Saranno sorpresi gli scettici del pallone, che considerano il calcio una mera espressione della massima latina panem et circences, quindi anestetizzante per il popolo nelle mani delle istituzioni. Tuttavia, il calcio non aliena, al massimo ingloba. L’occhio attento scorge nel calcio la politica, le questioni sociali o l’eredità culturale. L’occhio attento vede in un gol di mano un atto politico, la vendetta del proprio popolo, l’umiliazione del padrone. Avrà pensato tutto ciò Diego Armando Maradona quel 22 giugno 1986, quando durante Argentina-Inghilterra realizzò il gol del secolo e mostrò al mondo intero la Mano de Dios, molto più di una rete ribelle segnata di mano. Uno slancio, che agli appassionati ha ricordato la tensione negli arti di Davide prima di sferrare il colpo contro Golia, sorretto da tutto il popolo argentino, sfregiato dalle politiche imperialiste britanniche durante la guerra delle Malvinas. A distanza di quasi quarant’anni da quella partita, si avverte la mancanza di un atto politico o di una presa di posizione, di quelle tipiche del genio di Lanús, scomparso da ormai due anni. Tutto tace, fatta esclusione per alcune voci fuori dal coro che non riescono però a sfondare il muro dell’indifferenza e dell’incoerenza eretto dalla FIFA, la federazione internazionale che governa il calcio e ha assegnato al Qatar la competizione mondiale, con non pochi coni d’ombra. Un muro che è soltanto l’ultima (in ordine temporale) macchia sul curriculum dell’organizzazione con sede a Zurigo, definita da Maradona come il «parco giochi dei corrotti», habitat naturale di «mafiosi, ladroni, dittatori e ignoranti».
La struttura piramidale del calcio
La struttura che gestisce il fenomeno calcistico può essere paragonata a una piramide abbastanza atipica. Nei vari livelli – mondiale, continentale e nazionale – permane infatti una certa autonomia nella gestione dei propri interessi. Ad esempio, la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) è “l’unica associazione accreditata allo scopo di promuovere in Italia il gioco del calcio, del calcio a 5 e del beach soccer, oltre a curare gli aspetti a essi connessi”³. Il livello nazionale si scompone in Leghe, come la Lega Nazionale Professionisti Serie A, che fanno riferimento alla FIGC per l’organizzazione di campionati e coppe. Le varie federazioni nazionali vengono poi unite in associazioni continentali, come la UEFA nel caso dell’Europa. Il compito delle sei confederazioni sparse per il mondo è di organizzare competizioni ufficiali per nazionali e club. La UEFA ne gestisce, rispettivamente, nove e cinque. Tra le prime, si ricordano i campionati europei maschili (dal 1960) e femminili (dal 1984), mentre in ambito di club spicca la Champions League (originariamente Coppa dei Campioni d’Europa), seguita dall’Europa League e dalla neonata Conference League. Infine, ad occupare il vertice della piramide istituzionale è la FIFA, la federazione internazionale che governa gli sport del calcio, del calcio a 5 e di quello da spiaggia (beach soccer), organizzandone le manifestazioni intercontinentali. Tra queste, primeggia per seguito e importanza il campionato mondiale di calcio, la competizione che ogni quattro anni riunisce 211 Paesi. La fase finale viene disputata da 32 nazioni in un Paese scelto dalla FIFA, formalmente sulla base delle sue capacità di organizzazione e della qualità delle infrastrutture. La realtà è un’altra ed è impregnata di motivazioni politiche ed economiche, come dimostrano gli scandali che negli anni si sono succeduti, uno su tutti il “FIFA Gate” del 2015 che condusse all’arresto di sette massimi dirigenti FIFA. L’evento sportivo più redditizio al mondo, anche più delle Olimpiadi che richiedono investimenti pubblici maggiori, non esula ovviamente dalle logiche del profitto, del guadagno e del potere. David Goldblatt, l’autore del libro The Ball is Round: A Global History of Football (La palla è rotonda: storia universale del calcio) dice che, arrivati a una manciata di squadre dalla decisione finale, gli aspetti tecnici sono quasi del tutto irrilevanti, e vincerà il Paese che meglio saprà adulare i vertici del Consiglio FIFA, con buona pace di ciò che è meglio per i tifosi. Un gioco di soldi, conoscenze, politica e capacità di navigare nel complesso mondo del potere del calcio mondiale.
Il calcio come prodotto da vendere
«All’interno della FIFA c’è l’anarchia totale. C’è soltanto un uomo che decide tutto e non sa assolutamente nulla, un ignorante», affermò Maradona in riferimento a Joseph Blatter, il numero uno della FIFA dal 1998 al 2015, giudicato colpevole di corruzione e condannato a 8 anni di squalifica dal Comitato Etico dell’organizzazione. Blatter amava ribadire l’essenza del «nostro sport»: «disciplina, rispetto e fair play». Insomma, il classico dei “predica bene e razzola male”. La FIFA ha mascherato negli anni casi di incoerenza, corruzione e assegnazioni opache, nascondendosi alle spalle del mito del progresso. Così, l’operato dell’organizzazione è stato definito come «un eccellente lavoro di promozione del calcio nel mondo». Queste le parole di Chuck Blazer, uomo d’affari divenuto membro del Consiglio FIFA nel 1996. Un premio per la rivoluzione realizzata nella Confederazione nord e centroamericana (CONCAF) attraverso le modifiche alla Gold Cup, una delle competizioni più importanti del continente. Blazer avviò quel processo di ampliamento che ha portato a raddoppiare il numero dei partecipanti, passati dagli 8 del 1993 ai 16 attuali, scelti attraverso delle fasi eliminatorie, come accade per i mondiali. Un tentativo di coinvolgere il continente o di rendere il prodotto calcistico vendibile su più mercati?
In questa direzione s’inseriscono le parole dello stesso Blazer, che ha dichiarato di aver gestito e dunque assegnato la competizione «in base alle offerte», e la scelta di coinvolgere il Qatar, Paese mediorientale, nella Gold Cup 2021. Le risorse provenienti dalle monarchie del Golfo, traducibili in sponsor e diritti televisivi, da anni ricoprono un ruolo fondamentale nel calcio contemporaneo, che ha abbandonato le radici del Vecchio Continente per approdare dove il profitto chiama. Vendere il prodotto e ottenerne una percentuale per lo sforzo. Appare questa la logica che, alla luce degli ultimi scandali, muove gli alti organi calcistici. Nel 2013, Blazer venne accusato di corruzione e utilizzo a fini personali delle risorse della CONCAF. Nello stesso anno, il dirigente statunitense ammise di aver collaborato con altri membri del Consiglio FIFA per accettare, in cambio di tangenti, l’offerta del Marocco e del Sud Africa di ospitare l’edizione dei mondiali del 1998 e 2010. Per veder realizzata la propria candidatura ed essere scelto come organizzatore dei mondiali, un Paese deve ottenere il consenso della maggioranza dei 24 membri che formano il Consiglio FIFA, ribattezzati “gli dèi del calcio”. Città del Capo riuscì nell’intento, ospitando la diciannovesima edizione dei mondiali, mentre le tangenti non bastarono a Rabat che vide sfumare la candidatura a favore della Francia. A capo dell’organizzazione di quella Coppa del Mondo c’era Jacques Lambert, che ha ricoperto lo stesso ruolo per gli Europei del 2016, assegnati nuovamente a Parigi.
Il “FIFA Gate”
Dopo essere stato ai vertici della CONCAF e della FIFA tra il 1990 e il 2013, Chuck Blazer è stato travolto dallo scandalo della corruzione, diventando collaboratore del FBI e perno centrale nell’inchiesta che nel 2015 ha portato a 14 accuse di truffa, criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio di denaro tra l’élite del calcio mondiale. Il 27 maggio, a Zurigo, vennero arrestati 7 massimi dirigenti FIFA: Jeffrey Webb, Eduardo Li, Julio Rocha, Rafael Esquivel, Joséu Maria Marin, Costas Takkas ed Eugenio Figueredo. Quest’ultimo, ex presidente della Confederazione sudamericana (CONMEBOL), riconobbe di aver accettato, insieme ad altri membri dell’organizzazione, denaro dalle aziende televisive per favorirle dal punto di vista commerciale durante le competizioni. Seguirono poi le squalifiche di 8 anni indirizzate dal Comitato etico della federazione a Sepp Blatter e Michel Platini per corruzione. Parallelamente, in Svizzera, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha accusato i due di truffa, appropriazione indebita o amministrazione infedele e falsità in documenti, a partire da un sospetto pagamento di due milioni di franchi da parte di Blatter diretto al conto di Platini. L’MPC proponeva una pena detentiva con la condizionale di un anno e otto mesi per entrambi. All’ex campione francese era inoltre stato chiesto un indennizzo di circa 2,2 milioni di franchi. Tuttavia, il Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona ha assolto lo scorso luglio sia l’ex presidente della FIFA sia l’ex numero uno della UEFA, concedendogli anche un risarcimento. Nelle scorse settimane, il Ministero pubblico della Confederazione ha confermato il ricorso contro la sentenza del tribunale elvetico, arrivando ai supplementari del caso che va avanti da 7 anni. Il “FIFA Gate” ha fatto luce su più di vent’anni di corruzione, rea di aver influenzato accordi di marketing, diritti TV (come nel caso della Copa América Centenario celebratasi negli USA nel 2016) e l’assegnazione dei mondiali, per un totale di oltre 150 milioni di dollari di tangenti.
Nel 2002, si assistette a trattative sottobanco e poi alla tregua tra rivali (Giappone e Corea del Sud) che poco prima del voto finale presentarono la candidatura congiunta, su mediazione della FIFA. Una mossa inedita per non scontentare nessuno, fatta eccezione per i tifosi, costretti a fronteggiare distanze infinite e scelte dell’ultimo minuto. I dubbi avvolgono anche l’assegnazione della diciottesima edizione della massima competizione per le nazionali, con la Germania outsider inaspettato. Alle tangenti si aggiungono favori su vasta scala: il giornale tedesco Die Zeit riporta un presunto invio di armi dal governo tedesco verso l’Arabia Saudita per inglobare i voti del Medio Oriente nella sfera berlinese e di investimenti da parte di Volkswagen e Bayer in Thailandia e di Daimler nella coreana Hyundai per favorire la raccolta voti in Asia. Fatto sta che lo scrutinio si concluse con 12 voti a favore della Germania, 11 a supporto del Sud Africa e 1 astenuto, che fece scoppiare la polemica. Si trattava di Charlie Dempsey, membro neozelandese, che avrebbe dovuto votare per la candidatura di Johannesburg, come indicato dalla Confederazione dell’Oceania. In caso di parità, la decisione finale sarebbe toccata al presidente Blatter, che aveva manifestato il suo consenso alla causa africana. Passa del tempo e il Sudafrica, complici cospicue tangenti, riesce a ottenere l’assegnazione dei mondiali, quelli del 2010. Si tratta dell’edizione più discussa, che scatena l’indagine dell’FBI, partita proprio da un pagamento di 10 milioni di dollari girato dalla FIFA alla CONCAF in nome del Sudafrica, ufficialmente destinato alla “causa della diaspora”, per costruire stadi e infrastrutture. Diverse mail compromettenti, inviate da Blatter ai propri collaboratori, dimostrano la connessione e l’intesa tra il boss della FIFA e Thabo Mbeki, l’allora presidente del Sudafrica. In un’intercettazione ai danni di Ismail Bhamjee, membro del Botswana e gancio di Blatter nel continente, emerge che: «Nel 2010 aveva vinto il Marocco per due voti. Issa Hayatou del Camerun, Slim Aloulou della Tunisia e Amadou Diakite della Costa d’Avorio sono tutti stati pagati per votare Marocco». In totale un milione di dollari ma a quanto pare il Sudafrica ne ha poi offerti 10. Per l’edizione del 2014 il Brasile arriva alle fasi finali come candidato unico, e la mancanza di concorrenza si spiega alla luce della sua spesa ineguagliabile tra i contratti pompati legati ai diritti tv. Il Brasile finisce la sua esperienza in semifinale, mentre María Marin, a capo della federazione, viene arrestato.
2 dicembre 2010: opportunismo e corruzione vincono i mondiali
«Il Qatar non ha una squadra, non ha stadi, non ha nulla. Però ha un sacco di soldi», afferma Mary Lynn Blanks riferendosi a un viaggio nell’emirato al seguito del compagno Chuck Blazer. La frase sintetizza al massimo il senso dell’assegnazione dei mondiali al Qatar, concentrando l’attenzione sul potere del denaro. Potere che di certo non mancava a Mohammed bin Hammam, dirigente qatariota membro del Consiglio FIFA dal 1996 al 2011 nonché stretta conoscenza di Sepp Blatter, capace di muovere milioni di dollari nelle tasche degli uomini chiave dell’associazione per rendere più appetibile la candidatura del proprio Paese, concretizzatasi il 2 dicembre 2010 con 14 voti a favore su 22. Nella stessa occasione – per ottenere migliori contratti televisivi e pubblicitari – si votò anche per l’assegnazione dei mondiali 2018, finita a Mosca dopo una lunga corsa a due con il Regno Unito. Al riguardo, bin Hammam affermò: «Nel mio cuore so di dover votare per l’Inghilterra, tuttavia voterò per il Paese europeo che mi darà la maggior quantità di voti per la candidatura del Qatar. Lo devo al mio Paese». Egli fu cruciale nell’organizzare incontri e costruire ponti economici tra Mosca e Doha, tra sceicchi e oligarchi, «che unsero tanto», troppo per le casse inglesi. Poco dopo la votazione, i due Paesi annunciarono un accordo per l’estrazione di petrolio nello Yamal, penisola siberiana. Soltanto affari.
Tale logica opportunista e di scambio favorita dal doppio voto non rappresentava di certo un caso isolato all’interno della FIFA, dal momento in cui due membri del Consiglio furono sospesi prima del 2 dicembre perché intenzionati a vendere il loro voto al miglior offerente. I giornalisti del Sunday Times contattarono Amos Adamu, membro nigeriano dell’organo esecutivo FIFA, presentandosi come imprenditori statunitensi interessati a far svolgere a Washington i mondiali del 2018. Adamu promise il proprio voto favorevole in cambio di 800 mila dollari. Discorso analogo per l’offerta avanzata a Reynald Temarii, membro del Consiglio e presidente della OFC, la Confederazione calcistica dell’Oceania. A qualche settimana dalla votazione, venne diffuso un filmato che ritraeva l’ex segretario generale della FIFA, Michel Zen-Ruffinen, intento a offrirsi come mediatore tra le parti alla modica cifra di 200 mila sterline. Nel video incriminato, Zen-Ruffinen sostenne l’esistenza di un accorto tra Spagna, Portogallo e Qatar tale da garantire all’emirato 7 dei 24 (poi passati a 22 per i due scandali) voti in ballo. L’intesa si espanse fino a raggiungere Parigi, dove bin Hammam – accompagnato dal principe ereditario Tamim bin Hamad Al Thani – incontrò nove giorni prima della votazione finale il presidente Nicolas Sarkozy e Michel Platini. L’appuntamento, al centro dell’inchiesta giornalistica “Qatargate”⁴, nel 2019 valse a Platini un arresto e 15 ore di custodia cautelare in Francia, salvo poi essere rilasciato dalle autorità locali. Il rapporto pubblicato su France Football da Philippe Auclair ed Eric Champel venne approfondito da Micheal García, nominato nel 2012 presidente dell’organo istruttorio della FIFA. Due anni dopo, presentò al Comitato etico un lavoro di oltre quattrocento pagine per informarlo di tutte le irregolarità nell’assegnazione dei mondiali di Russia e Qatar. L’organo affossò l’inchiesta, considerando insufficienti le numerose prove raccolte dall’interno da García, che decise di rassegnare le dimissioni.
In seguito alla votazione del 2 dicembre, Blatter incolpò l’ex centrocampista della Juventus di non aver rispettato “il patto dei signori”, l’accordo segreto per concedere la massima competizione per nazionali di calcio agli Stati Uniti (fermatisi nel 2010 a 8 voti contro i 14 per il Qatar). Nel 2015, Platini aprì all’esistenza di tale intesa con le autorità statunitensi, comunque non rispettata dal momento in cui egli decise di votare a favore dell’emirato perché «era la scelta giusta». Secondo quanto dichiarato da Blatter nello stesso anno, Platini gli avrebbe riferito poco prima della votazione di non essere dalla sua parte perché erano arrivate istruzioni precise dal Capo di Stato francese in materia di “riconsiderazione” delle relazioni tra Parigi e Doha. Con l’incontro all’Eliseo, le parti avevano concordato il supporto alla candidatura qatariota in cambio di massicci investimenti nel calcio d’oltralpe. Poche settimane dopo la votazione, la Qatar Sport Investment acquistò il 70% delle azioni del Paris Saint-Germain, salvandolo dal disastro finanziario e avviando una campagna acquisti mai vista prima all’ombra della Torre Eiffel. In dieci anni, dal 2011 al 2021, il presidente Nasser Al-Khelaifi ha speso oltre un miliardo e mezzo di euro sul mercato. Come riporta il quotidiano spagnolo La Vanguardia, per effettuare i diversi pagamenti e portare a termine il processo di corruzione (per una cifra pari a 3,6 milioni di dollari), bin Hammam arrivò a utilizzare fino a dieci prestanome, controllati dalla propria società di costruzioni. Nel maggio 2011, il Consiglio FIFA sospese il dirigente qatariota e dopo qualche mese il Comitato etico della federazione gli vietò per sempre la realizzazione di attività connesse al calcio, dichiarandolo colpevole di “ripetute violazioni” del codice etico e delle norme sul conflitto di interesse. La punta di un iceberg tremendamente profondo.
[di Salvatore Toscano]