Si sono concluse le votazioni presso i circoli del Pd dove nel fine settimana si sono svolti i congressi per la nuova segreteria. Uno sguardo attento alle primarie dem a Bologna e provincia, terra di nascita politica del tandem dei contendenti, Bonaccini–Schlein, fornisce utili indicazioni su quello che potrebbe essere il futuro del partito
Primarie dem, ‘de te fabula narratur
Di Fausto Anderlini*
Mi sono scrutato in dettaglio i dati relativi alle primarie dem con il voto nei circoli Pd a Bologna e provincia e ne ho tratto queste considerazioni.
– Quasi 5500 votanti non sono certo un’enormità (circa 6 votanti ogni mille residenti) ma, per come stanno le cose della politica in generale, neanche così pochi. Un segno di vita non irrilevante. Si tenga conto che ai congressi del Pci partecipavano attivamente solo una parte degli iscritti, fra il 20 e il 30 per cento, cioè a dire, tenuto conto che gli iscritti erano più di centomila, circa 25.000 militanti. Una cifra comunque 4 o 5 volte maggiore di quella attuale.
Allora il congresso era un affare di militanti attivi, quelle 20/30 mila persone che potevano riempire piazza Maggiore al richiamo del partito. Altri tempi. Qui praticamente hanno votato tutti gli iscritti. Nei fatti un partito di ‘quadri’, per quanto assai poco leninista. Un telaio abbastanza nutrito, non ritrovabile in altre parti del paese, ma che si esplicita solo in occasione di una competizione molto vivace fra i leaders, e per il resto non dà gran segni di vita (anche data la scarsa considerazione che il Pd in generale ha per i suoi iscritti).
Se il partito li chiamasse a manifestare in piazza di questi cinquemila e rotti non se ne vedrebbero che poche centinaia. Una sala non una piazza. La forma del Pd locale è in effetti quella paradossale di un partito di quadri presenti sul territorio in modo abbastanza diffuso, ma passivi. Attivisti socialmente passivi quanto agguerriti nello schierarsi in una lotta politica interna a carattere personalizzato: un ossimoro.
– Bonaccini vince in tutte le zone, ma con divari consistenti. Tocca il top nella fascia dei comuni collinari e nel territorio della pianura, si tiene nella media (55%) nella cintura nord e nella montagna, tocca il minimo in città, col 47 %, pur distanziando di sette punti la Schlein (40,4 %).
Risulta confermato l’assunto ipotetico di una maggiore capacità della Schlein di aderire al contesto urbano a più alta densità di classi medie istruite, e viceversa, con Bonaccini più radicato nelle realtà periferiche. Ma in una linea molto lasca, anche perchè ignoriamo il chi è degli iscritti e quanto siano omogenei al contesto ambientale in cui risiedono.
– Lo stesso voto nella città offre una parziale smentita della tendenza. Secondo la logica generale del gradiente centro/periferia la Schlein avrebbe dovuto ottenere i maggiori consensi nei quartieri alti e nel centro storico (la famigerata ztl). Invece così non è. Bonaccini ha performances notevoli in diverse realtà centrali e alte (Santo Stefano, Galvani, Murri) così come la Schlein in molti circoli delle periferie ‘popolari’. Sovente in uno stesso quartiere circoli limitrofi votano in modo massivamente antitetico: vale per il centro storico, ma anche per Navile, Savena e San Donato, un po’ meno nel quartiere Reno, più appannaggio di Bonaccini, ma anche lì con l’eccezione del ‘treno’, la zona più popular del quartiere.
– Il fenomeno si riscontra anche nel territorio provinciale per quanto meno accentuato. Sono infatti numerose le eccezioni alla regola. La Schlein, ad esempio, pur essendo quasi ovunque soccombente, vince in bellezza a Bentivoglio, Granarolo, San Benedetto, Monghidoro e Castiglione e ha ottime performances a San Giovanni, San Lazzaro, Baricella, Zola, Sasso Marconi….Sia in circoli con pochi votanti che con una robusta partecipazione.
– Discorso a parte vale per i voti tributati a Gianni Cuperlo. Sostenuto in primis da una qualificata intellettualità cittadina il voto a Cuperlo ha in realtà una notevole invarianza territoriale. Sempre fra l’8 e il 10 % con minima deviazione standard nei cento circoli dove si è votato. Il voto a Cuperlo più che agli influencer locali si deve con ogni evidenza alla sua notorietà/visibilità generale nonchè , con ogni probabilità, alla memoria sedimentata nel corso delle primarie che nel 2013 lo videro opposto a Renzi. Con l’eccezione però di Zola Predosa, uno dei comuni maggiori della gronda metropolitana, dove supera la Schlein e tallona da presso Bonaccini. Qui deve avere influito molto la presenza della cara Mafalda Zanni…..
– E discorso a parte vale anche per la povera De Michelis che totalizza lo zero assoluto in ben 67 circoli su 100, ivi compreso il Baraccano dove l’ho incrociata il giorno del voto, ma con un singolare exploit a San Pietro in Casale, grosso centro della bassa, dove supera la Schlein e quasi uguaglia Bonaccini. Un mistero che sarebbe intrigante svelare.
– In generale più che il contesto sociale, la variabile esplicativa più forte è il ruolo degli influencer locali e correntizi, più spesso appartenenti al ceto politico e alla classe amministrante, nel condizionare il voto degli iscritti o nel portarne di nuovi al proprio seguito. Si pensi a Savena, dove i circoli si sono divisi seguendo l’ex sindaco Merola, o l’attuale sindaco Lepore, entrambi molto radicati nel quartiere. Sebbene Merola, che ha optato Bonaccini, sia stato il grande elettore/mallevadore di Lepore, che invece ha scelto la Schlein.
Ogni tabella, ogni serie di dati, ogni mappa, per me, che son sociologo empirico, è un racconto che va letto come un libro. E qui mi vengono a mente due notazioni.
-Cento circoli non sono pochi. Per quanto miniaturizzati (50 votanti in media per circolo) essi permettono una copertura abbastanza esaustiva del territorio costituito dai 51 comuni della federazione. Qualcosa del vecchio calco della poderosa e capillare organizzazione comunista ancora si vede. Specie dove ci sono circoli di carattere frazionale, come a San Giovanni, Pianoro, Calderara, San Lazzaro, Castelmaggiore. Poca cosa comunque, residuo minimale, perchè la norma è quella della centralizzazione a livello comunale. Le politiche istituzionali di centralizzazione e accorpamento hanno contribuito a rarefare la partecipazione politica.
Emblematico il caso della Val Samoggia, neocomune nato accorpando ben cinque comuni. Tutti con un retroterra storico ‘rosso’ di grande rilievo (ad eccezione di Savigno, in essi il Pci aveva medie di voto oltre il 60 %). E che adesso non solo è permeata dalla destra, ma al congresso riesce a tenere a stento (anche grazie al contributo di Calcara, isolata frazione di confine) la media provinciale votanti/abitanti. Oggi intere plaghe territoriali, sia di carattere ‘remoto’ che percorse dalle galassie residenziali diffuse, sono prive di presidi politici. Il ‘Partito’ che in queste terre era un elemento ricorsivo dello stesso ‘paesaggio’ è oggi un corpo evanescente e quasi clandestino.
Un partito ridotto a circoli, quasi club privati come dei Lions.
E questa è la seconda considerazione del caso: quella che riguarda le denominazioni. Su 100 circoli solo 21 sono intitolati a persone fisiche, ovvero a personalità politiche del passato: Berlinguer, Moro, Pertini, Nilde Iotti, Tina Anselmi, Dossettii, Gramsci. Una mette insieme Trentin e Gandhi, Solo sette hanno conservato vecchi nomi di sezioni, generalmente caduti partigiani. Dove le sezioni erano tabernacoli locali della resistenza, luoghi di culto dei caduti, la ramificazione metropolitana del sacrario di Piazza Re Enzo, ora ci sono circoli che rinviano a null’altro che al toponimo geografico.
I fratelli Muzzi e Irma Bandiera, due sezioni del quartiere Malpighi dove a lungo ho abitato, sono usciti dal repertorio, sotterrati sotto ciò che ne rimane: il circolo del Pratello (che peraltro ha votato in massa per la Schlein). Non solo non c’è più un circolo intitolato all’eroina della resistenza, ma neanche ce ne sono dedicati a Togliatti, a Dozza, a a Guido Fanti o Renato Zangheri, peraltro illustri primi cittadini. Per non parlare di classici della rivoluzione come Lenin, Ho chi Minh, Giap, Lumumba, tipici degli annji ’70.
Paradossalmente se una traccia di queste denominazioni rimane è nella toponomastica cittadina, segno eloquente del passato comunista della città, anche perchè la loro rimozione avrebbe comportato gravi problemi all’anagrafe comunale e soprattutto ai residenti di quelle vie. Tutti nomi, comunque, troppo compromettenti per un partito che ha celebrato la sua novità recidendo ogni memoria considerata fonte di imbarazzo. E perciò decidendo di non averne alcuna. Meglio ricorrere alla geografia o alla toponomastica. Una vera e propria iconoclasi simbolica, che esemplifica tutto il problema dell’inconsistenza identitaria del Pd.
Le primarie, del resto, sono un lavacro giocato sull’opposizione sostitutiva del ‘nuovo’ al ‘vecchio’. Vale non solo per le giovani generazioni neo-native, ma anche per gli anziani.
All’epoca di Renzi innumerevoli vecchi militanti del Pci iscritti allo Spi accorsero ai gazebo al motto ‘avant i zuven’. Anche per loro la ‘ditta’ era avvertita come una prigione foriera solo di eroiche sconfitte. Volevano vincere. E’ per questo che nel pronostico delle primarie la Schlein parte in vantaggio. Come ha essa stessa dichiarato lei è venuta dopo il comunismo e perciò non è tenuta a considerarlo nè a farci i conti. E’ il suo brand decisivo, non che sostenga politiche di sinistra, ma che non abbia da gestire/rappresentare alcun fardello della memoria.
Ove la Schlein vincesse il Pd si troverebbe in una situazione delicata e paradossale: con due segretari. Uno legittimato dalle primarie, l’altro dagli iscritti al partito. E una assemblea nazionale distonica rispetto alla direzione. Un gran casino. Che però è intrinseco alla sua natura di anonimo guazzabuglio.
* Grazie a Fausto Anderlini