di Fabio Mini – Fatto Quotidiano (3 gennaio 2023)
La situazione sul campo di battaglia è congelata (in tutti i sensi) ma non statica. Le truppe russe e ucraine si muovono abbastanza agevolmente conducendo azioni limitate, ma soprattutto tendendo ad acquisire e consolidare le posizioni.
A sud di Zaporizha, il fiume Dniepr svolge appieno la sua funzione di confine naturale e ora che l’Ucraina ha unilateralmente annullato gli accordi sulle acque di confine con la Russia è palesemente un elemento fondamentale delle ostilità. La Russia, dopo aver lasciato le posizioni delle regioni di Kherson e Zaporizha ad ovest del fiume continua a controllare quelle ad est che comprendono le parti più sensibili ed economicamente utili alla guerra, inclusa la centrale nucleare di Energodar. Da Zaporizha a Kiev il fiume piega verso nord-ovest e le truppe ucraine controllano il territorio orientale fino al confine russo concentrando però le forze e gli sforzi contro le posizioni delle regioni di Lugansk e Donetsk. Su tutta la linea di contatto tra le forze contrapposte la Russia prosegue con i bombardamenti missilistici e delle artiglierie, mentre sono rallentate le azioni a medio e lungo raggio.
L’Ucraina conferma l’intenzione di premere ancora sul Donbass per respingere i russi oltre il confine, mentre la Russia sta consolidando le posizioni sul Dniepr a sud e sta preparando un’offensiva “invernale” o estiva (quella primaverile sarebbe più difficile ma più sorprendente) per arrivare al Dniepr anche al centro e al nord. Il che significa conquistare territori fino a Dnipro e Kiev. Non era questa l’intenzione iniziale che, come pochi avevano intuito, non era né la conquista di Kiev né l’occupazione di tutta l’ucraina. Come non era l’intenzione iniziale quella di distruggere Mariupol, Kherson e Kharchiv. Gli aiuti americani hanno riequilibrato le capacità ed ora mentre gli ucraini si aspettano un aiuto decisivo occidentale, se non proprio un intervento diretto, per dare una spallata in Donbass e oltre, la Russia sta considerando la necessità di arrivare al fiume anche a Dnipro e Kiev. Con qualsiasi arma.
I MARGINI PER UN CESSATE IL FUOCO da parte di entrambi non esistono, almeno fino a quando uno di essi non raggiungerà gli obiettivi prefissati. Esisterebbe però se gli Stati Uniti decidessero di trattare con la Russia per una definizione della sicurezza in Europa e se americani ed europei si accontentassero delle distruzioni strutturali effettuate finora dai russi per avviare quel piano Marshall da tutti vagheggiato come investimento e che diventa più costoso e impegnativo ogni giorno che passa. Lo stesso presidente Zelensky nella sua visita negli Stati Uniti ha spiegato ai politici americani che gli aiuti in armi per la continuazione della guerra e quindi delle distruzioni “non sono un’elemosina ma un investimento”. Il nostro premier Draghi e il Cepr-centre for Economic Policy Research di Londra tre mesi dopo l’inizio della guerra avevano calcolato un’esigenza di finanziamento della ricostruzione tra 220 e 540 miliardi di dollari (equivalente a un range di variabilità del 245%). Una stima “a spanne” non proprio degna di tali esperti della finanza, visto che la regola di Chitarrella per l’estimo insegna a geometri e ragionieri che se la stima varia del 50% è già un numero a caso. Nello stesso periodo (maggiogiugno) l’ucraina lo calcolava attorno ai 750 miliardi includendo ripristino, ricostruzione, innovazione e finanziamenti privati. A settembre, con lo stesso metodo di calcolo, la cifra raggiungeva il trilione. Oggi con la campagna anti strutturale in corso e l’arrivo di nuove armi si può ragionevolmente considerare il doppio.
Purtroppo l’avidità da ricostruzione non ha limiti e anche questo non induce a sospendere le ostilità. Ma esiste un limite fisico: di questo passo nel giro di qualche mese in Ucraina non rimarrà più nulla da distruggere. È vero che si può ovviare all’inconveniente distruggendo ciò che è stato distrutto, come avvenuto con i bombardamenti Nato contro la Serbia, ma questo non aumenta il costo della ricostruzione e quindi nemmeno il profitto degli “investitori”. Semmai sarà da valutare se la Russia potrà sostenere questo ritmo di bombardamenti e fino a quando. Gli ucraini già contano sulla carenza di munizioni russe e mettono in evidenza ogni tipo di difficoltà, ma è un calcolo che in questi dieci mesi di guerra si è dimostrato fallace. In compenso, non è dato sapere (segreto di stato) quante munizioni, soldati e famiglie rimangono all’ucraina. I missili e i razzi russi continuano ad arrivare e il fatto che molti siano obsoleti o imprecisi tecnicamente conta poco se il loro compito è quello di saturare la capacità di fuoco antiaereo dell’ucraina.
Nel frattempo gli obiettivi sono sempre più disastrati e cinicamente individuati: le stesse immagini trasmesse da Kiev mostrano soltanto vecchi tanto rassegnati da apparire indifferenti e troppo stanchi perfino per fuggire. Sono finite le immagini delle carovane di giovani donne e bambini in fuga. Così come sono sparite le immagini di volontari e resistenti con le bombe molotov a presidio delle barricate. Evidentemente la comunicazione di propaganda è cambiata proprio per rassicurare gli investitori. I vecchi sono a consumazione e non serviranno nella ricostruzione. Saranno un peso in meno. Donne e bambini sono al sicuro e i giovani combattenti non sono più i disperati con le scarpe da ginnastica e un archibugio in mano che sono serviti a mobilitare l’intero occidente eroico e rivoluzionario. Oggi i soldati che vediamo sono ben equipaggiati e armati, sono addestrati dai migliori istruttori del mondo (come Biden chiamò i suoi soldati a Kiev), le armi sono le migliori disponibili sul mercato anche se l’ex presidente Poroshenko ironizza sulle gomme di scorta delle nostre blindo e quindi l’investimento nella continuazione della guerra e nella vittoria finale sarà “remunerativo”. E non è solo una promessa, ma una certezza.
In Ucraina si combatte e si combatterà ancora a lungo e questo prolungamento e allargamento del conflitto è esattamente quello che l’entourage di Zelensky si aspettava. Lui e i suoi stanno vincendo alla grande e sono felici. L’ucraina un po’ meno. Per valutare i risultati dei russi è invece necessario un distinguo. Se si parte da ciò che l’occidente dei fanatici della guerra credeva e si aspettava (o fingeva di aspettarsi) la Russia ha fallito: non ha occupato l’ucraina, non ha distrutto Kiev, non ha messo un governo fantoccio, non ha impaurito l’occidente e non ha invaso né i paesi baltici, né la Germania, la Francia o il Benelux. Se si parte invece da quello che i soliti pochi avevano valutato basandosi sulla natura e quantità delle forze, ovvero che si trattasse di operazioni tattiche ad obiettivi limitati (Donbass) e pressioni strategiche per un negoziato, si può osservare che il Donbass è ancora in mano russa e che la fascia di protezione fra Russia e Crimea è assicurata. La guerra è tutt’altro che perduta e anche se finisse oggi la presenza russa in Ucraina, includendo la “presenza” delle bombe sulla testa della gente, è destinata a durare. Questo sul campo di battaglia. In termini politici, la Russia ha ottenuto un controllo molto labile delle provincie annesse e non ha ottenuto nessuna disponibilità a trattare. La presunta coesione occidentale che si sarebbe realizzata in ambito europeo e Nato è tutt’altro che stabile, ma il sostegno americano all’ucraina è forte e deciso, per ora, e la minaccia alla Russia è concreta. Inoltre gli obiettivi dichiarati dai russi non sono stati raggiunti: la smilitarizzazione dell’ucraina si è tradotta in rimilitarizzazione dell’intero continente europeo e la denazificazione dell’ucraina si è tradotta in rinazificazione di buona parte dell’europa in termini anche formali e di tutto l’occidente in termini concettuali. Se non nelle parole sicuramente nei fatti. Buon Anno