Raccogliere dati su femminicidi, lesbicidi e transcidi in Italia, costruire una diversa narrazione, ricordare le donne e le libere soggettività che non ci sono più, questo l’obiettivo dell’Osservatorio di Non Una di Meno, un’ esperimento di transfemminismo nei dati, un’ incontro di diverse competenze tra attivist3 su base volontaria per combattere la violenza di genere e patriarcale
La nostra è la società dei dati. Raccogliere, analizzare, gestire i dati ci fa conoscere la realtà sociale che ci circonda o al contrario la oscura. E se questo lo abbiamo scoperto nel XIX secolo con la nascita delle scienze sociali, sono le attuali capacità tecnologiche che hanno dato una svolta quantitativa a questa conoscenza.
Verso il 25 novembre – giornata mondiale contro la violenza sulle donne – sentiremo parlare dei numeri dei femminicidi, così come ne avremmo dovuto sentir parlare per il TDOR – Trans Day of Rembrance – il 20 novembre. Ma di quali numeri stiamo parlando?
La prima raccolta dati sulla violenza contro le donne è stata condotta dall’Istat nel 2006 e poi, per la seconda volta, nel 2014. Nel 2015 con il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere avrebbe dovuto essere istituito un sistema di raccolta dati integrato per i femminicidi. Ma bisognerà aspettare la Commissione parlamentare d’inchiesta della scorsa legislatura per avere una relazione completa sui femminicidi, i reati a essi connessi e le risposte giudiziarie collegate. Ed è solo a conclusione dei lavori di questa Commissione che, a maggio 2022, si approva la legge sulle “statistiche in tema di violenza di genere” con l’obiettivo di «garantire un flusso informativo adeguato per cadenza e contenuti sulla violenza di genere contro le donne al fine di progettare adeguate politiche di prevenzione e contrasto e di assicurare un effettivo monitoraggio del fenomeno».
Nulla di tutto questo è previsto per i transicidi, non esiste, infatti, una raccolta dati istituzionale specifica sulle persone trans uccise ogni anno in Italia, o su quelle vittime di violenza per la propria identità di genere od orientamento sessuale.
Ed evidentemente non aver approvato l’inserimento nel nostro codice penale dell’omolesbobitransfobia come discriminazione specifica non aiuta a far emergere questo fenomeno.
Per questo Non Una di Meno, movimento transfemminista nato in Italia nel 2016, proprio sulla scorta dell’efferato femminicidio di Sara di Pietroantonio, ha subito posto attenzione alla narrazione di questa violenza, alla raccolta dati, e alla memoria di queste morti, attraverso diverse pratiche di piazza e performance nello spazio pubblico. Da questo primo lavoro informale nasce l’Osservatorio Femminicidi, Lesbicidi, Transcidi di Non Una Di Meno per monitorare «gli eventi, riportati dai media, che possono essere qualificati come femminicidi, lesbicidi e transcidi. Eventi cioè in cui l’uccisione di una persona avviene per motivi riconducibili a relazioni di potere e a violenza patriarcale di genere». In questo conteggio vengono anche inseriti i casi di suicidio indotti dalla violenza patriarcale, e i casi in cui ci siano altre persone coinvolte e uccise: figliə, mariti, amichə e conoscenti.
Raccogliere questi dati – ci spiega Laura dell’Osservatorio – «è anche un modo di imparare e andare oltre la reazione immediata di ogni singolo titolo di giornale, capire anche in tempi più lunghi, e forse cercare di spiegare quali sono i rischi maggiori correlati a questi eventi». L’Osservatorio nasce, infatti, dalla necessità «di strutturare in modo anche quantitativo le informazioni raccolte. L’attenzione non è solo sui numeri ma quello che rappresentano, quali sono le storie dietro questi numeri, chi sono le persone coinvolte, come se ne parla, cosa è accaduto durante il processo». Per questo il sito dell’Osservatorio, online dall’anno scorso, oltre ai report numerici, ha anche comunicati, documenti e grafici in costante aggiornamento, tenendo in considerazioni tutte le informazioni, alcune delle quali possono emergere mesi o anche anni in seguito ai fatti.
Tra le difficoltà maggiori – chiarisce Laura – c’è quella di monitorare i transcidi: «perché spesso nei media viene riportato il sesso assegnato alla nascita e non l’identità di genere che la persona aveva scelto al momento della sua uccisione. Qui il misgendering determina il fatto di non vedere il numero delle persone trans che potrebbero essere state uccise».
Su questo esiste l’associazione europea TGEU che raccoglie i dati dei transicidi in tutto il mondo con il Trans Murder Monitoring, ma le informazioni dell’Osservatorio di Non Una di Meno sull’Italia riescono ad essere più precise. Aggiunge Laura: «qui c’è proprio un problema di strutturazione del dato, se non prevedi una terza categoria oltre M e F, non c’è spazio per questa informazione nell’analisi». E questo, ad esempio, è il problema del censimento in corso da parte dell’Istat sulla popolazione italiana dove le uniche categorie previste sono uomo e donna, eliminando di fatto la possibilità di conoscere quante persone non si sentano rappresentate da questa definizione binaria.
Questa raccolta dati e la sua pubblicizzazione costante aiuta la comprensione profonda del fenomeno – continua Laura – «alcune cose le sapevamo già: il fatto che a uccidere sia nella maggior parte dei casi una persona che si conosceva, partner o ex partner».
«Però ci sono alcune cose che non sapevamo: ad esempio quanto sia ricorrente avere delle donne anziane uccise da uomini che avrebbero dovuto prendersene cura, perché sopraffatti da questo carico di lavoro».
Inoltre, leggere questi numeri aiuta a sgonfiare alcuni casi mediatici, ad esempio il fatto che gli uomini non bianchi o di origine straniera non uccidono di più o di meno di quelli con nazionalità italiana, i numeri sono del tutto proporzionati alla popolazione del nostro paese.
Ancora, è complesso: «capire come va a finire». Cioè sapere cosa accade nelle aule dei tribunali, ai figli lasciati orfani, alle famiglie rimaste sole. Sono tanti i nodi di Non Una di Meno, associazioni e centri antiviolenza che si dedicano all’assistenza e al supporto delle famiglie lungo la strada del processo giudiziario. Anche perché è proprio in queste aule che spesso si può essere sottoposte a violenza istituzionale e a vittimizzazione secondaria. Sono molte, infatti, le vittime di femminicidio che avevano già denunciato partner o ex partner violenti, senza ricevere adeguata protezione, per concludersi con una “morte annunciata”. Per questo DIRE (Donne in rete contro la violenza) ha lanciato un Osservatorio per conoscere anche questi numeri.
Raccogliere dati, costruire una diversa narrazione, e ricordare le donne e le libere soggettività che non ci sono più, questo l’obiettivo dell’Osservatorio di Non Una di Meno, un’ esperimento di transfemminismo nei dati, un incontro di diverse competenze tra attivist3 su base volontaria. Conclude Laura: «i dati vanno molto di moda ultimamente, ma bisogna saperli usare, e avere capacità di produrli in modo consapevole, senza farsene sopraffare