Secondo alcune indiscrezioni, il governo Meloni sta valutando la ratifica del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), noto anche come Fondo salvastati, in cambio di alcune modifiche al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Dall’incontro di ieri a Bruxelles dei ministri delle Finanze dell’Eurozona, riuniti nell’Eurogruppo, infatti, è emerso che il governo italiano sta lavorando sul tema per valutare la ratifica dell’emendamento allo Statuto del Fondo. Secondo le anticipazioni della stampa, invece, il governo Meloni potrebbe avviare a giorni l’iter parlamentare per la ratifica: l’Italia è rimasta l’unica nazione a non aver recepito la modifica dello Statuto del Fondo insieme alla Croazia che ha da poco adottato la moneta unica europea. Per questo, anche le pressioni da parte delle istituzioni comunitarie aumentano. Al riguardo i due commissari europei, Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, si sono detti fiduciosi sul fatto che tutti i Paesi ratificheranno il nuovo Statuto: secondo Gentiloni, «la decisione sulla ratifica spetta al governo italiano, ma l’emendamento allo Statuto del MES è stato già condiviso più di due anni fa dal governo italiano. Lo statuto rivisto del MES serve all’insieme dei Paesi, a prescindere da chi lo utilizzerà». Il presidente dell’Eurogruppo, Paschale Donohoe, invece, si è espresso sulla questione dicendo che «dopo aver visitato Roma riconosco il lavoro in corso su questo tema da parte del governo italiano». La questione assume una rilevanza fondamentale se si pensa che i principali partiti di maggioranza – FdI e Lega – sono sempre stati contrari alla sottoscrizione e all’utilizzo di questo strumento finanziario, evidenziandone le insidie riguardanti soprattutto le condizionalità stringenti per l’utilizzo dei fondi in caso di crisi del debito e, dunque, il pericolo di commissariamento. Ora però, sembra che il governo Meloni – che ha sempre assicurato che non avrebbe sottoscritto le modifiche – sia costretto a fare marcia indietro a causa delle pressioni e degli scarsi margini di trattativa a disposizione.
Il Mes è un ente intergovernativo dell’Ue nato nel 2012 con lo scopo di fornire assistenza economica agli Stati dell’Eurozona in difficoltà finanziaria per salvaguardare la stabilità dell’intera eurozona: il valore del fondo ammonta a circa 700 miliardi di euro, reperiti, in parte, attraverso l’emissione di titoli, e in parte, attraverso il contributo al fondo degli stessi Stati membri, calcolato in base al loro peso economico. La quota più grande è quella della Germania (27,1%), seguita da Francia (20,3%) e Italia (17,9%). Il Paese richiedente il prestito attraverso una lettera d’intenti deve poi attuare azioni di consolidamento fiscale, fare riforme strutturali e riforme del settore finanziario. In altre parole, l’accesso a tali fondi – che in buona percentuale coincidono con i versamenti effettuati dagli stessi Stati – si tradurrebbe automaticamente in una serie di azioni inderogabili che andrebbero ulteriormente a tagliare la spesa pubblica e a promuovere le privatizzazioni. Oltre a questo, la richiesta di accedere agli aiuti del Fondo potrebbe comportare la famigerata, sebbene non automatica, ristrutturazione del debito: quest’ultima esporrebbe gli Stati a un rischio di fallimento ancora più grande, in quanto ristrutturare il debito significa ridurre il capitale da rimborsare o gli interessi o, ancora, posticipare i pagamenti dovuti rispetto alle scadenze fissate. Ciò non farebbe altro che allontanare gli investitori aumentando paradossalmente il rischio di default. Per questo l’Italia è stata a lungo scettica sulla convenienza ad approvare un tale strumento finanziario. Tuttavia, le pur velate pressioni da parte di Bruxelles si intensificano di giorno in giorno e al governo Meloni – per intavolare un “negoziato” – pare non restare altra carta da giocare se non quella del MES per ottenere delle modifiche a un altro strumento finanziario che si configura come fortemente limitativo delle decisioni e della sovranità nazionale: il PNRR.
L’attuale esecutivo ha sempre sostenuto la necessità di una modifica al Piano in seguito ai recenti avvenimenti internazionali e all’aumento dei costi delle materie prime. Fino ad ora dalla Commissione non ci sono stati grandi segnali di apertura in tal senso, in quanto il PNRR è modificabile, ma solo a condizioni molto stringenti: ad esempio, se un certo piano previsto nel documento non è più realizzabile per motivazioni oggettive. In tal caso, è necessario presentare una richiesta motivata alla Commissione per valutare le modifiche. Il governo Meloni vorrebbe ridurre il numero delle opere da realizzare, cancellando parte dei 120 miliardi di lavori pubblici, in quanto il costo delle materie prime per la realizzazione delle opere è aumentato di circa il 30%. Siccome le singole richieste di modifica del PNRR, da un lato, e del MES, dall’altro, da parte dell’esecutivo italiano non sono state accolte dalla Commissione, al governo Meloni non resta che provare a intrecciare le due questioni per aprire una trattativa: la concessione alle modifiche del PNRR in cambio della ratifica del MES, con la promessa che quest’ultimo strumento non verrà mai usato dal governo. Si tratta di una sorta di compromesso che dovrebbe servire a tranquillizzare l’elettorato di centrodestra, ostile al meccanismo finanziario in questione.
Se da un lato, secondo alcuni commentatori la ratifica dello Statuto è data già per scontata e vista come una sconfitta dei partiti una volta considerati “sovranisti”, dall’altro, c’è chi ritiene che i giochi siano ancora aperti e che la scelta ultima spetti al Parlamento. Di quest’ultimo avviso anche il direttore del Mes, Pierre Gramegna, che ieri in conferenza stampa a Bruxelles ha affermato che, durante la visita in Italia, ha avuto un buon scambio di vedute col ministro delle Finanze e la presidente del Consiglio: «Ora è tutto nelle mani del Parlamento: l’Italia è una democrazia e dobbiamo rispettare le procedure», ha asserito. Tuttavia, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha rassicurato Bruxelles sul fatto che la ratifica potrebbe essere vicina. In tal caso, sarebbe ancora una volta evidente la subalternità delle istituzioni nazionali e del Parlamento alla volontà delle istituzioni comunitarie: lo scorso 30 novembre, infatti, era stata votata una mozione che impegnava il governo a non «approvare il disegno di legge di ratifica del Trattato istitutivo del Mes». Ora le pressioni europee potrebbero imporre all’esecutivo di superare quella mozione obbligandolo a fare marcia indietro con la magra consolazione – ancora da confermare – di ottenere un margine di trattativa risicato sulle modifiche al PNRR.
[di Giorgia Audiello]