Allo scopo di migliorare la sostenibilità e la resilienza nei settori della pesca e dell’acquacoltura, la Commissione Europea ha presentato nuove misure in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. L’assunto è che, dal momento in cui cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e inquinamento degli oceani stanno minacciando l’approvvigionamento di risorse ittiche, proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini è l’unica via per garantire un futuro al settore della pesca nell’Unione Europea. Il pacchetto di misure presentato si articola così in quattro punti: una comunicazione sulla transizione energetica del settore della pesca e dell’acquacoltura dell’UE, un piano d’azione per proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini per una pesca sostenibile e resiliente, una comunicazione sulla “politica comune della pesca oggi e domani” e una relazione sull’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura.
Il pacchetto di misure è stato reso noto a dieci anni esatti dalla riforma della Politica comune della pesca (Common fisheries policy CFP), il pilastro dell’Unione finalizzato ad orientare il settore ittico verso una maggiore sostenibilità sia ambientale che sociale. Tra gli obiettivi fissati figura la decarbonizzazione della pesca di modo, tra le altre cose, da rendere tale attività meno suscettibile alle oscillazioni di mercato cui le fonti fossili sono evidentemente soggette. In particolare, per il settore ittico, si punta alla piena neutralità climatica entro il 2050, un target coerente con il Green Deal UE. La transizione verso fonti energetiche pulite interesserà l’intero settore ittico in senso stretto, ma anche la cantieristica, i porti, le ONG e le istituzioni nazionali e regionali. Altro punto focale del pacchetto riguarda poi le misure per la protezione degli ecosistemi marini, con particolare attenzione al ripristino degli habitat dei fondali marini nelle aree marine protette (MPAs). L’idea sarebbe quella di eliminare gradualmente la pesca in tutte queste aree entro il 2030, di vietarla poi in tutte quelle di nuova istituzione, nonché redigere un calendario finalizzato a definire attività ittiche che minimizzino le catture accidentali di specie minacciate.
Vi sono poi una serie di note più tecniche, reso note sulla pagina web del Parlamento Europeo, che vanno a disciplinare l’accesso alle acque dell’Unione, l’assegnazione e l’utilizzo delle risorse, i totali ammissibili di catture e la limitazione dello sforzo di pesca. “Il principale obiettivo – si legge – è garantire la vitalità del settore nel lungo termine attraverso lo sfruttamento sostenibile delle risorse”. Nel complesso, quindi, emerge uno sforzo politico significativo per trasformare il settore della pesca nell’Unione Europea in linea con i più basilari, ma a lungo ignorati, principi ecologici. Affinché le riserve ittiche contribuiscano alla sicurezza alimentare dell’UE è infatti necessario concedere alle popolazioni dei tempi di recupero più o meno lunghi a seconda di quanto un dato stock è stato nel tempo sfruttato. Ed inoltre, condizione imprescindibile è che l’ecosistema che le ospita versi in uno stato di salute soddisfacente. In definitiva, su carta, i presupposti appaiono promettenti, ma la differenza chiaramente la faranno i fatti. Non è infatti la prima volta che simili mirabolanti promesse vengano disattese. Ad esempio, basti pensare che le flotte europee, seguendo le linee guida del tempo, avevano già iniziato a ridurre i propri consumi energetici tra il 2009 e il 2014, ma i progressi sono poi presto rimasti fermi al palo.
[di Simone Valeri]