In soli ventiquattro anni la percentuale della superficie del Nepal coperta da alberi è raddoppiata, passando dal 26,2% del 1992 fino al 44,9% del 2016. Questo incredibile risultato è dovuto alla presenza indigena e alla cura delle comunità locali: il governo nepalese, infatti, a partire da metà degli anni Ottanta, ha deciso di affidare la tutela e la gestione delle foreste a comunità native e volontari, strategia che si è rivelata vincente sotto molti aspetti. I dati che ne rivelano il successo provengono da alcuni studi indipendenti che il New York Times ha citato in un lungo approfondimento, mentre altri report parlano di numeri più ridotti, ovvero di una crescita della copertura forestale del 22% dal 1988 ad oggi.

Il Nepal è uno piccolo Stato in prevalenza montuoso e la sua parte settentrionale del territorio è occupata dalla più imponente catena montuosa del Pianeta, l’Himalaya. Secondo un censimento del 2011 il 36% dei 29,5 milioni di abitanti del Paese è indigeno ma la percentuale potrebbe essere più alta, fino al 50% della popolazione totale, sostengono alcune organizzazioni. A partire dagli anni Ottanta il Nepal ha dovuto affrontare l’intensificarsi di alluvioni e frane, causate in parte anche dalla crescente deforestazione. Il governo, però, non riusciva a intervenire sul taglio indiscriminato degli alberi da parte degli abitanti per ricavare legna da ardere e fare spazio ai terreni agricoli. Così ha adottato un programma di silvicoltura comunitaria su larga scala: ha ceduto ampie porzioni di foreste alle comunità locali, chiedendo loro di proteggerle e ripristinare le aree danneggiate, reponsabilizzando gli abitanti del territorio. In un articolo del 1984 del New York Times viene descritto proprio questo passaggio: nel 1956, tutte le foreste del Nepal erano state nazionalizzate, “un atto che aveva «accelerato il processo di esaurimento delle foreste»”, secondo P. K. Manandhar, ex capo dell’operazione forestale del villaggio e per cui “la gente tendeva a sfruttare eccessivamente le risorse forestali che non sentiva più proprie“. Così nel 1980 il governo nepalese ha deciso di dare il controllo dei territori ai villaggi, fornendo anche piantine gratuite, a condizione che questi accettassero di proteggere e gestire l’area e le sue foreste. L’approccio all’epoca era stato visto con sospetto, ma i numeri parlano chiaro: a quarant’anni di distanza gli alberi sono aumentati notevolmente, invertendo il senso di marcia che stava portando a un veloce disboscamento. 

Anche la FAO conferma che quella del governo nepalese è stata una strategia vincente: secondo un recente studio dell’Organizzazione, i tassi di deforestazione sono più bassi nelle foreste protette e gestite da comunità locali. A dimostrarlo, le analisi di oltre 300 studi scientifici condotti sui territori indigeni e tribali dell’America Latina e dei Caraibi. Un altro esempio proviene dalla California, dove i fuochi controllati dai nativi americani per svolgere cerimonie rituali non solo non sarebbero pericolosi ma aiuterebbero ad evitare enormi incendi. L’intervento delle popolazioni indigene è poi fondamentale quando si tratta di difesa del territorio: il rapporto Indigenous Resistance Against Carbon di Indigenous Environmental Network (IEN) e Oil Change International (OCIha evidenziato i risultati ottenuti dall’impegno quotidiano dei popoli nativi contro i progetti di combustibili fossili, calcolando come la quantità di emissioni di gas serra ritardata o del tutto fermata grazie alla resistenza portata avanti dalle comunità locali sia equivalente ad almeno un quarto delle emissioni totali annue degli Stati Uniti e del Canada.

Nonostante gli enormi risultati, gli sforzi delle sole popolazioni indigene non sono sufficienti a bloccare completamente fenomeni come quello della deforestazione e dello sfruttamento del territorio. Riprendendo il caso del Nepal, dopo aver piantato migliaia di alberi, ora le comunità locali li devono proteggere dal disboscamento illegale, dai bracconieri e anche dalla stessa natura. A causa del riscaldamento globale, infatti, sono sempre più comuni grandi incendi, che la popolazione nepalese cerca di fermare ripulendo quotidianamente i rami secchi, l’erba e la corteccia degli alberi morti per riutilizzarli poi come mangime, materiale per l’edilizia o combustibile. La crescita delle foreste ha inoltre portato a un aumento della presenza degli animali selvatici nel territorio, una buona notizia con risvolti complessi. La convivenza uomo- animale, infatti, non è sempre facile e ci sono stati anche attacchi letali. Il governo ha risposto inviando pattuglie armate per difendere i parchi nazionali, ma la misura è stata vissuta come intrusiva da molti abitanti.

[di Sara Tonini]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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