Continua a crescere pericolosamente la tensione tra Kosovo e Serbia, dopo che nella notte di mercoledì 7 dicembre il governo kosovaro ha inviato contingenti di forze speciali della polizia nazionale nella parte nord della città di Mitrovica, a maggioranza serba. Le due regioni si accusano reciprocamente, con Pristina che ha dichiarato di aver agito in risposta allo spostamento sul confine delle unità della Gendarmeria serba, mentre Belgrado sostiene di aver risposto a un’azione di Pristina. La situazione, secondo il premier serbo Ana Brnabic, è “sull’orlo della guerra”. Venerdì Brnabic ha dichiarato che Belgrado è vicina a decidere di chiedere il ritorno delle sue truppe in Kosovo e, nel frattempo, gli USA hanno chiesto a entrambe le parti di non alzare il livello di tensione.
Secondo quanto riferito da Repubblica, sarebbero almeno 80 gli uomini giunti nel nord di Mitrovica mercoledì, mentre sarebbe stata confermata la presenza di altri due plotoni di agenti in tenuta antisommossa nella zona sud, che pattugliavano le strade e fermavano i giornalisti locali. In risposta, i politici di Belgrado hanno invocato la mobilitazione dell’esercito. Il presidente serbo Vucic ha lanciato un appello alle organizzazioni internazionali presenti in Kosovo (la missione Nato K-For, presente sul territorio dal 1999, e quella dell’Ue Eulex), chiedendo di contribuire a fermare l’invio di agenti da parte di Pristina. La premier serba Ana Brnabic ha accusato il premier del Kosovo Kurti di «averci portato sull’orlo della guerra», unendosi poi alle proteste contro K-For ed Eulex, le quali «non fanno il loro lavoro, non proteggono i serbi nel Kosovo. Vediamo ogni giorno violazioni degli accordi di Kumanovo e di Bruxelles. Per questo siamo molto vicini – il presidente Vucic ne parlerà oggi stesso – a chiedere il ritorno delle nostre forze nel Kosovo. Ne abbiamo il diritto e la volontà».
Da giovedì i reparti di K-For sono in stato di allerta, dopo che già nei mesi scorsi, con l’innalzarsi delle tensioni, aveva comunicato di aver rafforzato le proprie pattuglie ai valichi di confine. In questo contesto, l’Italia cerca di giocare il ruolo di mediatore: nella giornata di oggi vi è infatti stato un colloquio telefonico tra Vucic e il ministro degli Esteri Tajani, nel corso del quale sono stati discussi gli sviluppi della crisi. Affinché i rappresentanti serbi tornino all’interno delle istituzioni kosovare, ha detto Vucic, è necessario che venga rispettato l’accordo di Bruxelles e che vengano create della Comunità delle municipalità serbe in Kosovo, che Pristina si era già impegnata a realizzare 10 anni fa.
Le tensioni tra i due Paesi erano tornate a salire verso la fine della scorsa estate, per via delle disposizioni del governo di Pristina di reimmatricolare obbligatoriamente i veicoli con targa serba, da sostituire con quella kosovara. La disputa, di natura prettamente simbolica, ha trovato la ferma opposizione della popolazione serba e del governo di Belgrado, il quale non riconosce il Kosovo come Stato indipendente (insieme a Russia, Cina e 5 Stati membri Ue). Così, a inizio novembre numerosi pubblici ufficiali serbi avevano deciso di ritirarsi dalle istituzioni del governo di Pristina: era intervenuta anche l’Ue per mediare la questione, limitandosi però a constatare che il provvedimento sulle targhe fosse legittimo.
Nella giornata di oggi, secondo quanto riportato da alcuni media locali, la presidente del Kosovo Vjosa Osmani ha ufficialmente annunciato che le elezioni dei sindaci verranno rinviate ad aprile 2023, per via dell’innalzarsi del livello di allerta. Le elezioni erano inizialmente previste per il 18 dicembre, proprio per via delle dimissione dei sindaci serbi nella parte nord del Paese un mese fa.
[di Valeria Casolaro]