Corrono tre chilometri in linea d’aria tra Montecitorio e piazzale Aldo Moro. Mentre alla Camera Giorgia Meloni teneva il suo primo discorso a deputate e deputati, nella cittadella universitaria de La Sapienza decine di agenti della celere e della Digos manganellavano un gruppo di studenti antifascisti.

Il presidio era stato chiamato dal Collettivo di Scienze politiche il giorno precedente: appuntamento alle 10 per protestare contro il convegno «Capitalismo, il profilo nascosto del sistema» organizzato da Azione Universitaria, gruppo studentesco che – nel profilo Facebook – vanta di essere «l’unica associazione di Destra nel panorama universitario romano».

Ospiti Daniele Capezzone, ex portavoce di Forza Italia e Fabio Roscani, presidente di Gioventù nazionale e neo-deputato di Fratelli d’Italia. Una conferenza autorizzata dalla Facoltà di Scienze politiche che ha concesso l’aula XIII, dedicata a Massimo D’Antona.

«Azione Universitaria è un’organizzazione legata a FdI», ci dice Sofia del Collettivo di Scienze politiche. Con una buona dose di ambiguità: ufficialmente non si definiscono tali, ma i suoi membri – ci dicono – per lo più hanno in tasca la tessera di FdI e della Lega.

E la pagina Fb conferma le simpatie: in un post del 28 settembre AU definisce quello di Meloni «il partito che raccoglie la tradizione storica e culturale della Destra italiana…orgoglio per il fatto che le idee per cui ogni giorno ci battiamo nelle università abbiano una forte rappresentanza nazionale».

Il resto lo raccontano le immagini che ieri hanno riempito i social media e le chat su Whatsapp: all’improvviso la celere ha iniziato a manganellare i manifestanti. Diversi i feriti, colpiti alla testa e alle gambe.

Un giovane è stato trascinato a terra dagli agenti con violenza e ammanettato, pochi minuti dopo è stato portato dentro l’edificio e identificato. Accusato di voler aggredire gli agenti con un’asta di plastica.

«Quando siamo arrivati alle 9 – continua Sofia – abbiamo trovato la facoltà blindata. L’accesso era bloccato dal cancello chiuso e dagli agenti schierati con caschi, scudi e manganelli».

«Volevamo contestare la presenza di Roscani e Capezzone in un convegno che giustifica l’attacco di quel poco di welfare che rimane – aggiunge Fabio, dello stesso Collettivo – Verso le 10 abbiamo iniziato una serie di interventi e il cortile si è riempito. Abbiamo deciso di contestare la chiusura fisica dell’ateneo apponendo gli striscioni sulle grate. La polizia ha reagito caricandoci per 15-20 minuti».

«Fuori i fascisti dalla Sapienza. Antifascismo è anticapitalismo», diceva lo striscione alla testa del corteo. E «fuori i fascisti dall’università» è lo slogan che risuonava mentre la polizia picchiava.

«Abbiamo chiamato a un’assemblea pubblica subito dopo, eravamo 300-400 studenti – continua Sofia – Poi siamo partiti in corteo verso il rettorato per chiedere conto alla rettrice Polimeni dell’ingresso della celere nell’università. Ha rifiutato di incontrarci».

La mobilitazione prosegue, i collettivi hanno chiamato a una nuova assemblea pubblica domani alle 17 nel campus: «Giovedì – prosegue Fabio – sarà la prima tappa di un processo di auto-organizzazione dal basso perché l’università sia un luogo di resistenza. Siamo partiti in 50 oggi, abbiamo finito in 400. Nell’ultimo anno sono stati sgomberati spazi universitari autogestiti o anche concessi, con la motivazione che non ci possono essere spazi di parte».

La rettrice Antonella Polimeni ha poi preso parola. Non con gli studenti ma con una nota: «Vista la particolare veemenza delle proteste di un gruppo di persone intenzionate a entrare in aula per interrompere il convegno, il dirigente del servizio predisposto dalla Questura di Roma ha deciso di intervenire per garantire la sicurezza collettiva. L’Università deve essere un luogo in cui si studia, si cresce, in cui bisogna incontrarsi e confrontarsi».

Il confronto appare però a senso unico. Se come ribadisce Polimeni il convegno di AU era «regolarmente autorizzato», lo stesso trattamento non è stato riservato all’iniziativa di venerdì 28 ottobre sul Kurdistan: ospiti la parlamentare curda svedese Aminah Kakabaveh (minacciata dal governo turco che ne ha chiesto ufficiosamente l’illegale estradizione alla Svezia in cambio del via libera all’ingresso nella Nato di Stoccolma), Moni Ovadia e il responsabile di Uiki, Yilmaz Orkan.

Si svolgerà all’esterno dell’università: la Facoltà di Scienze politiche non ha concesso aule. Il motivo addotto dal preside Tito Marci, secondo quanto verificato dal manifesto, è l’assenza di contraddittorio: necessario garantire anche le posizioni della Turchia per evitare incidenti diplomatici.

«Con la niova rettrice La Sapienza si pone come università innovativa e progressista – conclude Fabio – ma è una narrazione solo mediatica: quando si parla di Kurdistan, Palestina o spazi autogestiti rispondono sempre con la necessità della presenza della controparte».

Una “pluralità” di posizioni che nel caso degli esponenti della destra italiana non c’è stata. C’era nel marzo scorso: il rettorato negò lo spazio per presentare il rapporto di Amnesty International sull’apartheid israeliana (cinque anni prima lo stesso: un’altra iniziativa sulla Palestina impedita perché «discriminatoria»).

«Lo vediamo, l’università è schierata – continua il Collettivo di Scienze politiche – Dà spazio alla destra, agli antiabortisti come Pillon, ai razzisti».

Tante le reazioni ieri. Flc Cgil ha definito «inaccettabile la reazione della polizia»: «Non tolleriamo mai che il dissenso venga represso con la violenza e che questo avvenga all’interno dei luoghi della formazione».

Filippo Zaratti, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra italiana ha fatto sapere che presenterà un’interrogazione parlamentare sulle cariche agli studenti. Lo stesso farà +Europa.

«Mentre il neo-governo Meloni esordisce alle Camere, lo spazio dell’università diventa teatro della peggiore repressione», il commento di Amedeo Ciaccheri, presidente del Municipio VIII di Roma. A Montecitorio il leader 5stelle Giuseppe Conte si è detto preoccupato nel «vedere le immagine di cariche e manganelli alla Sapienza». «Gruppettari che si professano democratici», risponde la Lega. Ovviamente riferendosi ai collettivi antifascisti.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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