Gli utili registrati da ENI, la multinazionale petrolifera, per l’anno 2022 sono stati di ben 20,4 miliardi di euro, una cifra doppia rispetto a quella registrata nel 2021. Stando a quanto dichiarato dalla compagnia, i “profitti più alti di sempre” sono dovuti ad “un andamento eccellente” dei settori dell’esplorazione e della produzione di idrocarburi (16,4 miliardi), della vendita di gas (oltre 2 miliardi), della raffinazione e della vendita di petrolio e di semilavorati (1,9 miliardi). Tuttavia, risulta difficilmente credibile che la crisi energetica dell’ultimo anno e la relativa speculazione non abbiano contribuito. Nonostante la “priorità di decarbonizzazione” più volte ribadita dall’azienda, inoltre, gli utili del Cane a Sei Zampe verrano in buona parte reinvestiti nel settore maggiormente responsabile della crisi climatica, ovvero il fossile.
L’ad Claudio Descalzi lo ha detto chiaramente: «le priorità strategiche restano confermate: continueremo a investire per assicurare la stabilità e regolarità delle forniture per soddisfare il fabbisogno energetico e per decarbonizzare le nostre attività e l’offerta ai clienti, mantenendo la disciplina finanziaria indispensabile per garantire ritorni attrattivi agli azionisti». Questi sottolinea anche come «Nel 2022 ci siamo fortemente impegnati non solo nel progredire nei nostri obiettivi di sostenibilità ambientale, ma anche nel garantire la sicurezza energetica all’Italia e quindi all’Europa, costruendo una diversificazione geografica e delle fonti energetiche», vantando di poter «rimpiazzare in modo definitivo il gas russo entro il 2025».
Tuttavia, secondo ReCommon e Greenpeace, l’azienda starebbe facendo solo del greenwashing, in quanto la gran parte degli investimenti sarebbe ancora riservata al settore delle fonti fossili. «Puntare ancora sul gas significa condannare le famiglie e le imprese italiane a pagare bollette molto care anche nei prossimi anni» scrivono le due associazioni in una dichiarazione congiunta. Il tutto «nonostante l’Agenzia Internazionale per l’Energia abbia raccomandato di evitare nuovi investimenti in petrolio e gas per riuscire a limitare l’aumento della temperatura media globale entro la soglia di sicurezza di 1,5° gradi Centigradi». Già nel 2022, degli otto miliardi di euro di investimenti tecnici di ENI, il 79% ha interessato il solo comparto per lo sviluppo di giacimenti di idrocarburi, in particolare, in Egitto, Costa d’Avorio, Congo, Emirati Arabi Uniti, Messico, Iraq, Italia e Algeria. L’investimento nel settore delle energie rinnovabili non rappresenta per l’azienda che una cifra residuale, superata persino dalle attività di raffinazione e di marketing. Ad essere residuali sono anche gli utili che derivano dal settore.
Appellandosi all’incostituzionalità e all’incomprensibilità della norma sulla tassa degli extraprofitti, inoltre, ENI si è rifiutata di pagarla (e come lei diverse altre aziende del settore che hanno registrato profitti da capogiro alla chiusura del 2022). La norma, pensata per mitigare l’effetto del caro bollette sulle famiglie, non è piaciuta alle aziende del fossile, che hanno versato solo in parte o non hanno versato affatto la cifra dovuta. ENI, dal canto suo, ha sempre negato che le proprie attività avessero generato extraprofitti.
[di Valeria Casolaro]