Tra l’inizio di febbraio e la fine di settembre di quest’anno la Commissione europea ha tenuto un totale di 113 incontri con quattro delle principali compagnie dell’industria fossile (Eni, Repsol, Total e Shell), al ritmo di quasi uno ogni due giorni. Tuttavia, lo stesso non si può dire sia valso anche per i rappresentanti della società civile e delle associazioni a tutela dell’ambiente, che non hanno di fatto mai potuto incontrare né i delegati della Commissione, né tanto meno la presidente Ursula von der Leyen. Questo nonostante la retorica di questa Commissione ruoti strettamente intorno al discorso della transizione ecologica e nonostante la stessa von der Leyen abbia dichiarato in più di un’occasione che il tema costituisca una questione prioritaria per il suo mandato. I dati sono stati raccolti da Fossil Free Politics, una rete di quasi 200 associazioni (della quale è parte anche l’Italia con ReCommon) che si batte per l’eliminazione dei combustibili fossili.
D’altronde, suona quantomeno contraddittorio il fatto che, per far fronte all’emergenza energetica esplosa in seguito allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, la Commissione si sia rivolta proprio alle compagnie del fossile per avere consigli sulle modalità di riduzione della dipendenza dal gas e dal petrolio russo: le medesime, sottolinea il rapporto, che “hanno creato la dipendenza europea dai combustibili fossili russi estraendo il gas russo, lavorando con partner russi quali Gazprom e Rosneft e costruendo nuovi gasdotti dalla Russia all’Europa, come il Nordstream2”.
Il 18 maggio 2022 la Commissione europea pubblica una comunicazione ufficiale nella quale espone il contenuto del piano RePowerEU, dopo averlo annunciato l’8 marzo, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina. Il piano si propone di “risparmiare energia, produrre energia pulita, diversificare il nostro approvvigionamento energetico” con il fine di “rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili ben prima del 2030”. Non può non apparire un controsenso, quindi, che tra le soluzioni adottate vi sia stata l’estrazione di gas da Paesi con regimi repressivi quali Azerbaigian, Arabia Saudita e Qatar e la costruzione di nuove infrastrutture per la lavorazione del GNL. Il piano prevede, inoltre, lo sfruttamento di nuove risorse quali l’idrogeno e il biometano, “che sono altamente redditizi per l’industria ma anche disastrosi per il clima” scrive il rapporto.
Nei mesi precedenti all’elaborazione del RePowerEU, von der Leyen aveva comunicato lei stessa di aver discusso della possibilità di “diversificare le scorte e ridurre la richiesta di gas” e di come “ridurre la nostra dipendenza” dal gas russo direttamente con i capi delle grandi aziende dell’industria fossile e con l’European Roundtable of Industrialists (ERT), associazione composta da amministratori delegati di decine di multinazionali tra le quali anche Total, Shell, BP ed Eni. Il conflitto d’interesse appare qui più evidente che mai
Secondo le evidenze raccolte all’interno del rapporto di Fossil Free Politics, in un meeting del 21 marzo svoltosi con Shell, BP, Total, Eni, E.ON, Vattenfall e il presidente di ERT i giganti dell’industria fossile avrebbero dichiarato che l’Europa avrebbe dovuto “evitare pesanti interventi sul mercato, come imporre il price cap”. Sette mesi dopo sono molti i Paesi a insistere sulla necessità di imporre un tetto ai prezzi dell’energia, ma la Commissione sembra andare molto a rilento nel valutare la questione.
Secondo i dati elaborati dal Il Fatto Quotidiano, in un articolo di oggi domenica 30 ottobre a firma di Stefano Vergine, è di almeno 113 il numero degli incontri tra la Commissione e le principali big dell’industria fossile, e questo solamente nel periodo tra inizio febbraio e fine settembre: un ritmo di quasi una ogni due giorni. In testa c’è Shell, con 34 incontri ufficiali, seguita da Total con 30 incontri, Eni con 29 e Repsol con 20. Nel frattempo, la società civile e le associazioni per l’ambiente non hanno potuto godere delle stesse possibilità di discutere delle soluzioni per la crisi energetica e climatica con alcun membro della Commissione europea: von der Leyen si sarebbe infatti rifiutata di incontrare i rappresentanti di Green 10, una coalizione di dieci delle più grandi realtà per l’ambiente a livello europeo. Manovre che tingono le promesse della Commissione circa la transizione ecologica di un pallido verde greenwashing.
[di Valeria Casolaro]