L’agricoltura biologica può essere una soluzione alle crisi attuali © Peter Wendt/Unsplash

L’agricoltura biologica può essere una delle soluzioni alle crisi attuali. Intervista a Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio

Alessandro Longo

Si è tenuta sabato 4 dicembre a Bologna la Festa del Bio, tra dibattiti, show cooking e assaggi. L’appuntamento – organizzato da FederBio – è stato l’occasione per tracciare un bilancio sulla situazione del settore biologico in Italia e in Europa. Con uno sguardo verso le crisi dell’attualità – alimentare, climatica, energetica ed economica – e uno verso il futuro.

«A chi dice che il bio è un lusso che in questo momento non ci possiamo permettere dobbiamo rispondere che in realtà è una soluzione». Così Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, descrivendo il biologico come possibile soluzione alle crisi attuali.

Maria Grazia Mammuccini presidente di FederBio
Maria Grazia Mammuccini è presidente di FederBio, federazione di organizzazioni di tutta la filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica

L’Unione europea si è posta l’obiettivo di portare l’agricoltura biologica al 25% della superficie agricola utilizzata da qui al 2050. In Italia siamo già al 17% contro una media europea del 9%. Siamo davvero così avanti rispetto agli altri Paesi?

Sicuramente quello del biologico è un settore in cui siamo leader a livello europeo. Non solo abbiamo una superficie destinata al bio quasi doppia rispetto alla media europea, ma abbiamo anche il numero di operatori più alto. Siamo leader anche su alcune innovazioni come le mense bio e i distretti biologici, per i quali, tra l’altro, l’Europa ha preso come riferimento proprio l’esperienza del nostro Paese. Non c’è dubbio che il biologico sia un punto di forza del nostro sistema agricolo e alimentare.

Il settore ha resistito bene durante la pandemia?

Nella pandemia ha retto bene, anzi, c’è stato uno sviluppo notevole nei consumi di prodotti bio. Abbiamo tutta una serie di dati ancora positivi, ad esempio per quanto riguarda l’export e la crescita del bio nell’Horeca (hotel, ristorazione, esercenti, eccetera, ndr). Ora però c’è un momento di stasi nel mercato interno dovuto alla crisi economica. I cittadini vorrebbero scegliere il biologico, lo dimostra il fatto che aumentano le vendite nei discount. Però c’è un problema di capacità di spesa. Che non deve spingere a fermarsi, ma piuttosto a rilanciare e fare aumentare i consumi di biologico perché servono dal punto di vista ambientale, della salute, della biodiversità. Ma anche dal punto di vista economico. Perché gli agricoltori bio hanno una possibilità maggiore di valorizzare il proprio prodotto anche da questo punto di vista.

Nel suo intervento ha detto: «A chi dice che il bio è un lusso che in questo momento non ci possiamo permettere dobbiamo rispondere che in realtà è una soluzione». Perché?

Perché il modello di agricoltura intensiva è una delle cause dei cambiamenti climatici e si basa su sistemi che utilizzano molta energia, oltre a prodotti derivati dal petrolio (come concimi e antiparassitari). È un modello che si basa sul produrre sempre di più non per garantire un diritto al cibo a tutte le persone, ma per abbassare il prezzo all’agricoltore. E al tempo stesso per aumentare i consumi vendendo tanti prodotti a basso costo che poi finiscono nei rifiuti. È un sistema agricolo e alimentare sbagliato che crea spreco, inquinamento e che non ha risolto il problema della fame. Anzi. Tutti dicono che dobbiamo aumentare la produzione, ma produciamo cibo per 12 miliardi di persone, quando al mondo siamo 8 miliardi. E nonostante questo 900 milioni di persone soffrono la fame.

Cosa propone?

Innanzi tutto, bisogna cambiare il modello di produzione. Serve un nuovo modello orientato all’agroecologia. A lavorare in armonia con la natura usando ricerca, conoscenza, innovazione ma per rispettarne le regole, non per dominarla. Al tempo stesso bisogna cambiare anche il modello dei consumi, tornando a insegnare alle persone a comprare prodotti di stagione – che sono più salutari, e richiedono meno energia per essere prodotti – e a consumare il prodotto fresco e vicino al luogo di produzione. Così si evita un dispendio energetico inutile.

Una tavola rotonda alla Festa del Bio di Bologna

I prodotti tradizionali dei Paesi che sono sempre stati motivo di commercio internazionale, lo saranno sempre. Ma frutta, verdura, latte, pane, vanno comprati vicino al luogo di produzione. Non possiamo permetterci di far girare il mondo alle pere o alle mele. Quindi: stagionalità, comprare prodotti freschi vicino al luogo di produzione, evitare lo spreco alimentare e ridurre il consumo di carne. Questi principi fondamentali garantiscono un modo diverso di produrre e di consumare che alla fine costerà se non uguale, addirittura meno di quello attuale. È inutile comprare tanto cibo per poi buttarne una parte. Compriamone meno ma di miglior qualità.

Siamo leader a livello europeo nella produzione biologica, ma siamo in coda nei consumi. Come mai?

Sicuramente c’è un problema di informazione e di comunicazione nei confronti dei cittadini. Nel nostro Paese c’è una cultura alimentare della qualità del cibo molto diffusa. Però bisogna spiegare che la qualità, il sapore e quello che è il legame con il territorio di un prodotto, uniti alla produzione bio, hanno un valore ancora più alto. Sia per le persone dal punto di vista nutrizionale, che per il territorio. Se tu vuoi valorizzare un prodotto locale, devi partire da un metodo produttivo che rispetta il territorio, che non inquina, che mantiene la biodiversità e che preserva il paesaggio. Il lavoro da fare è proprio quello di comunicare ai cittadini i valori del biologico e questo può essere uno strumento fondamentale anche per aumentarne i consumi.

Alcuni dati di Nomisma sul settore biologico in Italia, in Europa e nel mondo

A livello italiano, le regioni sono tutte allo stesso livello?

Dal punto di vista della produzione ci sono regioni che corrono più di altre. Tradizionalmente il Sud ha sempre avuto una superficie coltivata a biologico molto più grande rispetto al resto d’Italia. Anche grazie al clima più favorevole che consente di non usare prodotti chimici di sintesi, al contrario del clima umido che, invece, porta più malattie alle piante. Ma anche perché il Sud si è reso conto che l’agricoltura biologica è un modo per valorizzare le proprie produzioni. Complessivamente, al Sud si concentra la produzione e al Centro-Nord la trasformazione e la distribuzione.

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I progressi continuano o sono ad un punto fermo?

Ci sono regioni che hanno fatto passi da gigante. L’Emilia-Romagna negli ultimi anni sta lavorando tantissimo nella direzione del bio ed è anche una delle regioni in cui è nato il sistema del biologico. La Toscana ha livelli produttivi molto alti e uno stanziamento di risorse importante destinate alla crescita del bio. Poi ci sono regioni rimaste indietro. La Lombardia, ad esempio, non solo è tra i fanalini di coda ma nella nuova programmazione è fra le regioni che hanno stanziato meno di tutte per il biologico rispetto al resto. Occorre lavorare affinché si investa nel settore anche nelle regioni in cui è meno diffuso ma dove la cura del suolo e la riduzione dell’impatto ambientale sono assolutamente prioritari. Come in Pianura Padana.

A livello normativo come siamo messi?

A livello europeo ci sono state importanti novità come il nuovo regolamento entrato in vigore recentemente e la strategia Farm to Fork. Quest’ultima ha fissato l’obiettivo di triplicare le superfici coltivate a biologico. Inoltre, è già uscito il Piano d’azione europeo per l’agricoltura biologica in cui si destina il 30% delle risorse della promozione e il 30% delle risorse della ricerca proprio al bio. Per quanto riguarda l’Italia abbiamo avuto l’approvazione della legge che è un grandissimo risultato. Ora la priorità a livello nazionale è attivare subito il Piano d’azione nazionale per il biologico e rendere concreta l’attivazione normativa dei distretti biologici e del marchio del Made in Italy bio. Tutti strumenti previsti dalla legge a cui bisogna dare immediata attuazione.

La strategia Farm to Fork (“dalla fattoria alla forchetta”) dell’Unione europea © Commissione europea

Quali sono le prospettive future? Cosa resta da fare?

Bisogna lavorare sul mercato interno, ma non tutto è nelle nostre mani. Dipende anche da quanto questa crisi economica colpirà imprese e famiglie. Bisogna lavorare per rafforzare un sistema dei consumi che aiuti a comprare meno, ma meglio. Cioè a comprare bio. Allo stesso tempo bisogna agire per avvicinare il produttore al cittadino. Accorciando la filiera ed evitando passaggi di intermediazione inutili si può avere un prezzo giusto e accessibile. Infine, oltre alla filiera corta e al rapporto diretto produttore-consumatore, è necessario creare filiere di Made in Italy biologico in cui tutta la filiera si impegna a dare la giusta retribuzione a tutti gli attori del sistema. Per arrivare ad un prezzo giusto per il cittadino ma giusto anche per l’agricoltore per evitare che sia sempre lui quello che alla fine non riesce a ripagare i costi di produzione

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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