Il combinato disposto del sostegno bellico al regime di Kiev unito alle scellerate e autolesionistiche sanzioni imposte alla Russia hanno provocato crisi economica in Europa e spinto l’inflazione a livelli mai visti da decenni.
Il rallentamento della crescita è particolarmente pronunciato nei paesi vicini all’Ucraina, come la Polonia e l’Ungheria, ma anche l’Italia e la Germania, fortemente dipendenti dal petrolio e dal gas russi, stanno subendo la pressione.
Secondo Nouriel Roubini, il noto economista che ha previsto la crisi finanziaria del 2008 e la successiva Grande Recessione, il futuro è a tinte fosche per l’economia mondiale.
Le economie avanzate e i mercati emergenti sono sempre più impegnati in ‘guerre’ necessarie – alcune reali, altre metaforiche – che porteranno a deficit fiscali ancora più ampi, a una maggiore monetizzazione del debito e a un’inflazione persistente. Il futuro sarà stagflazionistico, e l’unica domanda è quanto sarà grave per Roubini.
“L’inflazione è aumentata bruscamente nel 2022 sia nelle economie avanzate che nei mercati emergenti. Le tendenze strutturali suggeriscono che il problema sarà secolare, piuttosto che transitorio. In particolare, molti Paesi sono ora impegnati in varie ‘guerre’ – alcune reali, altre metaforiche – che porteranno in futuro a deficit fiscali ancora più ampi, a una maggiore monetizzazione del debito e a un aumento dell’inflazione”.
Dunque “il mondo sta attraversando una forma di ‘depressione geopolitica’, caratterizzata dall’acuirsi della rivalità tra l’Occidente e le potenze revisioniste allineate (se non alleate) come Cina, Russia, Iran, Corea del Nord e Pakistan”.
Con il rischio sempre maggiore che nel conflitto in Ucraina possa entrare direttamente la NATO. “Di conseguenza, gli Stati Uniti, l’Europa e la NATO si stanno riarmando, così come praticamente tutti i paesi del Medio Oriente e dell’Asia, compreso il Giappone, che ha avviato il suo più grande potenziamento militare da molti decenni a questa parte. Livelli più elevati di spesa per armi convenzionali e non convenzionali (comprese quelle nucleari, cibernetiche, biologiche e chimiche) sono praticamente assicurati e queste spese peseranno sulle casse pubbliche.
Anche la guerra globale contro il cambiamento climatico sarà costosa, sia per il settore pubblico che per quello privato. La mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico potrebbero costare trilioni di dollari all’anno per i decenni a venire, ed è sciocco pensare che tutti questi investimenti possano favorire la crescita. Dopo una vera e propria guerra che distrugge gran parte del capitale fisico di un Paese, un’ondata di investimenti può ovviamente produrre un’espansione economica; tuttavia, il Paese è più povero per aver perso gran parte della sua ricchezza. Lo stesso vale per gli investimenti climatici. Una quota significativa del capitale sociale esistente dovrà essere sostituita, perché è diventata obsoleta o perché è stata distrutta da eventi climatici”.
L’economista poi aggiunge altre motivazioni come le future pandemie e l’automazione che provocherà un aumento significativo della disoccupazione, tra i motivi che causeranno un aumento del debito pubblico.
A causa di questo scenario per i “paesi che prendono a prestito nella propria valuta, l’opzione conveniente sarà quella di consentire un’inflazione più elevata per ridurre il valore reale del debito nominale a tasso fisso a lungo termine. Questo approccio funziona come un’imposta sul capitale contro risparmiatori e creditori a favore di mutuatari e debitori, e può essere combinato con misure complementari e draconiane come la repressione finanziaria, le tasse sul capitale e l’insolvenza totale (per i paesi che prendono a prestito in valute estere o il cui debito è in gran parte a breve termine o indicizzato all’inflazione). Poiché la “tassa sull’inflazione” è una forma sottile e subdola di tassazione che non richiede l’approvazione legislativa o esecutiva, è il percorso predefinito di minor resistenza quando i deficit e i debiti sono sempre più insostenibili”.
Ma non finisce qui. Roubini conclude affermando che “ci sono anche molti shock di offerta aggregata negativi a medio termine che potrebbero aggiungersi alle pressioni stagflazionistiche di oggi, aumentando il rischio di recessione e crisi del debito a cascata. La Grande Moderazione è morta e sepolta; la grande crisi del debito stagflazionario è alle porte”.
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