Famiglia siriana accende un fuoco dopo un tentativo fallito di attraversare il confine tra Grecia e Turchia (Foto di Emrah Özesen/IOM 2020)
Più del 60% di coloro che migrando perdono la vita restano senza identificazione, mentre oltre la metà muoiono cercando di raggiungere l’Europa oppure muovendosi al suo interno. Si tratta di dati agghiaccianti, soprattutto se si considera che non sono esaustivi e che quindi i cittadini migranti che in otto anni hanno perso la vita per scappare da guerre, fame e carestie e per sperare in una vita migliore potrebbero essere molti di più di 50mila. A certificare questa immane tragedia è l’analisi pubblicata dall’IOM, l’organizzazione che dal 2014 sta lavorando al progetto “Missing Migrants” per documentare le morti dei migranti.
Qui tutte le informazioni e i dati.
Eppure, nonostante questi numeri terrificanti resi pubblici con sistematicità e rigore, ben poco si continua a fare per cercare di affrontare queste tragedie e soprattutto per prevenirle.
Nei registri del Progetto Migranti Scomparsi risultano essere di nazionalità sconosciuta oltre 30mila persone, il che significa che più del 60% di coloro che muoiono sulle rotte migratorie rimangono non identificati e lasciano le loro povere famiglie in una perenne attesa di notizie e nel più cupo sconforto. Rispetto ai migranti scomparsi che sono stati identificati, più di 9.000 provenivano da Paesi africani, oltre 6.500 dall’Asia e altri 3.000 dalle Americhe. In particolare, i primi tre Paesi di provenienza, Afghanistan, Siria e Myanmar, sono contrassegnati dalla violenza, con tante persone costrette a lasciare le loro case per tentare di riparare all’estero. Più della metà delle 50mila morti documentate si sono verificate sulle rotte verso e all’interno dell’Europa, con le rotte del Mediterraneo che hanno causato almeno 25.104 vittime. Sulle rotte europee vi è la più alta dispersione totale, con almeno 16.032 dispersi in mare, i cui resti non sono mai stati recuperati.
L’Africa è la seconda regione più letale per le persone migranti, con oltre 9.000 morti. Quasi 7.000 decessi sono avvenuti invece verso le Americhe, la maggior parte dei quali verso gli Stati Uniti (4.694). Dal 2014 il solo attraversamento del confine terrestre tra Stati Uniti e Messico è stato fatale per oltre 4.000 persone. In Asia sono poi documentati altre 6.200 morti, con i bambini che rappresentano oltre l’11% delle vite perse su queste ultime rotte, la percentuale più alta di qualsiasi altra regione. 436 dei 717 decessi di bambini registrati durante la migrazione nella regione sono di rifugiati rohingya. In Asia occidentale, in particolare hanno perso la vita sulle rotte migratorie almeno 1.315 persone, in fuga da Paesi sconvolti da conflitti che rendono tra l’altro quasi impossibile reperire documentazione dei migranti dispersi. Nello Yemen, per esempio, sono morti a causa di violenze almeno 522 migranti provenienti dal Corno d’Africa, mentre 264 siriani hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il confine con la Turchia.
Ancora una volta l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) sottolinea che gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto alla vita, devono essere rispettati in ogni momento e che occorre lavorare per prevenire e ridurre ulteriori morti, dando priorità alle operazioni di ricerca e salvataggio, migliorando e ampliando i percorsi migratori regolari e sicuri e garantendo che la governance della migrazione dia priorità alla protezione e alla sicurezza delle persone in movimento.
Questo è l’ultimo Rapporto del 23 novembre 2022 dell’iniziativa Missing Migrants Project