Il tentativo di riscrivere la storia è uno dei principali “ingredienti” della propaganda, uno strumento imprescindibile soprattutto in tempo di guerra per irregimentare e ottenere il favore delle masse. Non a caso, si dice che “la storia la scrive chi vince”, a conferma del fatto che non di rado essa finisce per essere il frutto delle convenienze politiche e geopolitiche del momento, piuttosto che una materia oggettiva basata su fatti e documenti. Lo dimostra proprio in questi giorni il tentativo di stravolgere la storia della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz ad opera di diversi media nazionali, spinti dal risentimento che vede l’Europa e il mondo occidentale in genere contrapposto alla Russia. Una opposizione politica e culturale sempre più profonda e incolmabile che ha portato strumentalmente a sostenere che Auschwitz non fu liberato dai russi, ma dagli ucraini: in particolare, il quotidiano online Linkiesta scrive che a liberare il lager «fu un reparto dell’Armata Rossa che era composto al novanta per cento da ucraini e per il restante dieci per cento da bielorussi», anche per giustificare il mancato invito della Russia alla cerimonia per la liberazione del campo di sterminio. A causa dell’invasione dell’Ucraina, infatti, i rappresentanti russi non sono stati invitati alle commemorazioni del settantottesimo Anniversario della Liberazione da parte dell’Armata Rossa: lo ha reso noto direttamente il sito del museo di Auschwitz.
Il «reparto» dell’Armata Rossa cui fa riferimento Linkiesta è, per essere precisi, la Centesima Divisione Fucilieri dell’esercito sovietico: formata il 5 febbraio del 1942, questa divisione era composta dai coscritti di diverse repubbliche sovietiche, tra i quali comparivano anche reclute ucraine. Tuttavia, la formazione era prevalentemente “russa”, essendo costituita principalmente da soldati dell’oblast di Vologda e dell’Oblast di Arcangelo. La divisione è stata successivamente insignita del titolo onorifico di “Lviv” (o “Lvov” in russo, l’attuale Leopoli) per il suo ruolo determinante nella liberazione della città, invasa dai tedeschi e facente parte della Polonia fino al 1939. Il 27 gennaio del 1945, la divisione ha liberato il campo di Auschwitz-Birkenau guidata dal maggiore ebreo ucraino Anatoly Shapiro nato a Krasnograd. Shapiro si arruolò volontario nell’Armata Rossa nel 1938 e poi di nuovo nell’ottobre del 1941. Da sottolineare anche come, al tempo, esistesse un unico esercito sovietico e chiunque ne facesse parte era considerato sovietico, così come anche le varie etnie ricadevano sempre sotto la “sfera” russa, in quanto territori come l’Ucraina sono storicamente e culturalmente legati alla Russia. Ad esempio, lo scrittore Gogol è annoverato tra le grandi personalità della letteratura russa nonostante fosse di origine ucraina. Solo a seguito del crollo dell’Urss e con l’indipendenza delle ex repubbliche sovietiche si cominciano a fare delle distinzioni nette in questo senso. Allo stesso modo, anche Stalin e Beria erano georgiani, ma i loro operati politici sono legati all’Unione Sovietica e a Mosca e non alla Georgia che ne era, comunque, una parte integrante come l’Ucraina.
Si tratta, dunque, del tentativo di distorcere gli avvenimenti storici con un chiaro intento propagandistico che si traduce nell’ergere a eroi gli ucraini, continuando – di contro – il processo di demonizzazione degli avversari russi, di modo che l’opinione pubblica sia maggiormente propensa a solidarizzare e simpatizzare per Kiev e a identificare Mosca come barbaro nemico che si appropria indebitamente di azioni encomiabili compiute da altri. Nel feroce scontro in corso tra l’Occidente liberal e la Russia, infatti, l’obiettivo non può essere che mettere in luce Kiev per promuovere e legittimare – soprattutto agli occhi dei popoli europei che ne pagano maggiormente le conseguenze – le azioni politiche del fronte occidentale in suo favore, tra cui anche l’invio di carrarmati. Se difficilmente i tank potranno cambiare il corso della guerra, infatti, sicuramente aumenteranno le tensioni tra Russia ed Europa a danno soprattutto di quest’ultima.
Con ciò non si vuole negare che anche gli ucraini hanno avuto un ruolo importante nella liberazione dei lager nazisti. Tuttavia, negare che l’Armata Rossa fosse innanzitutto l’armata sovietica composta dalle varie etnie dei vastissimi territori dell’Urss non è solo un errore giornalistico, ma anche uno scempio storico e culturale che dimostra l’altissimo livello di indottrinamento – e dunque di distorsione e alterazione dei fatti – che anima a livello comunicativo uno dei conflitti più importanti del decennio. Controllare l’informazione, infatti, è un efficace elemento per “imbrigliare” le menti e creare il consenso. Tuttavia, la manipolazione dei fatti sta precipitando a livelli sempre più bassi, tali per cui anche la sua funzione di livellamento e omologazione del pensiero rischia di diventare inefficace.
[di Giorgia Audiello]