Il fascismo sì, è sempre violenza. Perché per esistere si nutre di sopraffazione, di prevaricazione; si fa largo soltanto in questo modo, strattonando, spingendo, pogando in una discoteca dell’assurdo dove suonano gli inni del passato, ritmati tecnicamente, per brutalizzare le differenze, per rendere comica ogni forma di solidarietà e chiamarla vigliaccamente “buonismo“.

Il fascismo sì, è sempre ignoranza. Volutamente sceglie di non andare alla radice delle questioni, in fondo ai problemi, perché il loro disvelamento sarebbero le sue tantissime cattivissime coscienze che stanno all’ombra di una voglia sadica di potere che, ieri ed oggi, digrigna i denti, inarca i menti e protende le mascelle per parlare, per dire con la durezza necessaria quello che si addice alla muscolarità dei toni.

Il fascismo sì, è sempre dicriminazione. Perché non concepisce una uguaglianza di nessun tipo: è classista, omofobo, fintamente patriottardo, distortamente nazionalista. Non ci sono eguali nella società che post e neofascisti vorrebbero oggi. Ci sono solo superiori ed inferiori, degni ed indegni, ricchi e poveri. I primi che sono pronti a foraggiare di nuovo il legame stretto tra Stato e violenza, per tenere a bada le coscienze critici sociali; i secondi che non devono essere pronti a subire tutto questo.

Il fascismo sì, va oltre il suo volto istituzionale. Questa nostra Repubblica non è fascista, ma è governata da postfascisti che nella fiamma tricolore o nei busti di Mussolini vedono una storia che gli appartiene e dalla quale non intendono separarsi. Ed è poi quindi molto complicato potersi dichiarare “antifascisti” se la tua storia proviene dal neofascismo postbellico.

Il fascismo sì, è sempre presente come minaccia alla pace, alla libertà, alla democrazia sorretta dalla Costituzione, ad una Italia che ha bisogno di un presente e di un futuro di riscatto sociale, di recupero della solidarietà di classe, di rinnovamento culturale e politico, di sempre più diritti a fronte di altrettanti doveri, ma non di discriminazioni, di fobie e di conservatorismi e populismi, veri e propri scendiletto del liberismo e di quel mondo imprenditoriale che vuole apparire così buono.

Il fascismo sì, è ruffiano, infingardo, menzognero, tanto quanto il nazismo storico, così come ogni altro movimento che si richiami alla severità dell’ordine, alla disciplina dell’obbedienza, alla naturalezza della forza come metodo di controllo antisociale e incivile. Fascisti novecenteschi e postfascisti del nuovo millennio sono i peggiori amici dei poveri e dei lavoratori: strillano in loro favore nelle campagne elettorali, governano proteggendo gli interessi e i privilegi dei padroni e dei finanziari dopo aver vinto nelle urne.

Il fascismo sì, è patriota a parole, sventola il Tricolore, canta l’Inno di Mameli nelle occasioni pubbliche, gli scappa qualche braccio romanamente alzato ai funerali dei camerati, durante i comizi di qualche fratello o sorella d’Italia, ma la lezione che viene dalla Storia ci dice: che ha reso questo Paese una grande prigione per oltre vent’anni, che l’ha trascinato in una guerra mondiale e che ha letteralmente seviziato, torturato e ammazzato quel popolo che dice di amare.

Il fascismo sì, è patriota nel mettere le bombe nelle piazze piene di lavoratori, sui treni e nell’aggredire a bastonate gli studenti di ieri e di oggi: sotto lo sguardo dei dirigenti missini di un tempo, sotto quello di una opinione pubblica anestetizzata dalle crisi epocali che ci rendono sempre più disagiati e poveri e, quindi, facili prede della propaganda di destra.

Il fascismo è tutto questo e molto altro ancora. Ed in estrema sintesi, come diceva Sandro Pertini, «non è un’opinione politica, è un crimine». E in quanto tale si comporta attraverso coloro che lo emulano, che pretendono di esserne i continuatori con altri metodi e con altre parole, nascondendosi dietro ad eponimi nemmeno poi tanto velatamente distraenti dall’originale.

Dal governo di Giorgia Meloni, dai suoi ministri, dai presidenti delle Camere e dalle altre istituzioni oggi pro tempore affidate dal voto popolare alle destre, ci si aspetterebbe una condanna ferma e decisa dell’aggressione ultima: quella agli studenti del Liceo “Michelangiolo” di Firenze.

Un pestaggio brutale, un atto di squadrismo a pieno titolo, senza alcun tema di smentita. Il video (che potete vedere cliccando qui) è lampante, chiarissimo e non consente interpretazioni di sorta.

Il governo può anche minimizzare l’accaduto, può dichiarare che non esiste un “problema fascismo” in Italia, che si tratta di un singolo episodio. Essendo un governo di destra, e in parte postfascista, è ovvio che si replichi così alla protesta e all’indignazione generale che emerge sempre più vasta. Non ci deve sorprendere ma ci deve comunque allarmare, perché quello che occorre evitare è una indiretta copertura istituzionale per azioni e comportamenti di organizzazioni ben oltre la costituzionalità.

Poco importa come si chiamino o che simboli abbiano: tartarughe, fiamme stilizzate, salamandre o croci bretoni.

Ciò che preme è impedire la diffusione di una percezione di impunità che queste bande possono avere dopo la vittoria delle destre estreme alle elezioni del 25 settembre. Soltanto con una riorganizzazione antifascista permanente, a difesa della Costituzione, della Repubblica e dei valori democratici è possibile scongiurare l’aumento delle violenze, il dilagare di questi atti squadristi in ogni parte del Paese.

La maggioranza degli italiani non è schierata con il governo delle destre, nonostante le urne abbiano consegnato Palazzo Chigi all’amministrazione del trittico liberista-populista e sovranista. Le opposizioni, se veramente unite, possono rappresentare, politicamente, sindacalmente, socialmente e culturalmente quella chiara declinazione pratica dei valori della Carta del 1948 che sono lontanissimi dall’impianto programmatico e ideale della maggioranza di governo.

Se è vero che non esiste una Italia maggiore rispetto ad un’altra Italia, che non c’è un blocco sociale che possa dirsi superiore per numero ad un altro, è altrettanto vero che questa socialità, rappresentata dal mondo del lavoro e della scuola, dal sindacalismo e dalle associazioni che preservano la vera identità nazionale dell’Italia democratica, ossia l’antifascismo e la Resistenza ad ogni oppressione e ad ogni tentativo autoritario, è la vera maggioranza del Paese.

Manca al nostro popolo ancora una seria autoanalisi, e quindi una coscienza, che gli consenta di fare una volta per tutte i conti col proprio passato, impedendosi di minimizzare parole e atti di chi ci governa, credendo che, nella straordinaria modernità capitalista e liberista, le destre postfasciste siano cambiate. In quanto “post“, in quanto non direttamente collegabili col Ventennio criminale di Mussolini.

Certo che non viviamo in un Paese fascista. Ma viviamo in un Paese con un governo formato da postfascisti e con ai vertici delle istituzioni persone che considerano una buona parte dei propri concittadini non proprio “normali“: magari perché gay, lesbiche, transessuali, bisessuali.

Oppure perché diversamente pigmentati, con un colore della pelle che non sia quello bianco, di chiara razza padana o, per intercessione del trasformismo politico di antichissima origine novecentesca, di un novello autoctonismo, di un italianesismo di nuovo modello.

Ogni cittadino che abbia a cuore davvero la Costituzione e la democrazia, mettendo da parte divisioni legittime su tattiche e strategie politiche, deve sentire come compito proprio l’impedimento della normalizzazione di una nuova etica della violenza come mezzo di coercizione delle opinioni, di contrasto anche aspro delle idee e, quindi, di sopraffazione.

Va fatta vivere e rivivere la complessa valorialità di un antifascismo non solo militante, ma quotidianamente espresso fin dai più piccoli gesti nostri. Dal rapporto con chi ci sta intorno a quello con chi proprio non conosciamo. Non l’etica del governo è la nostra bussola, ma solo la Costituzione, solo l’antifascismo, solo la decisa e ferma contrarietà a qualunque esacerbazione dei toni e dei modi.

Non c’è giustificazione alcuna per chi prende a calci e botte degli studenti. Non è possibile nessun riduzionismo degli accadimenti. Quanto avvenuto al Liceo “Michelangiolo” di Firenze è un primo campanello d’allarme per un clima che deve essere sconfitto sul nascere. Dovrebbe essere l’esecutivo ad occuparsene seriamente, per primo, difendendo la Carta e garantendo a tutti i cittadini la piena espressione dei loro diritti.

In caso non lo facesse, serve un governo ombra popolare, diffuso, di massa, che sia pronto a scendere in piazza per rimettere al suo posto l’altro governo, quello di destre che non riescono, perché non possono, essere antifasciste e, quindi, pienamente repubblicane e democratiche.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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