Il golpe orchestrato contro il presidente peruviano Pedro Castillo ha suscitato la dura reazione del popolo peruviano, sceso in piazza per chiedere la sua liberazione. Intanto, il bilancio dei morti sale a quota 23 (ma in Occidente nessuno si indigna).

Il Perù è in rivolta. Il popolo del Paese sudamericano non ha accettato la destituzione del presidente Pedro Castillo, arrestato lo scorso 7 dicembre dopo aver dovuto affrontare i continui tentativi di impeachment da parte delle forze reazionarie del parlamento di Lima. Le rivolte sono iniziate subito dopo l’arresto del presidente legittimo e la sua sostituzione da parte di Dina Boluarte, sulla carta appartenente allo stesso partito del presidente, ma che ha rivelato il suo vero volto di traditrice al servizio dell’oligarchia e dell’imperialismo nordamericano reprimendo nel sangue le proteste.

Mentre i media occidentali ignorano i 24 morti causati dalla repressione armata delle rivolte in appena dieci giorni, riservando la propria indignazione per altri Paesi come l’Iran, nel mondo a capitalismo avanzato viene anche fatto passare il messaggio che, in fondo, la legittimazione di Castillo sarebbe stata legittima, in quanto il presidente avrebbe tentato un “auto-golpe”. Una narrazione chiaramente fallace e priva di senso, che non tiene conto degli attacchi costanti che Castillo ha dovuto affrontare sin dalla sua elezione, e che non ha certo trovato consensi tra le classi popolari peruviane.

Dalla comprensione di questa realtà dipende il grado di lucidità di un politico progressista o rivoluzionario nella dura contesa per la nostra America tra le forze popolari e l’imperialismo associato alla servile destra locale”, commenta acutamente l’analista di politica internazionale Ángel Guerra su TeleSur. “La candidatura del leader degli insegnanti è stata ripudiata dalle élite razziste e classiste peruviane non appena è stata resa nota e non ha mai avuto la simpatia delle forze armate, che hanno fatto pendere la bilancia contro il presidente nell’ora decisiva”, aggiunge ancora Guerra, confermando l’analisi che noi stessi avevamo formulato nelle ore successive al colpo di Stato.

Insomma, ancora una volta un golpe latinoamericano è stato orchestrato dalla nefanda alleanza tra l’imperialismo nordamericano, che considera l’intero continente come il proprio giardino di casa, e le oligarchie liberiste e reazionarie locali, quelle che in Perù hanno nostalgia della presidenza del criminale Alberto Fujimori, e che avrebbero voluto vedere sua figlia Keiko Fujimori battere Castillo al ballottaggio delle scorse presidenziali: “Formalità a parte, il suo caso è totalmente in sintonia con i colpi di Stato parlamentari, mediatici o militari contro altri leader progressisti e rivoluzionari nella regione”, dice al riguardo Guerra. “Non è un caso che i leader di Messico, Cuba, Venezuela e Bolivia siano stati quelli che in precedenza hanno sottolineato la natura razzista e golpista del licenziamento di Castillo”.

Le vicende peruviane, purtroppo, hanno sin troppi precedenti nella storia recente e meno recente dell’America Latina: “Gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza a piegare con la fame e la miseria l’America intera in nome della libertà”, ebbe a dire, in modo lungimirante, il Libertador Simón Bolívar in una lettera scritta nel 1815. Solamente negli ultimi anni, episodi di questo tipo si sono verificati in Honduras, Paraguay, Brasile, Ecuador e Bolivia, senza tenere conto dei tentativi fino ad ora falliti in Venezuela e Argentina, e della continua opera di destabilizzazione nei confronti di Cuba.

Mentre prosegue la sanguinosa repressione delle proteste popolari, che hanno portato anche all’istituzione del coprifuoco in alcune provincie del Paese, Dina Boluarte ha tentato di calmare la situazione chiedendo al parlamento di accettare le elezioni anticipate, la soluzione che lo stesso Castillo aveva tentato di applicare prima di essere destituito. Ma l’organo legislativo, che non ha nessuna intenzione di dare una nuova possibilità di vittoria elettorale alla sinistra, ha respinto la proposta di Boluarte, instaurando quella che alcuni hanno giustamente definito una “dittatura parlamentare”.

Boluarte continua a mantenere una posizione equivoca, visto che da un lato viene accusata di tradimento da parte dei sostenitori di Castillo, mentre dall’altro lei stessa ha parlato di golpe contro il presidente. Tuttavia, Boluarte ha anche criticato l’operato dello stesso Castillo, sposando in parte la narrazione della destra reazionaria, e, ancor peggio, ha difeso l’operato repressivo delle forze dell’ordine contro le proteste popolari, il che ha suscitato ulteriore rabbia da parte dei manifestanti, che l’hanno etichettata come “traditrice assassina”.

A tal proposito, l’Associazione per i diritti umani (Aprodeh) del Perù ha annunciato he sta preparando una denuncia contro la presidente nominata dal Congresso, Dina Boluarte, per omicidio qualificato circa gli oltre venti decessi registrati in tutto il Paese. “Stiamo documentando le prove. Non abbiamo più alcun dubbio che sia lei la principale responsabile degli eventi accaduti ieri ad Ayacucho“, ha detto ai media locali Gloria Cano, avvocato di Aprodeh.

Parimenti, la Rete di Intellettuali e Artisti in Difesa dell’Umanità ha espresso il suo rifiuto nei confronti della rimozione dell’incarico dell’ex presidente Castillo, che considera come un’azione portata avanti dalla “dittatura parlamentare peruviana”. In una dichiarazione, l’Ong ha dichiarato di respingere “la misura di destituzione e reclusione adottata da una fazione del Congresso peruviano nei confronti del presidente eletto, Pedro Castillo“. La rimozione di Castillo da parte del Congresso è stata descritta dalla Rete come “un altro episodio in una catena di incidenti legali in cui viene applicata una presunta decisione legale per deporre, disabilitare politicamente o impedire l’elezione o la rielezione di un politico progressista scelto dal suffragio popolare”.

L’operato di Baluarte è stato fortemente criticato anche all’interno del governo, tanto che alcuni ministri hanno rassegnato le proprie dimissioni in segno di dissenso. Il ministro dell’Istruzione, Patricia Correa, e il suo omologo del ministero della Cultura, Jair Pérez, si sono dimessi venerdì dalle loro responsabilità per le morti di manifestanti causate dalla repressione armata. “L’irreparabile perdita di fratelli e sorelle rende insostenibile la mia permanenza nel suo governo“, ha dichiarato Jair Pérez in un comunicato rivolto a Dina Boluarte.

Di fronte all’ennesimo attacco dell’imperialismo nordamericano e dell’oligarchia reazionaria sudamericana, l’intero continente dovrebbe sollevarsi in solidarietà con il presidente Pedro Castillo, dando un chiaro segnale del fatto che i Paesi latinoamericani rifiutano ogni tipo di ingerenza da parte dei loro ingombranti vicini settentrionali. La volontà dei popoli è stata chiaramente espressa nelle ultime elezioni, che hanno visto la riconquista del continente da parte delle forze progressiste, ma la lotta tra il progresso e la reazione deve proseguire nel quotidiano di fronte ad attacchi di ogni tipo.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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