I risultati delle elezioni israeliane lasciano presagire il ritorno di Netanyahu al potere, mentre la sinistra frammentata lascia spazio alle diverse anime dell’estrema destra sionista.
Dopo qualche giorno di attesa, sono finalmente arrivati i risultati definitivi delle elezioni legislative israeliane, che hanno avuto luogo lo scorso 1º novembre dopo la caduta del debole governo guidato da Yair Lapid in alternanza con l’alleato Naftali Bennett. Per Israele si è trattato delle quinte elezioni nell’arco di circa quattro anni, a dimostrazione della crisi politica che vive l’entità sionista, ma i risultati della nuova tornata potrebbero consentire la formazione di un esecutivo più solido dei precedenti.
I risultati ufficiali hanno infatti consegnato una chiara maggioranza al redivivo Benjamin Netanyahu, che si avvia a tornare al governo dopo poco più di un anno per migliorare ulteriormente il suo primato di premier più longevo della storia israeliana. Il suo partito, il Likud, ha infatti ottenuto il 23,41% delle preferenze, eleggendo 32 deputati alla Knesset, il parlamento unicamerale israeliano, sui 120 scranni che compongo l’emiciclo. In questo modo, il Likud ha incrementato la propria rappresentanza di due unità rispetto alla precedente legislatura.
Per raggiungere i 61 voti necessari per dare vita ad un governo, Netanyahu dovrebbe poter contare certamente sul partito Shas, che ha eletto undici deputati (8,24%), e sugli otto voti della lista Ebraismo della Torah Unito (Yahadut HaTora HaMeuhedet), una coalizione tra le due principali forze che rappresentano gli ebrei ashkenaziti (5,88%). A completare il quadro delle formazioni di governo dovrebbe essere la formazione di estrema destra denominata Partito Sionista Religioso (HaTzionut HaDatit), che ha realizzato un vero e proprio exploit passando da sei a quattordici seggi, e classificandosi al terzo posto assoluto con il 10,83% dei consensi.
Nonostante la vittoria di Netayanhu, il primo ministro uscente Yair Lapid può dirsi soddisfatto del responso elettorale, visto che il suo partito, Yesh Atid, ha chiuso al secondo posto con il 17,78% dei consensi e ventiquattro deputati eletti, sette in più rispetto alla precedente legislatura. Lapid, che ha immediatamente riconosciuto la vittoria dell’avversario, ricoprirà dunque il ruolo di leader dell’opposizione, forse agendo insieme al Partito di Unità Nazionale (HaMaḥane HaMamlakhti), la nuova formazione di Benny Gantz, e Yisrael Beiteinu di Avigdor Lieberman, che hanno ottenuto rispettivamente dodici e sei seggi.
In caduta libera, invece, una delle formazioni storiche della politica israeliana, il Partito Laburista Israeliano (Mifleget HaAvoda HaYisraelit). La compagine che dovrebbe rappresentare la sinistra sionista ha ottenuto solamente quattro seggi, fermandosi al 3,69% dei consensi, superando di poco la soglia di sbarramento.
Non è andata molto meglio alla vera sinistra di opposizione al sionismo, che questa volta si è presentata frammentata alle urne, con il risultato che alcune delle formazioni un tempo aderenti all’ormai defunta Lista Comune sono rimaste escluse dalla Knesset. A salvarsi sono il partito arabo Ra’am e la coalizione Hadash–Ta’al, che include anche le componenti comuniste sia arabe che ebree, con cinque deputati eletti per ciascuna lista. Esce di scena anche il partito socialdemocratico Meretz, che aveva appoggiato il governo Bennett-Lapid nella precedente legislatura.
La vittoria di Netanyahu e la verosimile partecipazione del Partito Sionista Religioso dell’ex ministro dei Trasporti Bezalel Smotrich al governo non fanno presagire nulla di buono per il popolo palestinese, sottoposto all’oppressione dell’entità sionista sin dalla nascita di quest’ultima. Sia chiaro, anche nel corso del governo Bennett-Lapid sono proseguite le violenze, gli arresti e le uccisioni a Gaza e in Cisgiordania, ma la situazione potrebbe addirittura peggiorare nei mesi a venire.
“Il prossimo governo israeliano sarà di gran lunga il più religioso della sua storia”, ha commentato la giornalista Judy Maltz sulle pagine di Haaretz, il principale quotidiano israeliano, ricordando inoltre che i partiti Shas e Ebraismo della Torah Unito bandiscono le donne dalle proprie liste elettorali. “40 dei previsti 65 membri della prossima coalizione saranno brei ortodossi, ovvero il 61%, ben oltre la loro quota del 17% della popolazione generale” ha scritto ancora Judy Maltz.
Molti osservatori sono preoccupati per il fatto che Israele potrebbe avviarsi a diventare in maniera definitiva una teocrazia in cui la legge della Torah possa diventare l’equivalente della legge dello Stato. Naturalmente, questo processo impiegherebbe del tempo ad essere realizzato, ma i tre partiti che sosterranno il nuovo esecutivo di Netanyahu potrebbero spingere in quella direzione. “A dire il vero, in Israele non c’è mai stata separazione tra religione e Stato. Le questioni relative al matrimonio e al divorzio, ad esempio, rientrano nella giurisdizione delle autorità religiose”, si legge sempre nell’articolo citato in precedenza. “Poiché in Israele è riconosciuto solo l’ebraismo ortodosso, i movimenti di riforma e conservatore non possono beneficiare di finanziamenti dal ministero dei Servizi Religiosi”.
Solamente il potere giudiziario dei tribunali ha posto un freno all’avanzare della teocrazia sionista, grazie all’emissione di importanti sentenze favorevoli all’ebraismo non ortodosso e alla libertà religiosa in generale: “Il grande timore è che i partiti religiosi della nuova coalizione di Netanyahu cercheranno di indebolire la magistratura […]. Ciò potrebbe potenzialmente annullare gran parte dei progressi compiuti negli ultimi anni nella promozione della libertà religiosa in Israele”.
Il nuovo governo potrebbe anche prendere in considerazione altre misure legislative estremiste come la limitazione dell’immigrazione per le persone che non aderiscono alla religione ebraica, o addirittura la messa al bando delle conversioni non ortodosse, il che obbligherebbe di fatto coloro che si convertono all’ebraismo ad abbracciare la sua versione estremista. Secondo molti osservatori, una svolta ulteriormente estremista del governo israeliano potrebbe acuire sempre di più la spaccatura tra l’entità sionista e la diaspora ebrea all’estero, che spesso abbraccia posizioni più moderate quando non del tutto antisioniste.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog