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Per decenni siamo stati spinti ad aumentare le ore di lavoro, per guadagnare di più e per consumare di più. Un modello insostenibile
Lavorare di più per avere più denaro a disposizione e per consumare di più. È uno dei dogmi del nostro modello di sviluppo. Per decenni siamo stati (noi: parliamo ovviamente del mondo ricco) invitati in tutti i modi a comprare, utilizzare e se possibile buttare anziché riparare ogni tipo di oggetto, prodotto alimentare, abito, strumento, mezzo di trasporto, materiale di consumo. Spesso inducendo le nostre menti ad avvertire bisogni di cui, senza il bombardamento di spot e pubblicità, potremmo fare serenamente a meno.
Un modello di sviluppo sbagliato
Non è una teoria complottista quella che vede i consumatori ultimi ingranaggi di un meccanismo che punta a massimizzare produzione e profitti (per pochi) impoverendo la maggior parte di noi. L’esplosione di servizi finanziari, anche particolarmente rischiosi, per rateizzare in ogni modo i pagamenti ne rappresentano il suggello
Un rapporto di un’associazione e un think tank francesi, pubblicato nello scorso mese di ottobre, sottolinea come tutto ciò sia non soltanto incompatibile con una gestione sostenibile delle risorse del Pianeta. Ma in totale contraddizione con ciò che oggi ci viene richiesto: austerità (nel senso buono del termine), sobrietà, lotta agli sprechi, sacrifici.
Più pubblicità e più consumi
Il documento, firmato da Comunicazione e democrazia e dall’Istituto Veblen, mostra, basandosi su uno studio universitario, gli impatti economici delle spese in marketing effettuate in Francia. I dati sono estremamente interessanti, ed è facilmente immaginabile che siano simili anche in altre nazioni occidentali, Italia inclusa. In primo luogo, gli investimenti complessivi in comunicazioni commerciali sono stati pari in Francia a 30 miliardi di euro all’anno, dal 2003 ad oggi. Parliamo dello stesso quantitativo stanziato per ricerca e sviluppo nelle aziende private
Ma soprattutto, il rapporto indica che tale ammontare di denaro ha dato i suoi frutti. L’aumento complessivo dei consumi, tra il 1992 e il 2019 è stato del 5,3%. «Per molto tempo – spiega Mathilde Dupré, economista e co-direttrice dell’Istituto Veblen, secondo quanto ripotato dal quotidiano Novethic – non c’è stato un dibattito sul tema. Perché si considerava la pubblicità come puramente informativa. Si pensava che il solo effetto fosse una ripartizione delle quote di mercato tra i diversi soggetti che promuovevano i loro prodotti. Ma numerosi studi ne sottolineano la natura persuasiva. L’aumento del 5% potrebbe sembrare contenuto, ma considerando che parliamo di dati aggregati molto importanti, la realtà è che si tratta di un dato decisamente significativo».
La strategia dell’obsolescenza psicologica per aumentare i consumi
L’analisi evidenzia in particolare quella che viene definita “obsolescenza psicologica”. Ovvero la strategia dei pubblicitari che punta ad aumentare la sensazione di insoddisfazione rispetto a ciò che si possiede. Un esempio per tutti: secondo l’Ademe, l’Agenzia per l’ambiente e la gestione dell’energia, l’88% dei telefoni cellulare sostituiti in Francia funziona ancora al momento del cambio.
Ma come facciamo a permetterci questo continuo turnover di prodotti? Lavorando di più. Nello stesso periodo di tempo (1992-2019) le ore lavorate nella nazione europea sono aumentate del 6,6%. Una crescita, prosegue Dupré, «necessaria per seguire i consumi, a spese del nostro tempo libero così come del Pianeta». La maggior parte dell’aumento dei consumi si concentra infatti su prodotti particolarmente nocivi per clima e ambiente: è il caso di automobili (in particolare Suv), viaggi aerei, fast-food.
E per capire quanto tutto ciò sia incompatibile con le sfide che abbiamo di fronte, nel 2020 la carbon footprint media di un cittadino francese è stata di 8,2 tonnellate di CO2 equivalenti. Quanto emesso, cioè, in un anno per via dei propri consumi e delle proprie attività. Per rimanere allineati agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, occorrerebbe rimanere sulle 2 tonnellate