Quello di Dasa si prospetta sarà uno dei più grandi depositi di uranio – un metallo tossico e radioattivo – mai esistiti nello Stato del Niger. Almeno secondo i piani della Global Atomic, una corporazione canadese specializzata in materie prime per l’energia nucleare. Per raggiungere l’obiettivo, lo scorso 11 agosto è nata SOMIDA (Société des mines de Dasa), una società controllata per il 20% dal Governo del Niger e per il restante 80% dalla stessa Global Atomic, che già nel 2007 aveva iniziato la progettazione dello sfruttamento del deposito.
La multinazionale, però, nei suoi piani non ha tenuto conto di un aspetto fondamentale: la disobbedienza civile. Infatti lo scorso novembre, dopo l’avvio dei lavori presieduto persino dal primo ministro nigerino Ouhoumoudou Mahamadou, la popolazione è insorta, chiedendo verifiche, studi ambientali, garanzie, analisi radiologiche specifiche su acqua e suolo per evitare di esporre a gravi contaminazioni gli allevatori e i loro animali e soprattutto partecipazione. Molti di loro hanno infatti lamentato di non essere stati inclusi nella fase preliminare della progettazione, e di non aver per questo potuto discutere di temi importanti come quelle delle compensazioni economiche destinate alle popolazioni che subiranno un esproprio e dell’emarginazione delle comunità e dei leader che vivono nell’area.
Motivo per cui diverse ONG hanno portato il caso davanti alla giustizia, presentandolo il 13 febbraio 2023 al tribunale del comune di Agadez. Quest’ultimo, dopo aver raccolto le testimonianze dei presenti, ha confermato la fondatezza delle loro denunce e ha disposto «la sospensione delle operazioni operative della miniera di uranio di SOMIDA» e «la pubblicazione dello studio di impatto ambientale ed eventualmente la sua perizie e contro-perizie», a patto che ci sia «il monitoraggio e la valutazione da parte degli attori della società civile».
Una piccola vittoria durata però troppo poco. La Société des mines de Dasa ha infatti immediatamente presentato ricorso alla Corte d’Appello di Tahoua, sostenendo di «aver rispettato la normativa vigente». Una dichiarazione che è valsa alla società la caduta di tutte le accuse. La Corte si è infatti tirata fuori dalla questione dichiarandosi a quel punto “non competente”: una rinuncia che ha annullato la sentenza del tribunale di Agadez, che è sotto la sua responsabilità amministrativa. Le ONG nigerine hanno comunque promesso di portare avanti la battaglia, rivolgendosi questa volta alla Corte di Cassazione.
Nonostante la ricchezza dei suoi territori, a causa di sfruttamento e inquinamento, il Niger rimane uno tra i Paesi più poveri del mondo. La sua economia si basa per l’80% sull’agricoltura di sussistenza e l’allevamento del bestiame, settori spesso messi in crisi da una serie di insidie tra cui siccità, inondazioni, e sostanze nocive che finiscono nei terreni e nelle acque. Il 60% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, con l’approvvigionamento alimentare che rimane una delle più grosse piaghe del Paese. Tant’è che quasi la metà dei bambini soffre di malnutrizione.
[di Gloria Ferrari]