Una grandissima lezione di scienza politica da un eccezionale protagonista del conflitto sociale a livello internazionale: Stedile leader del movimento dei lavoratori agricoli senza terra ci spiega, a partire da un’attenta analisi dello scontro politico importantissimo che si combatte nel suo paese, come l’umanità sia sempre più davanti a un bivio, in quanto il capitalismo in una crisi strutturale e privo di vie di uscita rischia di condurre il genere umano all’estinzione, fra devastazione dell’ambiente e guerre sempre più distruttive, nel vano tentativo di rilanciare l’accumulazione capitalista.
di Renato Caputo 28/10/2022 Esteri
Credits: https://www.infoaut.org/notes/sem-terra-la-lotta-per-la-terra-va-incontro-alle-citta
Domenica 23 ottobre si è svolto un incontro estremamente interessante con João Pedro Stédile leader del Movimento dei Sem Terra (Mst) e di Via Campesina, organizzato dal Comitato Mst e ospitato da Rifondazione comunista. Stedile è certamente uno dei pochissimi uomini viventi che Hegel definirebbe di portata storica universale e probabilmente il più importante dirigente del movimento di lotta dei braccianti agricoli a livello internazionale. Al contrario della netta separazione hegeliana fra uomini d’azione e uomini di riflessione Stedile, da vero marxista, l’incarna entrambi nel migliore dei modi. Purtroppo al momento in Italia non abbiamo un uomo politico e un teorico marxista di questa caratura internazionale.
Naturalmente Stedile parte dalla crisi economica strutturale del sistema capitalistico che colpisce il Brasile dal 2014, la peggiore nei suoi cinquecento anni di storia. Peccato che non metta in evidenza o dia per scontato che si tratta di una crisi che colpisce da molti più anni i paesi a capitalismo avanzato e che sia una crisi di sovrapproduzione. La crisi oltre, a provocare fino ai giorni nostri la stagnazione dell’economia brasiliana, ha fatto sì che circa settanta milioni di proletari sono precipitati o sono in procinto di precipitare nel sottoproletariato, divenendo disoccupati o sottoccupati e, in ogni caso, completamente precari e privi di una fonte di reddito fisso. Si tratta di una popolazione sterminata, superiore a quella dell’intera Italia che si è ritrovata quasi da un giorno all’altro in mezzo a una strada. Questo numero spaventoso di individui è così entrato a far parte in pianta stabile dell’esercito industriale di riserva nelle sue tre forme: stagnante, latente e fluttuante.
Si tratta di una crisi complessiva che, dall’ambito economico e sociale, si è presto estesa sul piano politico, culturale e ambientale. Anche in questo caso occorre aggiungere che si tratta di una situazione comune da tempo ai paesi a capitalismo avanzato, a cominciare dal nostro. In particolare nel caso del Brasile, un paese del terzo mondo essenzialmente sottosviluppato, la crisi è stata anche imposta dall’esterno, dal grande capitale finanziario transnazionale, precisiamo noi, per depredare il paese delle sue straordinarie risorse naturali. Si tratta di un grande crimine internazionale più in generale nei confronti dell’ambiente, che ha colpito in modo particolare l’agricoltura.
La borghesia brasiliana, e aggiungiamo noi internazionale, si è dimostrata del tutto incapace di far fronte a tale crisi economica e sociale, per cui essa non poteva che produrre anche una crisi politica, particolarmente grave in Brasile dove si sono susseguiti ben quattro colpi di Stato soft da parte della classe dominante. Il primo ha colpito l’ultima presidente del paese di sinistra, per quanto moderata, che è stata destituita, sebbene la stessa giustizia borghese brasiliana ha dovuto ammettere che non aveva commesso alcun crimine. Il secondo colpo di Stato soft è quello che ha imposto il vicepresidente Temer, succeduto dopo la destituzione di Dilma Rousseff, che sebbene non eletto non ha esitato a sfruttare la propria posizione per demolire le principali conquiste dei lavoratori e dei subalterni, conquistati dopo la fine della dittatura militare della destra radicale. Il terzo colpo di Stato è stato commissionato direttamente dalla Cia e ha portato all’arresto preventivo del più importante dirigente della sinistra brasiliana, l’uomo politico più popolare del paese che avrebbe vinto senza problemi, secondo tutti i sondaggi, le prossime elezioni politiche. Come chiarisce Stedile, è stato applicato il consueto piano che la Cia ha utilizzato per rovesciare governi non proni ai suoi interessi. Il piano, ideato dall’estrema destra tedesca, consiste nel preoccuparsi innanzitutto di arrestare il proprio avversario politico e solo quando lo si avrà nelle proprie mani ci si porrà il problema secondario di scovare una qualche giustificazione. Stedile ha ricordato come tale procedimento sia stato attuato più volte per conto della Cia anche nelle più recenti vicende politiche che hanno travolto dirigenti politici della sinistra latinoamericana, a partire dall’ecuadoriano Rafael Correa.
Infine il quarto colpo di Stato soft, realizzato dalla destra brasiliana, è stata l’imposizione, nelle elezioni politiche del 2018 di un presidente neofascista e lumpen, cioè sottoproletario, come Stedile ha definito Bolsonaro. Stedile ha fatto a questo punto un parallelismo con il nuovo governo italiano. Più in generale dal discorso di Stedile si potrebbe concludere che la borghesia, sul piano internazionale, non avendo soluzioni per la crisi economica, che tende a divenire sistemica, finisce per favorire governi della destra più radicale.
In Brasile sono stati quattro anni in cui un governo neofascista ha portato avanti dei pesantissimi attacchi sul piano economico, sociale e politico ai ceti sociali subalterni. Più in generale Stedile è sembrato far riferimento a una contraddizione interna alla classe dominante, alla borghesia non solo brasiliana, che si vede costretta – per far fronte a una crisi che dal piano economico diventa sempre più una crisi ambientale e di civiltà – a dover ricorrere a uomini e forze politiche della destra sempre più estrema e/o radicale.
Si tratta, più nello specifico, di una contraddizione nella classe dominante, anche perché mentre nelle elezioni del 2018 la borghesia aveva compattamente appoggiato il candidato di estrema destra Bolsonaro ora è divisa in tre parti, fra chi vuole continuare a puntare sulla destra radicale, chi opterebbe per una opzione di destra più moderata e chi preferirebbe Lula. Del resto tale tripartizione si è oggi riprodotta all’interno della stessa classe dirigente statunitense, con i sostenitori di Trump schierati con Bolsonaro, democratici e repubblicani moderati per un esponente della destra tradizionale, e i democratici più progressisti pronti a sostenere Lula.
Per quanto riguarda il ceto medio, che Stedile tende a identificare con la piccola borghesia, in Brasile nel 2018 si era schierato al 90% con Bolsonaro, mentre oggi sarebbe, trainato dal ceto medio riflessivo, al 90% dalla parte di Lula. Mentre la classe lavoratrice resta divisa. La parte più priva di coscienza di classe e più destabilizzata dalla crisi era già stata uno strumento del primo colpo di Stato soft della borghesia, considerando a torto Dilma Rousseff come causa della crisi che iniziava a travolgere il paese.
Più in generale i lavoratori restano divisi non solo per la scarsa coscienza di classe, ma perché la sinistra brasiliana, come in diverse altre parti del mondo, non critica il capitalismo, ma pretende di poterlo governare. Così i rapporti ambigui del governo Rousseff con il grande capitale finanziario, reale responsabile della crisi, hanno fatto sì che quando è finita sotto attacco da parte dei poteri forti, non è stata adeguatamente sostenuta da i ceti subalterni.
Nelle attuali elezioni i rapporti di forza sono tornati a essere favorevoli alla sinistra in Brasile, che solo per un misero 1% non è riuscita a far eleggere il suo rappresentante al primo turno, sebbene Lula abbia preso sei milioni e mezzo di voti più del suo principale avversario Bolsonaro. Più in generale, al contrario di quanto si è fatto credere in Italia, Stedile rivela che le recenti elezioni hanno visto una buona affermazione della sinistra che ha aumentato il numero dei propri governatori e anche dei propri rappresentanti nelle istituzioni, prima ancora che numericamente, qualitativamente, con esponenti con posizioni più decisamente di sinistra dei precedenti.
Certo non aver vinto, come si sperava, al primo turno lascia con l’amaro in bocca. D’altra parte bisogna considerare che la campagna elettorale di Bolsonaro non solo sia stata sapientemente orchestrata, ma ha potuto giovarsi di una costante minaccia di violenza che ha costretto i sostenitori della sinistra a non potersi esporre più di tanto nella campagna elettorale. Stedile parla a tal proposito di una strategia internazionale della destra radicale, ideata e diretta da Steve Bannon, pronta a ricorrere ai metodi squadristi per intimidire e impedire ai sostenitori della sinistra di sostenere pubblicamente le proprie posizioni.
Peraltro l’internazionale della destra radicale dopo la scottante sconfitta nelle elezioni colombiane, ha puntato moltissimo sulle elezioni di Brasile. In tal modo ha concentrato un enorme quantità di risorse in primo luogo finanziarie per mantenere il controllo del Brasile, con la rielezione di Bolsonaro.
Quest’ultimo ha inoltre potuto destinare ingenti risorse pubbliche come fondi di un budget secretato ai prefetti (che in Brasile governano al posto dei sindaci) e ai governatori della destra sparsi nel territorio, come potentissima leva per potenziare il voto di scambio. Inoltre grazie anche ai finanziamenti internazionali la campagna di Bolsonaro si è scatenata su tutti i social, subissando continuamente gli elettori con una montagna di fake news volte a favorire la rielezione del presidente.
Infine il relativo successo di Bolsonaro al primo turno è stato il frutto della montagna di menzogne su presunti valori fondamentali messi a repentaglio dalla sinistra, volti a conquistare il supporto di circa settanta milioni di disperati che, non sapendo dove sbattere la testa, sono finiti nelle sette evangeliche pentacostali, generalmente guidate da personaggi privi di scrupoli e decisi sostenitori della destra radicale. In tal modo l’ideologia dominante ha saputo sfruttare a proprio favore false tradizioni religiose, in grado di fare breccia proprio su quei settanta milioni di lavoratori ridotti in condizioni disperate dalla crisi e indotti a credere che la destra radicale difenderebbe Dio, la patria e la famiglia, che sarebbero al contrario poste in pericolo dalle forze della sinistra.
Stedile ha introdotto un’altra riflessione molto significativa sul fatto che in questa situazione di crisi, in cui la classe dominante non riesce a individuare vie di uscita, la componente reazionaria della classe media, della piccola borghesia, è riuscita a prendere la direzione dell’intera classe borghese come, aggiungiamo noi, avvenne nel primo dopoguerra con l’affermazione dei fascismi soprattutto a seguito della grande crisi di sovrapproduzione esplosa nel 1929. In tal modo le tradizionali forze liberali della borghesia, sia quelle di sinistra tendenzialmente socialdemocratiche, sia quelle di destra neoliberiste, tendono a essere punite per i loro governi antipopolari dal voto delle masse. Ciò favorisce il passaggio di consegne, come avvenuto in Brasile, negli Stati uniti e ora anche in Italia, quale rappresentante della classe dominante dai liberali ai rappresentanti di una destra sempre più radicale.
La “sinistra” liberale brasiliana socialdemocratica, da sempre il principale avversario delle forze della sinistra egemonizzate dal Partito dei Lavoratori, nelle ultime elezioni è quasi completamente scomparsa, come, aggiungiamo noi, i socialisti in Grecia o in Francia.
Da parte sua la sinistra brasiliana ha avuto il torto di fare una campagna elettorale troppo convinta di avere la vittoria in tasca. Si è puntato tutto sulla televisione e su comizi, sempre più blindati, dinanzi alle minacce sempre più pesanti della destra, per cui la sinistra ha finito per rivolgersi quasi esclusivamente ai propri elettori.
Fortunatamente il ballottaggio ha portato la sinistra a uscire dalla logica di comizi sempre più blindati imposti dalle minacce di attentati a Lula e ad altri candidati e a superare la paura e i pericoli organizzando grandi manifestazioni popolari. Tutto ciò lascia ben sperare una vittoria elettorale ancora più netta al ballottaggio, con Lula che dovrebbe avere almeno dieci milioni di voti in più di Bolsonaro
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