Militari del Fronte Polisario con la bandiera
Il sociologo, analista politico e militante attivo del socialismo cileno di Allende , Estéban Silva Cuadra, ha partecipato pochi giorni fa al XVI Congresso del Fronte Polisario. Come membro del Comitato di solidarietà cileno con la Repubblica democratica saharawi e della Piattaforma di solidarietà latinoamericana con quella lotta, ha avuto l’opportunità di parlare con i leader saharawi e seguire i dibattiti al Congresso.
L’intervista è stata pubblicata sul Boletín de La Haine del 14 febbraio e tradotta da Francesco Cecchini per Ancora Fischia il Vento.
– Lei è stato recentemente al XVI Congresso del Fronte Polisario che si è tenuto a Dakhla, e riteniamo importante che ci dica quali erano le aspettative e come ha visto questo incontro culminato con la rielezione di Brahim Gali come Segretario Generale del Fronte Polisario.
– Il congresso del Fronte Polisario si è svolto in un contesto storico per il popolo Saharawi, ma anche in un contesto internazionale molto complesso. Portava il nome del martire Mohamed Habad Levid e uno slogan centrale che riassumeva il dibattito, le discussioni e le proiezioni. La parola d’ordine è intensificare la lotta armata per cacciare l’invasore e culminare nella conquista della sovranità.Durante questo dibattito, si sono incontrati più di 2.000 deputati saharawi, uomini e donne democraticamente eletti dalle loro diverse strutture e organizzazioni, e c’erano più di trecento rappresentanti internazionali delle delegazioni africane, latinoamericane e caraibiche, asiatiche ed europee.
– Quali erano le priorità da discutere?
– Il Congresso ha avuto tre questioni centrali che mi sembrano storiche dal punto di vista delle risoluzioni del popolo Saharawi. Devi capire il contesto in cui avviene questo incontro. Dal novembre 2021 sono riprese le azioni e gli scontri bellici, a seguito della violazione unilaterale del cessate il fuoco da parte del Marocco, e questo è cresciuto in crescendo, e quindi la situazione in cui la lotta del popolo saharawi per la propria autodeterminazione e indipendenza , oggi è aperto. Sono aumentate anche le violazioni dei diritti umani dei saharawi da parte dell’occupazione illegale dei marocchini. Al congresso ha partecipato un’importante delegazione saharawi dei territori occupati, che anche al loro ritorno sono stati picchiati, torturati e repressi. Insomma, il Fronte Polisario ha avuto un dibattito su tutti gli aspetti della politica che ha promosso.
– In base alla tua conoscenza della materia, come definiresti cosa significhi il Fronte Polisario per la lotta per l’autodeterminazione nel Sahara occidentale?
– Il Fronte Polisario è un movimento di liberazione nazionale che riunisce tutti i Saharawi, la loro tribù, la loro struttura, il loro governo, le loro istituzioni, e quindi, al Congresso c’è stato un dibattito democratico, di profonda maturità. Un dibattito che parla della strategia da assumere come Fronte Polisario, l’incorporazione e l’articolazione di tutti i settori in quegli accordi Saharawi; della discussione sul governo, la sua politica e la strategia politico-militare e diplomatica da attuare nel prossimo periodo. E da quel punto di vista è stato anche un congresso durato diversi giorni, visto che era previsto dal 13 al 17 gennaio 2023, nel campo profughi di Dakhla, che porta il nome di una città prigioniera sotto occupazione marocchina, come la città di Dakhla (ex Villa Cisneros durante il colonialismo spagnolo). Questo dibattito è culminato in una discussione su tre livelli. Innanzitutto una lunga, profonda e democratica discussione sugli statuti. Sulla costituzione della segreteria nazionale che è composta da 27 membri. Sull’incorporazione della donna saharawi a tutti i compiti. Più grande di quello che già hanno. Alla guida del fronte, delle strutture organizzative, del governo, delle organizzazioni sociali e popolari del Fronte Polisario che sono legate al popolo Saharawi. Anche delle nuove generazioni. E infine si è conclusa con l’elezione di Brahim Gali a Segretario Generale del Fronte Polisario, che è stato rieletto con un voto molto consistente dei deputati saharawi, dell’ordine di quasi il 69 per cento.
– Questa volta, Gali ha dovuto dividere l’elezione con un altro leader saharawi.
– Si. C’era anche un altro compagno saharawi candidato, Brahim Huali, quadro storico del Fronte Polisario, fratello di El Huali Mustafa Sayed, primo presidente e segretario generale del Fronte, morto in combattimento. Ma alla fine il congresso ha ratificato l’azione politica del Segretario Generale, sia la direzione al comando del fronte, sia il governo della Repubblica Araba Saharawi Democratica, la sua sfida, gli aggiustamenti politici che doveva fare, la nuova politica militare, la politica diplomatica. Proprio nella prospettiva di assicurare un avanzamento positivo alla lotta per l’autodeterminazione e l’indipendenza saharawi. anche definito nel motto del congresso stesso. Infine si è proceduto anche all’elezione in due tornate elettorali, motivo per cui l’incontro è stato esteso ai 27 membri della segreteria nazionale del Fronte Polisario.
– Hai fatto notare che c’erano due candidati. Leggendo i materiali che ci sono stati inviati, sarebbe stata una discussione sul fatto che uno dei due candidati avesse una linea più dura dell’altro. Stiamo parlando dell’attuale momento del Fronte Polisario come momento di lotta armata. Ci sono state divergenze in questa occasione rispetto alla prosecuzione della lotta armata, o sono state davvero minime le differenze che sono esistite tra i due contendenti in questa gara elettorale avvenuta per la scelta del segretario generale?
– Uno dei candidati, che non è stato eletto alla Segreteria Generale e che è consigliere dello stesso collega Presidente Brahim Gali, ha dichiarato in una conferenza stampa, presso la sede del congresso, che la sua candidatura aveva a che fare con l’idea che si potesse realizzare meglio la gestione e la politica, snelliscono l’articolazione del Fronte Polisario. Erano differenze e sfumature di gestione, di costruzione dell’articolazione politica ma non differenze fondamentali. Certamente c’è un consenso pieno tra i delegati del Fronte Polisario e il popolo Saharawi. Primo, in quanto la lotta per l’autodeterminazione e per la conquista della piena sovranità si realizza forzando l’invasore illegale che è il Marocco. Cercando anche di rispettare un diritto internazionale che è stato sistematicamente bloccato, ovvero le numerose risoluzioni sia dell’Assemblea Generale che del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la costituzione della Minurso, che porta il nome di Missione delle Nazioni Unite per lo svolgimento un referendum nel Sahara occidentale. Vale a dire, si è costituita e porta un nome per un obiettivo che non ha raggiunto. È il rispetto della legalità istituzionale, delle risoluzioni, del piano di conciliazione, degli accordi firmati anche nell’ambito dell’Unione Africana e che sono stati bloccati dal Marocco e dai suoi alleati, tra cui Francia e Spagna. Si tratta di un accordo unanime: che la lotta del Fronte Polisario, che rappresenta il popolo e la nazione saharawi, abbia come obiettivo il rispetto degli accordi di autodeterminazione e sovranità del popolo.
– Qual è la situazione nei territori Saharawi occupati dal Marocco?
– Stiamo parlando del fatto che il Marocco, nei territori sotto occupazione militare, che sono tutte le città costiere saharawi, commette sistematicamente e quotidianamente genocidio. Arresti arbitrari, arresti e sparizioni, parliamo di torture e violazioni quotidiane dei diritti umani, sia individuali che collettive. C’è il recente caso di Sultana Jaya, una leader saharawi per i diritti umani a cui, da due anni, a lei e alla sua famiglia è stato impedito di uscire di casa da agenti statali marocchini. È stata sistematicamente picchiata e violentata. Ha fatto parte della commissione nazionale del congresso. È stata uno dei leader eletti nella commissione che ha presieduto il 16° congresso del Fronte Polisario. Abbiamo avuto l’opportunità, delegazione latinoamericana e caraibica, dove c’erano cubani, cubani, venezuelani, cileni, argentini, panamensi, portoricani, per citare alcuni dei compagni e compagne che hanno partecipato a questo congresso, di incontrare lei e il suo sorella, per ascoltare la sua testimonianza e riflessione sulle violenze fisiche e intellettuali e le torture a cui è stato sottoposto. Confermiamo l’enorme forza e convinzione di Sultana Jaya, che non è né più né meno della forza che tutti i Sahrawi hanno nei territori occupati in un momento estremamente difficile. Nessuno potrà sottrarsi a ciò se aumenteranno le azioni militari, la guerra di liberazione al confine e oltre. Quando dico confine, intendo il muro della vergogna costruito dal Marocco, che separa l’area sotto l’occupazione coloniale marocchina dai territori liberati controllati dalla Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD). Perché diciamolo molto chiaramente, la Repubblica Araba Saharawi Democratica controlla i territori nella fascia del Sahara Occidentale. Anche questo è un elemento importante da considerare per quanto riguarda non solo le rivendicazioni, ma per uno Stato che è già riconosciuto da un numero molto rilevante di stati nel mondo. Più di 86 Stati, tra cui un numero significativo di paesi latinoamericani e caraibici, come abbiamo visto di recente, che hanno ristabilito relazioni diplomatiche o intrattennero relazioni diplomatiche permanenti con la RASD.
– Quanto è consapevole il popolo Saharawi della guerra? Perché ovviamente la guerra porta morti, da una parte e dall’altra. Il Marocco nasconde i morti causati dal Fronte Polisario. Il Fronte Polisario prende piede e tutto questo genera una massa di dolore evidente e tipica di ogni guerra. Partendo dal fatto che le persone che vivono nei campi, dove la maggior parte degli uomini è nella lotta armata e sicuramente anche le donne, come si svolge quotidianamente questa situazione?
– Come dici bene, è un argomento molto doloroso. In primo luogo, il motto principale del Fronte Polisario, come vi ho detto a proposito di questo congresso, è intensificare la lotta armata per espellere l’invasore e culminare nella sovranità. Certamente questa concezione, vista dall’America Latina e dai Caraibi, è complessa. La rivendicazione della lotta armata è, per ora, storica per i movimenti di liberazione. Nei movimenti di liberazione questa era la via, una combinazione, perché in fondo ha a che fare con il diritto alla ribellione, al di là delle caratteristiche che assume ognuna delle tappe della lotta di un popolo per la sua autodeterminazione e la sua indipendenza. Noi latinoamericani lo sappiamo, lottiamo insieme e insieme. Certo, si perde nel tempo, non abbiamo la consapevolezza diretta ma piuttosto quella storica, come lo è stata la lotta che i popoli latinoamericani hanno condotto insieme contro il colonialismo spagnolo, in battaglie congiunte in tutto lo spazio latinoamericano. Pertanto, anche la lotta armata e tutte le sue forme di lotta facevano parte del patrimonio del nostro popolo. Certamente la guerra è dolorosa. Significano vittime umane, dolore, dramma. Già dalla rottura è stato difficile, è molto importante, indicare chi ha rotto il cessate il fuoco attaccando un convoglio saharawi. Chi ha rotto unilateralmente l’accordo è stato il Marocco, non il Fronte Polisario. Il popolo Saharawi ha trascorso più di trent’anni aspettando, credendo nelle Nazioni Unite, aspettando il rispetto delle numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, per cercare una soluzione democratica, pacifica, basata su un referendum di autodeterminazione, che sarebbero stati gli stessi Saharawi a pronunciare sulla loro decisione di essere indipendenti. Nel frattempo, non dimentichiamo che il popolo Saharawi è stato invaso attraverso un’operazione militare segreta del Marocco come la Marcia Verde, ed è stato invaso anche dalla Mauritania. Con la Mauritania fece un accordo di pace. Al congresso del Fronte Polisario c’era una numerosa delegazione mauritana e c’era un ex presidente della Repubblica mauritana. Attualmente esiste una relazione tra i due, non solo cooperazione, ma entrambi fanno parte dell’Unione Africana. Ovviamente quella che c’è è una decisione ferma, dopo aver atteso trent’anni e passa, credendo nella legalità e nella buona fede delle istituzioni. La MINURSO, che vi è insediata, non ha nemmeno i poteri per salvaguardare o monitorare i diritti umani della popolazione saharawi prigioniera dell’occupazione militare marocchina. Perché è stato negato nel Consiglio di sicurezza da poteri che sono membri permanenti di quel Consiglio, per compiacerli e come parte dei loro accordi con il Marocco. Non dimentichiamo che il Sahara occidentale, che è conteso, è permanentemente saccheggiato nelle sue risorse naturali. Stiamo parlando di fosfato, estrazione mineraria, pesca, le coste che hanno molta ricchezza biomarina e sono anche saccheggiate. Il Marocco vende fosfato a corporazioni internazionali e stabilisce un sistematico saccheggio delle risorse che appartengono al popolo Saharawi. Vendono persino sabbia in Europa, in Portogallo. Ci sono risoluzioni della Corte di giustizia economica dell’Unione europea, che sostengono che gli accordi di pesca che il Marocco ha con l’Unione europea e con alcuni paesi bilaterali non possono avere effetto o validità nel Sahara occidentale perché è un territorio che, (secondo il stesse Nazioni Unite e la quarta commissione di decolonizzazione attualmente in vigore), è un territorio non autonomo in attesa di decolonizzazione. Quindi si parla di saccheggio sistematico delle loro risorse naturali, di beni comuni strategici, c’è una politica di genocidio sistematico contro la popolazione saharawi che vive in condizioni di occupazione militare. E ora c’è uno scontro in tutta l’area di questo “Muro della vergogna”, costruito dal Marocco, dove ci sono mine antiuomo, mine anticarro, con una fortificazione militare, con tutta la tecnologia israeliana. In queste tre componenti, i giovani saharawi, ma anche tutte le generazioni, hanno una domanda chiara. Prima hanno la decisione di essere una nazione libera, autonoma e indipendente. In secondo luogo, le decisioni di rientrare in maniera sovrana nel proprio territorio. E terzo, che solo la propria forza, con l’aiuto internazionale ovviamente solidale dei popoli che lottano per l’autodeterminazione, affinché la legalità internazionale sia veramente una realtà e non una mera successione di risoluzioni per registrare i poteri imperiali o coloniali, c’è una decisione di imporre una strategia che permetta loro di vivere, sopravvivere e proiettarsi come popolo e come nazione. Sancito non solo dalla risoluzione 1514, sul dominio dei popoli sotto dominio coloniale e che vige nel sistema delle Nazioni Unite del dopoguerra che ora è in crisi. Penso che ci sia un filo conduttore qui, che è un dramma e loro lo sanno, ci sono già vittime, ci sono già assassinati. Ci sono anche civili uccisi dai droni marocchini nell’ultimo periodo, molti dei quali giovani. Ci sono anche vittime nell’Esercito Popolare Saharawi. Un aumento delle azioni militari significherà un numero maggiore di vittime. Il Marocco rifiuta, perché è una monarchia feudale che controlla tutto. Il potere economico, il politico, le corporazioni dei media, ecc., negano che ci sia una guerra scoppiata con la grandezza che si sta progressivamente verificando.
Mappa del Sahara Occidentale, con in rosso il territorio liberato dal Fronte Polisario e in giallo quello occupato dal Marocco