C’è una partita nazionale dentro le elezioni regionali di febbraio, Non riguarda solo la tenuta della già claudicante destra di governo. Ha a che fare con gli equilibri nel centrosinistra e la fine dell’egemonia del Pd.
Se qualcuno ha ancora bisogno di capire come Giuseppe Conte si sta prendendo tutto ciò che non si riconosce nel Pd, deve ascoltare l’assemblea convocata da Coordinamento 2050, rete di sinistra che ha lo scopo di ancorare al fronte dei progressisti i 5 Stelle.
Più di duecento persone affollano il teatro della XII, estrema periferia di Spinaceto. Roma Sud. Siamo nel municipio che dovrà accollarsi i costi ambientali del mega-inceneritore voluto dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri e che da anni affronta la questione della mega opera che collega Roma a Latina, una delle arterie che dovrebbe cimentarsi con il pendolarismo verso la capitale e che minaccia questo pezzo di agro romano. «Abbiamo promosso questo incontro perché il quadro per le regionali non è quello che avremmo voluto – dice Stefano Fassina – C’è un programma chiuso nonostante i punti controversi e un candidato deciso a priori».
Il convitato di pietra si chiama Alessio D’Amato, che il Pd e il Terzo polo hanno scelto unilateralmente come candidato alla presidenza della Regione anche in nome della fedeltà al termovalorizzatore di Roma. «Noi non ci rassegniamo . scandisce Fassina – Il Pd si fermi a riflettere». «A questa regione serve discontinuità – rincara la dose Loredana De Petris – Ci è stato impedito il un confronto programmatico». Tutte ragioni note, ma si capisce che c’è qualcosa di più. Paolo Cento sintetizza: con la crisi del ceto medio non basta più la buona amministrazione.
Il colpo al Pd arriva dai cosiddetti corpi intermedi. Erano tutti lì per «ascoltare», «interloquire», «confrontarsi». Fatto sta che sia i segretari regionali di Uil e Cigl, che il presidente di Arci Roma riconoscono a questo ambito la capacità di raccogliere le voci dai territori e dalle organizzazioni sociali. Il segretario regionale della Cgil Natale Di Cola non si spiega come mai le due consiliature di Zingaretti siano state dichiarate finite dall’oggi al domani. «Sono stati liquidati dieci anni. Questa non è più la regione di Batman. – dice Di Cola citando il soprannome del capogruppo del Pdl in quota post-Msi Franco Fiorito ai tempi della giunta di destra di Renata Polverini – Tutti hanno votato atti che dal 2019 vincolano a non fare più inceneritori. Si era scelto di andare a sinistra, là sono rimasto». Di Cola passa in rassegna i motivi per i quali la Cgil ha detto da subito no all’inceneritore. «Abbiamo detto no per tre motivi. Intanto, la partecipazione: non si può annunciare dall’oggi al domani un progetto del genere. Poi, il rispetto dei programmi elettorali. E la crisi globale: prima di bruciare tutto bisogna tentare un’alternativa. Potevamo costruire la multiutility dell’economia circolare. Ma abbiamo scelto arricchire i privati».
Quando arriva Giuseppe Conte Fa un comizio contro il governo e boccia D’Amato: «Non posso accettare una persona che deve alla Regione Lazio quasi 300 mila euro, perché ha creato un danno erariale accertato». In platea, dove compaiono da auditori anche quelli di Sinistra civica ecologista, si scatenano le interpretazioni. Il fatto che Conte abbia concentrato il fuoco sul D’Amato implicherebbe un segnale al Pd: un altro candidato e si riaprono i giochi. D’Amato ostenta sicurezza: «Le porte sono sempre aperte ma se hanno deciso di rompere se ne assumano a responsabilità». Paola Taverna, dalle retrovie, dice: «Entro due giorni chiudiamo». Il tempo della trattativa sembra davvero finito.