Fabrizio Casari
I dati sulla povertà in Italia pubblicati recentemente sono sconcertanti ed hanno l’aggravante di essere in difetto rispetto a quelli che leggeremo nei prossimi 12 mesi. Nel paniere del dolore è entrata la “malinconia” come ha registrato il Censis e forse non sarebbe possibile diversamente visti i numeri.
La povertà assoluta è stabile, ma ai massimi storici: tocca 1,9 milioni di famiglie (7,5%) e 5,6 milioni di persone (9,4%) poveri assoluti che non dispongono delle risorse economiche sufficienti per vivere. Tra questi, 1,4 milioni di minori (14,2% del totale). A costoro si aggiungono altri 8 milioni che riescono solo a coprire l’indispensabile.
Ci sono dunque 14 milioni di italiani in stato di povertà e si prevede che nel 2023 se ne aggiungeranno altri 700.000. Ebbene, 14 milioni di poveri su 60 milioni di abitanti, indicano che circa il 25% della popolazione è in povertà. Il lavoro? A quelli che lavorano, paghiamo i salari più bassi d’Europa. Questo senza voler enumerare chi, dopo i cinquant’anni, viene espulso dal ciclo produttivo mentre gli si allontana ulteriormente la pensione. Troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione: come se ne esce? E’ il fallimento di un modello.
Intanto in Italia il gas fa segnare un +13,7% rispetto al mese precedente. Una famiglia italiana spenderà 1740€ all’anno di gas e 1782€ di elettricità. Quindi, un nucleo familiare spenderà 3500€ all’anno tra gas e corrente elettrica.
L’inflazione, che supera il 10%, determinerà un ulteriore aumento del costo della vita, dato che essa si rivela come una autentica patrimoniale a danno dei poveri. Tutto questo stride con la dimensione della ricchezza nazionale, che vede il PIL all’ottavo posto nel mondo su 186 recensiti.
Ci si potrebbe immaginare che un governo, soprattutto se arrivato con lo slogan “è finita la pacchia”, si muova subito con soluzioni ponte e prospettiche per riequilibrare un simile affronto sociale, premessa e conseguenza di un deficit grave di democrazia. Ma se al governo arrivano gli ex e i post fascisti, insieme a quelli che non si sono mai stati nulla perché sono il nulla, la guerra ai poveri e l’aiuto ai ricchi diventano i soli modi di contrastare la povertà.
Tra manifestazioni ridanciane, figuracce diplomatiche e posture coatte, il primo atto del governo di ultra destra è stato il baciamano a chi gli consente di governare e un omaggio al padronato, perché le dipendenze non si curano, si rispettano. In omaggio ai primi (gli USA) è arrivato il decreto di proroga per tutto il 2023 delle forniture (secretate) di armi a Kiev, tanto per mostrare l’afflato italiano verso la soluzione negoziata del conflitto. Per compiacere il padronato italiano e gli esercenti, invece, ecco l’attacco ideologico e ipocrita al reddito di cittadinanza
Si dice che il Reddito di Cittadinanza non favorisce la ricerca di un lavoro. Peccato che il lavoro non c’è. Abbiamo il 7,9 di disoccupazione ed il 21% di disoccupazione giovanile. E si tenga conto che molta dell’occupazione – per numero di ore lavorate, precarietà della relazione lavorativa e salari percepiti – non può essere considerata piena occupazione. Dunque?
Senza il reddito di cittadinanza, padroni e padroncini potranno tornare alle vecchie passioni, pagando 3 o 4 Euro l’ora le prestazioni degli addetti, che oggi sono invece liberi di rifiutare in presenza di una alternativa che li sottrae ai ricatti del padronato. Ricorderete le polemiche di quest’estate, quando i gestori di stabilimenti balneari e ristoranti, come di altre attività, lamentavano l’insuccesso nella ricerca di personale, salvo poi omettere che si offrivano tempi di lavoro asiatici e salari africani a fronte di profitti europei.
Eliminare il reddito di cittadinanza è il più grosso favore che si possa fare agli esercenti ed alle piccole, medie e grandi aziende. La differenza tra un governo che cerca la coesione del tessuto sociale e un governo che non capisce ma obbedisce, sta tutta qui: nella celebrazione delle mance e nell’ideologia caritatevole quale strumento perequativo, questo governo fatto di incompetenti e impresentabili trova il suo humus. Crede ad un rapporto di lavoro tra datore e impiegato basato sul principio di schiavitù.
Eppure basta avere dei figli in età di lavoro e che non si siano laureati nelle migliori università e nelle più importanti facoltà (il cosiddetto merito) per sapere cosa significa il mondo del lavoro. Altro che la retorica falsa dei bamboccioni di Monti, figlia del disprezzo classista di un ometto banale assurto a personaggio: provate ad imparare un mestiere e sentire offerte che sono più basse dei vecchi contratti d’apprendistato. O provate ad avere tra i 20 e i 40 anni e recarvi presso un ristorante e a proporvi come camerieri: vi verrà offerto uno stipendio di scarsi 800-900 Euro al mese e senza contributi o con le varianti minime, per almeno 12 o 13 ore di lavoro, sette giorni a settimana, con le mance nella migliore delle ipotesi da dividere con il proprietario. E’ a questa vergogna, diffusa in lungo e largo della penisola, che il reddito di cittadinanza aveva posto un argine.
L’Italia è all’ultimo posto in Europa per i salari: la recita vorrebbe l’impresa italiana geniale, veloce, innovativa e orientata alla qualità dei prodotti, ma ciò non corrisponde affatto alla realtà. In Italia i margini di profitto non si ricercano più sull’innovazione tecnologica o l’ottimizzazione dei processi, ma sul contenimento al minimo del costo del lavoro. Contenimento favorito anche da norme e leggi che hanno portato alla fine della contrattazione collettiva, al venir meno di ogni strumento di tutela per i lavoratori che, alla mercè di un sistema imprenditoriale foraggiato e difeso da tutti i governi succedutisi negli ultimi 15 anni, ha reso il mercato del lavoro una giungla, innescando un modello di relazioni industriali che produce caporalato.
Si è risolto così, con la gestione infame della manovalanza immigrata da un lato e con l’assegnazione per tutti di salari africani dall’altra, il tema della delocalizzazione. Tutto questo è stato possibile anche grazie al sostanziale allineamento dei sindacati alle pretese padronali che hanno fatto da sfondo ai governi tecnici sostenuti dal PD come a quelli guidati direttamente dal PD.
Eppure la lotta all’evasione dovrebbe essere al primo posto per un governo che volesse colpire l’illecito e trovare le risorse per migliorare i conti. L’evasione fiscale è pari a 99,2 Miliardi di Euro e 86,5 miliardi sono le imposte evase (IRPEF, IVA, IRES e IRAP), mentre a 12,7 miliardi ammontano i contributi non pagati. L’evasione si somma alla generazione di ricchezza attraverso la criminalità diffusa e la corruzione (che insieme vengono generalmente quotate a 220 miliardi di Euro annui).
Andare a recuperare il maltolto dovrebbe essere il proposito di ogni amministrazione perché, com’è facile comprendere, è in gioco un ammontare che da solo copre una buona parte della rata annuale del nostro debito, sia la quota interessi che quella capitale, ammontante a circa 31 miliardi di euro annui. Ma la priorità assoluta del governo Meloni è abbattere il Reddito di Cittadinanza. Con ciò rendendo chiaro almeno un dato: questo governo e chi lo guida esprime per fortuna solo l’aspetto ridicolo, e non quello tragico, del fascismo
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