«È l’ennesima strage di civili quella del mercato di Kurakhove nel Donetsk, ci sono 8 morti e almeno 5 feriti ma colpi di artiglieria russi sono arrivati anche sulle fermate degli autobus al centro della città». Esordisce così Rosanna Fabrizi corrispondente da Odessa per il TG3 in un servizio del 7 dicembre. Riprendendo una fonte esclusivamente ucraina e immagini della Ukainska Pravda, secondo l’inviata della RAI l’esercito russo avrebbe bombardato la città di Kurakhove, colpendo anche l’area dello stadio “Donbass Arena” e del Mercato Coperto.
A smentire questa ricostruzione sono stati i russi che hanno diffuso sui social il video del bombardamento nel distretto Voroshilovsky di Donetsk, mostrando come gli attacchi fossero stati lanciati dai nazionalisti ucraini. La RAI ha utilizzato le immagini del bombardamento ucraino sul mercato di Donetsk per accompagnare i servizi che denuncerebbero i bombardamenti russi sul territorio sotto il controllo di Kiev, ribaltando la dinamica e attribuendo così la colpa all’esercito russo.
Similmente la BBC ha usato le immagini di un edificio di Donetsk colpito dagli ucraini facendole passare per immagini dell’Ucraina bombardata dai russi, come riportato da Roman Kosarev, corrispondente di RT.
A smascherare la propaganda ucraina anche il canale War Fakes che ha divulgato su Telegram le immagini e i video in cui si analizza la dinamica dell’accaduto e si sottolinea l’assurdità secondo cui l’esercito russo dovrebbe bombardare i territori annessi in seguito al referendum.
A perdere la vita sotto i bombardamenti ucraini anche la giornalista Maria Pirogova, deputata del Consiglio del popolo dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk. Pirogova era stata sanzionata dall’Ucraina e da alcuni Paesi occidentali. L’ufficiale delle forze armate ucraine Anatoly Shtefan ha commentato la notizia sui social: «Ciao Masha. Ufficialmente smobilitata».
A scagliarsi contro il servizio pubblico italiano per l’ennesima fake news, è Giorgio Bianchi su Visione TV: l’inviata della RAI – accusa – avrebbe proposto le immagini dei bombardamenti ucraini su obiettivi civili spacciandoli per russi. Vittorio Rangeloni, invece, si trovava a poca distanza, per cui è riuscito a raggiungere subito le zone colpite: «Da dieci giorni – denuncia sul suo canale Telegram – i lanciarazzi “Grad” ucraini, a “porzioni” di 6-10 razzi alla volta, stanno distruggendo una città ammazzando civili senza alcun senso… e come al solito il mondo è girato di spalle, insensibile al terrore dimostrato da Kiev».
Il giornalismo italiano non è nuovo a questo genere di falsificazioni e la catena di disinformazione è lunga: il 16 marzo scorso La Stampa utilizzò una foto, in questo caso decontestualizzata, che mostrava un uomo anziano disperato che si copriva il volto con le mani. Intorno a lui una distesa di cadaveri straziati: braccia mutilate, arti smembrati, urla di dolore. Lo scatto faceva pensare alle conseguenze di un attacco russo contro l’Ucraina, perché nelle colonne che affiancavano la copertina si parlava di Leopoli e Kiev. Il titolo a corredo della fotografia era: “La carneficina”. Attorno a quella foto venivano richiamati articoli sui “traumi dei bambini in fuga da Leopoli”, su come Kiev si preparasse all’“assalto finale” dei russi, sulla strategia di Biden, sulle reazioni dell’Occidente o le gesta della giornalista anti-Putin a Mosca. Facile, dunque, dedurre dalla prima pagina del quotidiano torinese come i cadaveri nell’immagine fossero persone di nazionalità ucraine vittime dei bombardamenti russi. Eppure, non era così. Quell’immagine drammatica non era stata immortalata a Kiev o a Leopoli, ma a Donetsk, e quei corpi maciullati a terra erano i cadaveri di 23 civili russofoni, caduti sotto le schegge di un missile Tochka-U abbattutosi nelle strade centrali della città. Anche in quel caso si sfruttarono le immagini e l’orrore della guerra a senso unico, per indirizzare il lettore a credere che si trattasse di un massacro subito dai civili ucraini.
Non era tecnicamente una fake news, bensì una forma di mistificazione che, attraverso il potere evocativo delle immagini, voleva “orientare” le persone ad abbracciare una versione falsificata della realtà.
L’ennesimo, ma non ultimo, imbroglio nei confronti dei lettori e della verità.
[di Enrica Perucchietti]