La stessa legislazione sulle associazioni a delinquere utilizzata contro i boss mafiosi e i truffatori internazionali dovrebbe essere adottata contro le compagnie fossili accusate di aver cospirato per ingannare la popolazione sulla crisi climatica. È con questa ambiziosa strategia che i legali della prima causa per racket climatico cercheranno di far ritenere l’industria petrolifera responsabile di “decenni di menzogne”. La disputa legale in questione è stata intentata dalle comunità dello stato caraibico di Porto Rico che sono state devastate dall’uragano Maria nel 2017. I querelanti, in particolare, sono 16 comuni, villaggi e città che sono stati duramente colpiti dall’evento estremo che ha provocato migliaia di morti, carestie, danni diffusi alle infrastrutture, nonché il più lungo blackout nella storia degli Stati Uniti.
«Porto Rico è uno dei luoghi più colpiti al mondo dai cambiamenti climatici. Tra uragani, mareggiate, caldo estremo e sbiancamento dei coralli, è il contesto più appropriato per questo contenzioso sul clima», ha dichiarato Melissa Sims, consulente senior dello studio legale Milberg che ha avviato la causa depositata presso la corte distrettuale federale statunitense di Porto Rico. Una contestazione giudiziaria unica nel suo genere che vorrebbe equiparare le decennali cospirazioni dell’industria petrolifera a quelle delle più temibili organizzazioni criminali. In particolare, i legali portoricani hanno intenzione di appellarsi al Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act del 1970, un pacchetto di norme dell’isola originariamente concepito per combattere le associazioni mafiose, ma poi esteso nei tribunali civili per contestare i danni causati dagli oppioidi, dalle emissioni dei veicoli e persino dalle sigarette elettroniche. Ora, è quindi il turno del primo caso simile sui cambiamenti climatici sulla base dell’accusa che le compagnie petrolifere e del carbone internazionali, le loro associazioni di categoria e una rete di scienziati e altri esperti pagati hanno cospirato per ingannare, in questo caso specifico, i residenti di Porto Rico, sul legame diretto tra i loro combustibili che emettono gas serra e la crisi climatica.
Secondo l’accusa, le prove della cospirazione risalgono già al 1989, quando gli imputati, tra cui le multinazionali fossili ExxonMobil, Shell, BP e Rio Tinto, individualmente e attraverso associazioni di categoria, costituirono la Global Climate Coalition, “società senza scopo di lucro finalizzata ad influenzare, pubblicizzare e promuovere gli interessi dell’industria dei combustibili fossili fornendo false informazioni ai loro consumatori e al pubblico in generale“. Il documento, tra le altre cose, sostiene che dette aziende hanno cospirato per uno scopo comune: “ingannare i consumatori e seminare confusione per mantenere alte e redditizie le vendite di combustibili fossili”. Una vera e propria strategia propagandistica, creata appositamente per opporsi al protocollo di Kyoto, il primo grande sforzo internazionale per combattere il cambiamento climatico, compresa di un piano d’azione finalizzato a convincere i consumatori che il riscaldamento globale non si stava verificando e che, se si fosse verificato, non c’era consenso scientifico sulla responsabilità dei combustibili fossili. In sostanza, un piano di negazione del cambiamento climatico messo in atto attraverso versamenti di denaro occulto a istituti di ricerca, gruppi commerciali e società di pubbliche relazioni.
La causa sostiene inoltre che le compagnie fossili sapevano che Porto Rico era un “bersaglio facile” a causa della sua posizione geografica, che rendeva l’isola e la sua popolazione particolarmente vulnerabile agli eventi legati al cambiamento climatico, quali tempeste più calde e umide, caldo estremo e innalzamento del livello del mare. E, più nello specifico, che “i danni causati dalle tempeste del 2017 – e la probabilità che disastri climatici peggiori colpiscano l’isola in futuro – dipendono dalle azioni e dalle omissioni degli imputati, poiché le compagnie petrolifere e del carbone, insieme ai loro complici, sono collettivamente responsabili di oltre il 40% dei gas serra globali”. A dover rispondere delle accuse di frode al consumo, racket, antitrust, false dichiarazioni fraudolente e associazione a delinquere finalizzata alla frode, sette compagnie petrolifere, tre compagnie del carbone e centinaia di organizzazioni e operatori del settore.
[di Simone Valeri]