Con la vittoria dei laburisti alle elezioni legislative, tutto sembra pronto affinché il piccolo arcipelago caraibico diventi finalmente una repubblica, abbandonando definitivamente la corona britannica.
Il 18 gennaio, i cittadini del piccolo arcipelago caraibico di Antigua e Barbuda sono stati chiamati alle urne per le elezioni legislative, che mettevano in palio i diciassette seggi dell’emiciclo di Saint John’s. Il risultato ha premiato l’Antigua and Barbuda Labour Party (ABLP) del primo ministro Gaston Browne, in carica dal 2014, che ha dunque ottenuto un terzo mandato consecutivo alla guida del governo.
Tra le forze di opposizione, lo United Progressive Party (UPP), guidato dall’ex ministro degli Esteri Harold Lovell, ha ottenuto sei scranni, mentre l’ultimo seggio disponibile è andato al Barbuda People’s Movement di Trevor Walker.
Questo risultato elettorale dà nuova linfa alla svolta repubblicana che si prospetta per il piccolo Stato caraibico. In effetti, l’arcipelago di Antigua e Barbuda ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito sin dal 1981, ma il Paese è comunque rimasto formalmente sotto la corona britannica. Ad oggi, la massima carica presente nella capitale è il governatore generale Sir Rodney Williams, rappresentante della monarchia, anche se la linea politica del governo viene determinata dal primo ministro, mentre il governatore ha un ruolo prevalentemente formale.
Già nello scorso settembre, il capo del governo Gaston Browne aveva pubblicamente affermato la sua intenzione di indire un referendum per trasformare il Paese in una repubblica. Allora, Browne aveva detto che il referendum sarebbe stato organizzato entro tre anni, affinché la popolazione decida se restare unita alla monarchia britannica o proclamare una repubblica. Il primo ministro aveva anche specificato che il referendum non sarebbe stato un atto di ostilità nei confronti della monarchia britannica, ma che allo stesso tempo si sarebbe reso necessario per affermare la piena sovranità del Paese.
“Il referendum non rappresenta alcuna forma di mancanza di rispetto nei confronti del monarca. Questo non è un atto di ostilità, né c’è alcuna diffidenza tra Antigua e Barbuda e la monarchia”, aveva detto Browne. “Si tratta di un passo finale per completare il cerchio dell’indipendenza per diventare una nazione veramente sovrana“, aveva aggiunto.
Tuttavia, la dichiarazione di Browne era stata accolta negativamente a Londra, essendo giunta pochi giorni dopo la morte della regina Elisabetta II. In quella stessa occasione, Browne aveva partecipato ad una cerimonia formale insieme ad altri dignitari locali, in cui hanno firmato la proclamazione che conferma lo status del loro nuovo re, Carlo III d’Inghilterra, formalmente sovrano anche di Antigua e Barbuda.
Con un nuovo mandato di governo davanti a sé, Browne avrà tutto il tempo per indire il referendum repubblicano. Del resto, non molto tempo fa la vicina isola di Barbados aveva fatto lo stesso, diventando ufficialmente una repubblica nel dicembre del 2021. Se Antigua e Barbuda dovesse decidere di abbandonare la monarchia, potrebbe esserci un effetto domino nella regione caraibica, visto che anche altri Stati (Bahamas, Giamaica, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine) si trovano nella medesima situazione.
Oltre alla questione del referendum repubblicano, il governo laburista di Antigua e Barbuda si sta prodigando anche per la causa della lotta al riscaldamento globale. Lo scorso 23 settembre, Browne era intervenuto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per sottolineare la necessità di una risposta globale per affrontare il cambiamento climatico. “Siamo di fronte a un’emergenza climatica. Ciò significa che il nostro pianeta è in fiamme. Stiamo dando fuoco al nostro pianeta”, aveva detto il primo ministro, chiedendo che i Paesi insulari vengano aiutati con fondi per alleviare la situazione climatica.
Browne ha osservato che, di fronte all’emergenza climatica, “insistiamo affinché gli Stati maggiormente responsabili dell’inquinamento del pianeta rispettino i loro obblighi e risarciscano le loro vittime“. “È fondamentale comprendere che il riscaldamento globale è fatale, ma che i suoi effetti non sono gli stessi in tutti i Paesi. Questi ricadono su piccole nazioni in via di sviluppo come Antigua e Barbuda”, ha sottolineato il primo ministro.
In quella medesima occasione, il primo ministro Browne ha offerto il suo sostegno al Trattato di non proliferazione dell’energia fossile per ridurre gradualmente la produzione di carbone, petrolio e gas, promosso da Vanuatu, arcipelago dell’Oceano Pacifico che rischia di sparire a causa dell’innalzamento del livello dei mari.
CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK
Giulio Chinappi – World Politics Blog