Dal 19 novembre il Kurdistan siriano e iracheno è nuovamente sotto attacco da parte di Erdoğan. I bombardamenti vanno avanti da più di 10 giorni. Kobane, Ain Issa, Tel Rifaat, Derik e Derbasiye, Sulaymaniyya, Qandil e Shengal sono le città colpite, gli attacchi hanno distrutto 4 ospedali, una scuola e diversi silos contenenti riserve di grano
Le montagne dove si trovano le basi operative delle e dei combattenti curdi sono sotto attacco perenne, Erdoğan da mesi minacciava di riprendere a colpire anche il Rojava e la notte tra il 19 e 20 novembre ha dato seguito alle intimidazioni. Kobane, Ain Issa, Tel Rifaat, Derik e Derbasiye, Sulaymaniyya, Qandil e Shengal sono le città bombardate dall’aviazione turca.
SPADA AD ARTIGLIO
L’operazione militare su larga scala messa in atto dalle forze turche è stata denominata “Spada ad artiglio” e colpisce i civili in tutte le aree del Rojava. Sono stati presi di mira soprattutto ospedali, centrali elettriche, scuole, silos. Il governo turco giustifica l’attacco come risposta all’attentato del 13 novembre a Istanbul, attribuito all’Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) e al partito Pkk, che hanno prontamente smentito il loro coinvolgimento.
Diverse incongruenze sono sorte a seguito dell’accusa nei confronti del popolo curdo, L’Internazionale riporta parte del testo di un articolo del Jerusalem Post: «mentre domenica sera la narrativa ufficiale di Ankara era che l’esplosione a Istanbul ‘poteva’ essere terrorismo, lunedì mattina non solo era stato deciso di sì, ma era anche stata trovata la colpevole e ogni pezzo del puzzle era al suo posto». Le autorità turche hanno indicato l’entrata della terrorista nel paese attraverso Afrin che dal 2018 non è più territorio curdo, ma a seguito di un’occupazione della Turchia è oggi «in mano ai ribelli siriani sostenuti dalla Turchia e ad Hayat tahrir al sham (Hts), un gruppo affiliato con Al Qaeda. Di recente l’Hts ha rafforzato la sua presenza ad Afrin e nella zona sono stati individuati jihadisti del gruppo Stato islamico. Non è chiaro come una donna potrebbe spostarsi da Afrin fino alla Turchia, considerato che Ankara ha costruito un muro e una recinzione alla frontiera e mantiene una forte presenza di agenti di sicurezza nella zona, per impedire ai siriani di fuggire nel paese vicino», riporta sempre l’articolo.
Foto dall’azione in piazza della Repubblica a Roma il 2 dicembre 2022
Inoltre, in occasione del presidio “Defend Rojava” in solidarietà del popolo curdo di mercoledì 30 novembre in piazza dell’Esquilino a Roma, Nayera El Gamal tra le manifestanti racconta «la donna ha compiuto l’attentato a viso scoperto, in una zona videosorvegliata. L’arresto è stato repentino, è stata trovata a casa sua dove si era recata subito dopo lo scoppio della bomba con ancora i vestiti indossati durante l’attentato e in presenza di armi e soldi – e continua – Il Pkk è un’organizzazione che ha sempre dichiarato di non prendere di mira i civili e quando fa un’azione la rivendica. Non aveva nessun motivo di attaccare il centro di Istanbul il giorno della partenza di Erdoğan per il G20, occasione per il presidente turco di ricercare consensi dalle potenze internazionali ad attaccare il Rojava».
Diverse manifestazioni di solidarietà arrivano nei confronti dei curdi dalla cittadinanza italiana e europea, non ultima l’azione di stamattina davanti all’ufficio “Turchia. cultura e informazione” a piazza della Repubblica a Roma, per denunciare il silenzio dei nostri paesei e chiedere di fermare gli attacchi.
AL – HOL
Tra i primi attacchi il 23 novembre il governo turco ha colpito le forze di sicurezza del campo di Al-Hol.
Ad Al-Hol forze curde si occupano «della sicurezza di un campo che ospita circa 60mila familiari dei miliziani jihadisti incluse diverse migliaia di foreign fighters provenienti da tutto il mondo, è considerata una base dell’Isis, bombardare le forze che si occupano della sicurezza di quel campo significa permettere all’Isis di scappare, come è avvenuto», spiega Nayera. I bombardamenti successivi sono avvenuti in zone limitrofe le carceri dove è detenuto l’Isis. Una strategia opinabile quella del presidente turco, che mette in discussione anche le forze internazionali presenti sul territorio. Gli Stati Uniti hanno chiesto una de-escalation del conflitto per non mettere in pericolo il proprio personale presente in Siria e insieme alla Russia non autorizzando alla Turchia di attaccare via terra, anche se ancora non hanno disposto la chiusura dello spazio aereo permettendo di fatto a Erdoğan di continuare i bombardamenti.
A giugno 2023 si terranno le elezioni presidenziali in Turchia ed Erdoğan non sembra essere tra i preferiti anche a causa della grave crisi economica e sociale del paese.
Il tentativo di genocidio che Erdoğan compie nei confronti della popolazione curda non è un segreto e questa ennesima operazione potrebbe essere letta anche come strategia politica per riacquistare consenso da parte dei nazionalisti turchi in vista della chiamata alle urne. Il conflitto messo in atto dalla Turchia rischia però di avere dei risvolti più ampi, coinvolgendo le aree limitrofe e potenze internazionali come Stati Uniti e Russia, dando il via a una crisi internazionale.
EUROPA E NATO
«Questa guerra deve finire. Le armi chimiche sono un crimine di guerra. Tutta l’Europa è complice di Erdoğan. Il silenzio dell’Europa tutti i giorni ammazza il popolo curdo. Il silenzio dell’Europa tutti i giorni è una bomba che esplode sul Kurdistan e ammazza i civili» dichiara Heelim dalla piazza romana.
È notizia del 30 novembre “Giornata della memoria di tutte le vittime delle guerre chimiche” quella di una lettera aperta da parte di esponenti della società politica e civile internazionale, co-firmata da 49 europarlamentari che chiede un’indagine internazionale per porre fine ai presunti attacchi con armi chimiche nei confronti della popolazione curda, combattenti e civili. L’Organizzazione per la proibizione dell’utilizzo di armi chimiche (Opcw) è stata interpellata più volte da singoli e organizzazioni al fine di appurare l’accusa rivolta nei confronti della Turchia, ma finché la richiesta non avverrà da uno stato parte il protocollo non permette di avviare le indagini.
Foto dal presidio in Piazza dell’Esquilino a Roma il 30 novembre 2022
La posizione internazionale nei confronti dei Pkk è contradditoria: ostile, poiché considerati terroristi e inseriti nelle liste nere, ma coinvolti come alleati nelle operazioni che fronteggiano l’avanzata delle forze jihadiste che le e i combattenti curdi affrontano quotidianamente mentre si devono difendere da Ankara. La Turchia ha fatto pressione a Svezia e Finlandia chiedendo una maggiore collaborazione contro il PKK e facendo estradare i militanti curdi che sono rifugiati nei loro territori promettendo in cambio l’entrata nella Nato senza che la comunità internazionale si opponesse.
È evidente una disparità di approccio della comunità internazionale tra il conflitto russo-ucraino e quello scatenato dalla Turchia.
JIN JIYAN AZADI
Gli attacchi alla popolazione curda arrivano da tutti i fronti: turco, iraniano e iracheno e «tutto questo succede proprio quando in Iran le rivolte partite dal Kurdistan iraniano hanno per la prima volta coinvolto tutte le donne al grido di Jin Jiyan Azadi – Donna vita libertà, che non è soltanto uno slogan, ma la filosofia del movimento delle donne curde. Rappresenta il sistema che la Turchia e tutti gli stati nazione vogliono eliminare: Jin Jiyan hanno la stessa radice e si legano al concetto che una vita libera (Azadi) può esistere solo con una rivoluzione delle donne, anche Rawa, l’associazione rivoluzionaria delle donne in Afghanistan hanno sempre sostenuto le donne curde dichiarando che sono un’ispirazione e una speranza per loro», conclude Nayera.
La resistenza curda ha trovato alleate anche nei paesi confinanti, ma se le potenze internazionali non si esprimeranno e agiranno per arginare Erdoğan i bombardamenti continueranno. Non è improbabile che il presidente turco decida di attaccare via terra, anche senza il consenso di Russia e Stati Uniti, proseguendo il genocidio della popolazione curda, permettendo l’avanzata dell’Isis e inasprendo la crisi internazionale nei territori di Siria, Iraq e Baghdad.