L’Italia è rimasto il solo paese a non aver sottoscritto la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e si moltiplicano le pressioni, interne ed esterne, perché provveda a farlo.
Il principale argomento di chi è a favore della ratifica è che il Mes è necessario al completamento dell’unione bancaria, perché tra i suoi nuovi compiti c’è quello di intervenire qualora il fondo comune di tutela dei depositi – alimentato da versamenti delle banche aderenti – non sia sufficiente a coprire i costi di una eventuale emergenza.
Come è noto l’unione bancaria non è mai stata completata, ma il motivo non è perché manchi un organismo tecnico. Il motivo è che un gruppo di paesi ritiene che prima si debba provvedere a una riduzione del rischio, intendendo in particolare che le banche che detengono in quantità rilevante titoli sovrani dei paesi ad alto debito debbano ridurre in modo sostanziale quella parte del portafoglio titoli. Che venga nominata esplicitamente o meno, è l’Italia con le sue banche il principale obiettivo di questa richiesta. Solo una volta che essa sia stata soddisfatta ci sarebbe la disponibilità ad assumersi la condivisione del rischio.
Questa posizione ignora pervicacemente che proprio la condivisione ridurrebbe sostanzialmente il rischio, come anche l’ex presidente della Bce Mario Draghi ha spiegato in passato. Al contrario, se le nostre banche fossero costrette a vendite massicce di titoli italiani, tanto più ora che la Bce ha deciso la fine degli acquisti e ha annunciato che inizierà invece a venderli, ciò provocherebbe conseguenze disastrose per il nostro paese, rendendo possibile una crisi dagli esiti imprevedibili.
Il completamento dell’unione bancaria non dipende quindi dall’approvazione della riforma del Mes, ma dall’atteggiamento sbagliato e pericoloso di alcuni paesi, e dati i precedenti è lecito dubitare che questa approvazione sarebbe decisiva.
Ciò detto, giova ribadire che il Mes è nato malissimo e riformato peggio. Non si vede perché il compito di backstop per l’unione bancaria debba essere affidato a un organismo al di fuori delle istituzioni comunitarie, di diritto lussemburghese, che per statuto è tenuto a perseguire il solo interesse dei creditori e dunque a non prendere in considerazione – o comunque a mantenere in subordine – gli interessi politici generali. Che avrebbe l’ultima parola nel giudizio sulla sostenibilità del debito di chi vi ricorre, e in caso di giudizio negativo – sulla cui arbitrarietà si può nutrire più di un dubbio – potrebbe imporre politiche di aggiustamento che, come insegna l’esperienza della Grecia, possono essere non solo dolorose, ma anche sbagliate. Quella vicenda ha attribuito al Mes una connotazione profondamente negativa, tanto che persino i prestiti offerti durante la pandemia non sono stati richiesti da alcun paese, nonostante la dichiarazione – non assistita, però, da atti formali – che la sola condizionalità sarebbe stata l’utilizzo di quei fondi a scopi sanitari.
Per giunta nel testo della riforma sono incluse le regole del Patto di stabilità, quelle che stanno per essere completamente cambiate. Quindi la riforma dovrebbe essere subito riformata per accogliere quelle modifiche.
La sola riforma sensata del Mes sarebbe la sua abolizione, e l’attribuzione degli 80,5 miliardi di capitale versati dagli Stati membri a una costituenda “Agenzia del debito” come proposto da Massimo Amato, Francesco Saraceno e altri.
Il governo italiano, anche in seguito a una pronuncia in tal senso approvata dal Parlamento, fa benissimo a non ratificare la riforma. Anche chi non ne condivide minimamente l’impostazione generale, su questo specifico punto lo invita a non cedere alle pressioni e a mantenersi su questa linea.
Nicola Acocella, Università di Roma La Sapienza
Lucio Baccaro, Max Planck Institute, Colonia
Annaflavia Bianchi, economista
Maria Luisa Bianco, Università del Piemonte Orientale
Silvia Borelli, Università di Ferrara
Paolo Borioni, Università di Roma La Sapienza
Rorita Canale, Università di Napoli Parthenope
Antonio Cantaro, Università di Urbino Carlo Bo
Sergio Cesaratto, Università di Siena
Carlo Clericetti, giornalista
Marco Dani, Università di Trento
Giovanni Dosi, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
Claudio De Fiores, Università Vanvitelli
Stefano Giubboni, Università di Perugia
Marco Goòdoni, Università di Glasgow
Dario Guarascio, Università di Roma La Sapienza
Andrea Guazzarotti, Università di Ferrara
Riccardo Leoni, Università di Bergamo
Federico Losurdo, Università di Urbino Carlo Bo
Stefano Lucarelli, Università di Bergamo
Ugo Marani, Università di Napoli l’Orientale
Agustín José Menéndez, Universidad Complutense de Madrid
Guido Ortona, Università del Piemonte orientale
Ugo Pagano, Università di Siena
Gabriele Pastrello, Università di Trieste
Paolo Piacentini, Università di Roma La Sapienza
Paolo Pini, Università di Ferrara
Riccardo Realfonzo, Università del Sannio
Roberto Romano, economista
Fiammetta Salmoni, Università Guglielmo Marconi
Alessandro Somma, Università di Roma La Sapienza
Antonella Stirati, Università Roma Tre
Andrea Ventura, Università di Firenze
Gennaro Zezza, Università di Cassino e del Lazio Meridionale