Nel corso del dibattito che si è sviluppato nell’Assemblea di lancio per le “primarie” del PD è mancata l’analisi del vero “oggetto del contendere” .
Il tema di fondo, infatti, non risiede nella situazione del partito, nella sua evidente incapacità di rappresentare soggetto di proposta politica e di aggregazione del consenso.
Il nodo gordiano di questa fase è invece quello della fragilità congenita del sistema politico italiano e del suo disancoraggio complessivo dall’insieme delle contraddizioni sociali.
Un dato di analisi che coinvolge tutti i soggetti in campo: la fragilità del sistema politico sta già presentando il conto, dopo pochi mesi, anche al governo di destra che non appare in grado di ravvisare un punto comune o una capacità di condensare spinte diverse in qualcosa di coerente e compatto, sbandando di qua e di là .
Come vedremo meglio in seguito per la destra non risulterà sicuramente sufficiente portare avanti la problematica della modifica costituzionale (questione che è sempre risultata viatico di sconfitta per il suoi propugnatori) avanzata in termini tra loro contrastanti e fortemente divisiva anche rispetto all’elettorato (al di là delle sirene dei facili slogan: ” la donna/uomo forte”; “la priorità del proprio giardinetto”).
Tornando al PD il primo interrogativo che si pone riguarda la difficoltà nel porsi come “traduzione politica” ai movimenti reali presenti nel Paese: movimenti che pure stanno fornendo significativi segnali di vitalità e di presenza sociale.
Due soli esempi: il movimento sindacale, con lo sciopero generale del 16 dicembre scorso e il movimento per la pace che, dopo la manifestazione nazionale del 5 novembre, sta continuando a crescere, anche in dimensione europea (a questo livello è prevista una manifestazione a Barcellona).
Presenza sindacale in connessione pacifista che fa sì che nel movimento confluiscano vari impulsi sia al riguardo del modello economico, della giustizia sociale, dell’uguaglianza e dell’impatto ambientale.
Il PD, pur svolgendo a lungo ruolo di governo in funzione pivotale dovrebbe analizzare meglio come elemento di principio di non essere stato al governo tra il 2011 e il 2022 con i governi Monti,Letta, Renzi, Gentiloni, Conte II, Draghi, come soggetto parte di una coalizione vincente alle elezioni (in seguito: o governi di larghe intese oppure frutto di trasformismi e scissioni, dal Nuovo Centro destra di Alfano al M5S versione Conte II) . Ed è questo un punto che definisce davvero la crisi come “sistemica”: un partito dal consenso insufficiente che si regge come “architrave” della governabilità per un periodo di circa 10 anni (esclusa la parentesi gialloverde).
Osserviamo per punti:
1) Via via, tra le elezioni 2013 e quelle 2022 passando per le Europee 2014 e 2019 il consenso per il partito di maggioranza relativa pro-tempore si è via, via ristretto in un quadro di altissima volatilità (dagli 11 milioni di voti del PD targato Renzi nel 2014 ai poco più di 7 milioni raggranellati da FdI nel 2022);
2) L’esito elettorale è stato sempre determinato da una costante ricerca del “nuovo” da parte di settori molto consistenti dell’elettorato che via, via si sono espressi in “sacche” di consenso territoriale oppure legate a “single issue” di stampo corporativo, anche se dettate da istanze materiali molto pressanti (nel frattempo sono falliti progetti politici di rilevante portata: quello del PD “vocazione maggioritaria”, quello dei 5 stelle “uno vale uno e il consenso aggregato per via web”, quello della Lega di trasformazione da partito regionale a partito nazionale);
3) Nel ridefinirsi del quadro internazionale dalla fase di “globalizzazione aperta” ad un tentativo di risistemazione in “blocchi” emerge una grande incertezza al riguardo della potestà legislativa e della facoltà esecutiva: tra Parlamento e Governo; tra “Stato – Nazione e UE” (UE di cui si sta cercando di far coincidere perimetro e intenzioni con quello della NATO); tra Stato e Regioni. In questo quadro frammentato emergono rischi di abbattimento costituzionale attorno a temi di grande delicatezza quali la forma di stato ( forma di stato repubblicana legata al ruolo mediatorio della Presidenza della Repubblica) e la forma di governo (al riguardo della quale sta avanzando una proposta di presidenzialismo non chiarita sul punto – chiave della distinzione tra legislativo ed esecutivo) Confusione che del resto albergava anche nei progetti già presentati in precedenza: Bicamerale 1997, governo di centro – destra 2005, governo di centro – sinistra 2016. Il tutto collegato a continue e folli modifiche della legge elettorale, due delle quali bocciate dalla Corte Costituzionale e con quella in vigore contenente in sé una potenzialità di fortissimo squilibrio nella formula che traduce i voti in seggi.
In sostanza: politica estera ridotta ad acquiescenza al progetto di compiuta identificazione nella NATO, insufficienza della base di consenso a livello sistemico, debolissima tenuta del radicamento elettorale sul territorio; progetto di frammentazione territoriale nella risposta ai bisogni sociali (già in stato avanzato) con distruzione dei residui di welfare e aumento delle disuguaglianze; distanza dalle contraddizioni sociali; vocazione corporativa ( nello specifico della destra attualmente al governo, ma non solo); evidente insufficienza di espressione culturale da parte dei partiti (e dei mezzi di comunicazione che li sostengono).
Risultato: il punto non sta “dentro” al PD ma nella debolezza complessiva del sistema.
Una debolezza che non può e non potrà essere affrontata soltanto dall’avvento di meccanismi istituzionali di ulteriore prevalenza della governabilità e di soffocamento delle esigenze di rappresentanza.
Prima di guardarsi all’interno e contendersi leadership di gusci vuoti il PD e la sinistra dovrebbero tentare di esaminare il quadro generale in Italia e fuori d’Italia e comprenderne le difficoltà “sistemiche” in termini di equilibrio tra i poteri tra cessione di sovranità al di fuori e all’interno dello “Stato Nazione”, di debole radicamento complessivo, dell’emergere di istanze settoriali, corporative, di vero e proprio egoismo sociale, di vera e propria sparizione del concetto di “interesse generale”.