Mentre Pedro Castillo ancora detenuto richiede il rilascio immediato, il regolamento sull’utilizzo della forza da parte dei militari si inasprisce. Alle proteste si aggiungono i danni causati dalle calamità naturali. Una intervista a diverse donne e femministe attive nelle proteste che spiegano il perché della loro resistenza

di Elisa Aste

Rewind: Perù 2021, anno delle elezioni presidenziali.  Il testa a testa è tra Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori e Pedro Castillo: il sindacalista Castillo vince le elezioni. È un voto di rottura, di quelli che fanno tremare l’establishment. L’agenda elettorale del presidente entrante è chiara: “nuova costituzione,” perché quella ereditata dalla dittatura, nel 1993, non rappresenta il popolo.  Lo chiamano “comunista”, il modo più elementare ma efficace per infondere timore. Un termine che, alterato dalla destra più reazionaria, assume un significato endemico: “terrorista.”

Per tre volte il parlamento peruviano ha tentato l’impeachment contro il presidente Castillo accusandolo di “incapacità morale”: un processo legislativo che fa cadere governi come birilli, perché basato su valori etici blandamente definiti. Una contromisura che preoccupa anche la Commissione Interamericana per i Diritti Umani, visto che ne è stato fatto uso (e abuso) per ben sei volte dal 2017, causando difficoltà di continuità dei governi.

Il 7 dicembre 2022, il presidente Pedro Castillo prova a sciogliere il congresso per instaurare un governo d’emergenza.  «Prendiamo la decisione di istituire un governo di emergenza volto a stabilire lo stato di diritto e la democrazia – a tal fine sono dettate le seguenti misure: sciogliere temporaneamente il Congresso della Repubblica e stabilire un governo eccezionale di emergenza», sono le ultime parole di Castillo in qualità di presidente. Nessuno lo segue la vicepresidente Dina Boluarte notifica: “colpo di stato”. Qualche ora più tardi, Castillo, è stato arrestato dalla polizia e accusato di crimini contro l’umanità e corruzione.  Dina Boluarte diventa quindi la prima presidente donna del paese.

Foto di Connie France

La maggior parte dei paesi del trattato Mercosur, tra i quali Bolivia, Messico, Argentina e Colombia, si sono opposti all’arresto del presidente Castillo, definendolo una “istigazione antidemocratica”. Dello stesso parere sono le persone che Castillo lo hanno votato, ovvero il 50,12% della popolazione peruviana: sono loro che il 7 dicembre sono scese in piazza, soprattutto in provincia.  A Lima, invece, il campo di battaglia sono stati, inizialmente, i Social Network #RenunciaDina #AsambleaConstituyente #Parenlamasacre.

I manifestanti e le manifestanti scesi in strada in tutto il paese considerano la destituzione dell’ex presidente una operazione della destra più reazionaria e delle lobby economiche.

Il suo primo anno di governo è stato un susseguirsi di brusche frenate e cambi repentini. Ha svolto un buon lavoro? Non proprio. Deviato dalla sistematicità della corruzione, Castillo ha portato avanti scelte discutibili. Pedina nelle mani di una classe politica corrotta e poco attenta alle esigenze reali della popolazione, è da subito stato chiaro che le battaglie di giustizia sociale, in particolare quelle portate avanti dal movimento femminista e dal movimento LGBTQ+, avrebbero avuto del filo da torcere: anche se la presenza, iniziale, delle ministre Anahì Durànd Guevara e Mirtha Vásquez, le quali hanno portato avanti politiche egualitarie, tranquillizzava.

Questi movimenti hanno sostenuto Castillo durante le elezioni? Si, perché hanno scelto di muoversi sulla base del concetto di intersezionalità, scegliendo la convergenza nelle lotte contro le discriminazioni di genere, etnia e classe, concetti poco cari al liberalismo di destra. Era necessario sostenere Pedro Castillo, di umili origini, perché rappresentava il volto di tutte quelle minoranze che la governance peruviana divide in quote, anche al costo di doversi poi scontrare con il suo governo su alcune questioni centrali delle lotte che portano avanti.

Oggi, che le proteste sono arrivate anche a Lima e il numero delle persone decedute è arrivato a 60, i movimenti per i diritti umani, seppur critici dell’operato di Castillo, scendono in piazza per chiedere il rispetto della decisione popolare e difendere il diritto alla protesta: violentemente represso dalla polizia e sfociato, altresì, in arresti extragiudiziari e torture.

Foto di Connie France

In un paese nel quale i movimenti sono spesso divisi per le troppe lotte da affrontare, i movimenti sociali stanno dando un contributo fondamentale alle proteste. Il movimento femminista organizzato, il movimento delle donne del Perù e il sindacato delle lavoratrici domestiche non solamente sono scese tutte scese in piazza, ma sono state in grado di attivare, in tempi record, una fitta rete di aiuti economici e legali. Fondamentale è inoltre il loro intervento per denunciare e diffondere i soprusi ai danni dei e delle civili, soprattutto di natura razzista.

Come è accaduto sabato 21 gennaio quando, la polizia, con più di 400 uomini in tenuta antisommossa, ha fatto irruzione all’interno dei locali dell’Università San Marcos dove alloggiavano 192 persone: tra cui studenti, studentesse e persone di provincia arrivate a Lima per partecipare alle manifestazioni.

Le forze dell’ordine hanno invaso l’università, entrando anche negli alloggi delle studentesse, con il mandato di “reato di usurpazione in flagranza” (ovvero furto di un immobile) e “reato di terrorismo”. Hanno negato l’accesso ad avvocati, giornalisti e traduttori (molte delle persone arrestate erano quechua hablantes) e trasportato in caserma tutte le persone presenti in San Marcos, tra cui una bambina di 8 anni, per poi rilasciarle perché il fatto non sussisteva. Molti video apparsi in rete hanno riportato la brutalità razzista della polizia: una deriva denunciata anche da Amnesty International, che ha accusato le autorità peruviane di agire con «un marcato pregiudizio razzista».

Foto di Melanie Soca

In un comunicato dello scorso  21 dicembre dell’assemblea globale contro il terrorismo di stato e del regime civico e militare in Perù, si legge: «Il movimento femminista e il movimento di donne peruviane invita tutti i movimenti per la democrazia a denunciare le gravi violazioni dei diritti umani in atto in Perù».

Ancora: «Diverse reti latinoamericane di donne e femministe sono solidali contro la violenza e la repressione del regime civile militare di Dina Boluarte sotto il #DinaAsesinaTuNoEresFeminista»; infine, «Urge rompere l’assedio mediatico e far sapere alla comunità internazionale che in Perù è stato violato lo stato di diritto e si è instaurato un regime con un chiaro discorso razzista e fascista».

Foto di Connie France

Puno è oggi una delle città al centro del ciclone e le donne partecipano attivamente alle proteste, come ci spiega Diana T’iKa, docente universitaria  ed esperta di politiche pubbliche, di identità aymara e quechua.

  «La partecipazione delle donne di Puno, all’interno delle organizzazioni sociali è da sempre molto forte. Generalmente non ricoprono incarichi politici, ma le loro idee influenzano le decisioni collettive – considerando anche il retaggio culturale che vede la donna come amministratrice dell’economia sia familiare che delle organizzazioni. Inoltre, le donne stanno tramandando un importante sapere rispetto alla dimensione comunitaria».

Parlando delle proteste oggi in essere, T’iKa ci spiega che si sta assistendo a un fenomeno di intergenerazionalità: «Moltissime donne stanno partecipando alla mobilitazione, donne di tutte le età. Le si trova in prima linea o nel supporto logistico –  accompagnando ed organizzando le delegazioni provinciali. Gestiscono inoltre le ollas comunes (cucine comunitarie)». Le ollas comunes sono mense comunitarie autogestite, un metodo di mutuo aiuto per le comunità ad alta vulnerabilità ed elemento essenziale per sostenere e “nutrire” le lunghe settimane di proteste.

«Il grande lavoro messo in atto dalle donne», continua Diana T’iKa, «è ancora poco visibile, perché a essere intervistati sono soprattutto i dirigenti uomini. Anche se è bene far presente che, ultimamente, sono stati pubblicati i profili di donne e femministe particolarmente impegnate nella lotta. Anche a Lima l’impegno delle donne e, in particolare, dei collettivi femministi è estremo: lavorano ventiquattro ore su ventiquattro per sette giorni alla settimana, e il livello di organizzazione e di gestione dei flussi di persone in arrivo dalle province è eccellente. Le donne sono protagoniste in questa vicenda e renderlo visibile può incidere positivamente sulle generazioni a venire».

La sociologa e attivista femminista Maria Grazia Ruis aggiunge che «le ollas comunes e i locali nei quali si organizzano gli aiuti per la popolazione, sono presi di mira dalle forze dell’ordine, per questo è importante non esporli. Inoltre, sebbene l’importante ruolo delle ollas comunes ricada sulle donne, sono sempre di più le compagne che decidono di militare in prima linea, sovvertendo la narrazione che vede gli uomini come “corpo della protesta”».

Anche il settore culturale si è attivato dopo la strage di Juliaca (Puno). Secondo la scrittrice e attrice Rocio Limo, «l’orrore è tale che non può nemmeno essere nominato. Questo consente ai governi autoritari di convertirsi in dittature mascherate da democrazie. Le persone preferiscono appoggiare il discorso assurdo e folle della stampa, piuttosto che dare un nome all’orrore. A differenza delle proteste contro Merino, nelle quali era più forte il desiderio di giustizia che di pace […] questa volta il Perù mostra il suo lato peggiore: permeato di razzismo e di classismo, rivela la sua cecità e l’incapacità di mettere in discussione i privilegi. In un paese nel quale i diritti umani non sono rispettati: dove si normalizza e giustifica la violenza della polizia, anche quando sparano sui membri delle brigate umanitarie o attaccano i familiari dei feriti, noi creativi siamo chiamati a ripensare alla nostra funzione. Il mio lavoro promuove il dialogo e crea uscite laddove uscite non se ne vedono: per questo ci organizziamo, ma il “terruqueo” [accusare di terrorismo qualcuno] è più attivo che mai. Se dovessi scrivere un’opera basata su questo momento storico, la intitolerei “canzoni per resistere alla repressione”: perchè oltre all’orrore e alla violenza, le manifestazioni sono anche amore, forza, resistenza, musica, diversità, poesia, fiducia nell’altro […] perchè la vita umana è preziosa e va sempre difesa».

Le proteste in Perù si contraddistinguono per la massiccia presenza di musica e arte. Le femministe, spesso radunate in “batucadas”, difendono spazi e tengono alto il morale.

La cantante La là sente invece molto disinteresse da parte del settore musicale e culturale: «i miei profili social sono costantemente attaccati perché io sostengo le manifestazioni e provo solitudine in quanto il mondo della musica non si pronuncia. No, non avevo mai visto un exploit del genere, ma non mi sorprende: le persone sono stanche di essere manovrate dall’élite economica; inoltre le regioni si sono sempre contraddistinte per le azioni di ostruzionismo. Chiedono uguaglianza e manovre politiche serie per combattere la povertà e la povertà estrema. A Lima, le persone che criticano i manifestanti e le manifestanti, lo fanno anche a causa di una narrazione violenta ed erronea…secondo la quale, dietro alle proteste, ci sarebbero gruppi terroristici e di narcotrafficanti. Ciò che mi più mi indispone è che gli interessi economici di chi non ha intenzione di cambiare il proprio stile di vita, valgono di più di una vita».

Foto di Arturo Gutarra

Le proteste non sembrano placarsi: in due mesi sono state arrestate 743 persone, secondo il ministero dell’Interno. Di questo gruppo, 27 persone sono state condannate per vandalismo e altre 30 sono in custodia cautelare, ma la maggior parte sono state rilasciate per mancanza di prove.

Dina Boluarte, interrogata sulla violenza esercitata della polizia, ha risposto: «Ci dispiace per gli eccessi»; ma intanto il nuovo regolamento sull’uso della forza militare è stato pubblicato, e secondo questo nuovo codice in caso di bisogno ora si potrà sparare mirando al corpo e non più solo alle sue estremità.

Pedro Castillo è ancora detenuto e la proposta di anticipare le elezioni al 2023 è stata bloccata da 54 congressisti. Nulla di fatto: le proteste continuano con le stesse richieste e sono arrivati a 37 i punti di concentramento dei manifestanti e delle manifestanti, che stanno bloccando la viabilità nel paese.

Immagine di copertina di Connie France. Immagini nell’articolo di Connie France, Arturo Gutarra e Melanie Soca, che ringraziamo per la gentile concessione.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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