Ogni volta (letteralmente ogni volta, non è un’iperbole) che le cose al fronte non vanno come la nostra propaganda vorrebbe andassero, cioè ogni volta che l’esercito ucraino perde terreno, parte qualche operazione di controinformazione. Non si nega il problema perché si farebbe la figura, appunto, dei propagandisti, ma lo si “contestualizza” in maniera che sembri un’impasse momentanea che verrà alla fine recuperata senza sforzo perché le condizioni nelle quali si trova l’esercito avversario sono molto più drammatiche di quelle nelle quali si trova il nostro, specialmente se poi l’impasse è la perdita di una città “di nessun valore strategico”. Ora, intendiamoci: questa cosa è assolutamente normale, del tutto giustificata, e in nessun modo esclusiva di una sola parte di questo solo conflitto: lo fanno anche i russi quando tocca a loro, per dire, ed è ovvio che lo facciano. Però noi siamo ovviamente esposti alla “nostra” propaganda, non a quella russa, checché ne pensi Nathalie Tocci, e quindi vediamo un po’ che succede dalle nostre parti.
La destinazione classica della controinformazione, in questo conflitto, è Twitter. È il medium di riferimento per l’anglosfera (non è un caso che i NAFO siano nati lì. Possiamo dire che sono una psyop dei servizi USA o facciamo la figura dei complottari putinisti?), meno per l’Italia anche solo per un semplice problema di spazio (l’italiano tende ad avere costruzione sintattica e un numero di sillabe superiore di circa un terzo allo stesso testo in inglese) ma è comunque comodo per i nostri giornalisti, che grazie a Google translate o al cognato che l’inglese lo parlicchia per via del b&b hanno accesso a una gran mole di informazioni con solo 24-48 ore di ritardo. Quindi oggi, già stanotte in verità, mi sono rivolto con fiducia all’uccellino azzurro, e non sono stato deluso. Condivido con voi due foto.


La prima è una di quelle mostruosità, dette “modifiche sul campo”, che sono la gioia dei modellisti e dei fanboy delle armi (come chi scrive) e che vengono fuori in ogni conflitto quando o c’è da far fronte a un problema imprevisto o si ha a disposizione parecchio equipaggiamento di cui non si sa che farsene, o entrambe le cose. È un BMP-1, un trasporto truppe sovietico entrato in servizio nel 1966 e che ora è improponibile sul campo di battaglia, sul quale è stata montata un’altrettanto vetusta torretta navale 2M-3M armata con due cannoni automatici 110-PM da 25 mm, uscita di produzione nel 1984. Si tratta di una soluzione ingegnosa che combina due mezzi altrimenti destinati allo sfasciacarrozze (accompagnati da una gran quantità di munizioni altrimenti inutilizzabili anch’esse) in un veicolo che OVVIAMENTE non vedremo mai accompagnare le truppe sul campo di battaglia ma che sarà utilizzato in difesa più o meno statica contro i droni o, al limite, per fornire fuoco di supporto dalle retrovie. Tra l’altro non sappiamo nemmeno quanti ne sono stati prodotti, né dove: nel filmato da cui è tratto lo screenshot che allego se ne vedono due su un treno e questo è tutto. Commento del twitterverso: la Russia non ha più veicoli da mandare al fronte, li hanno persi tutti a Bahmut, Uglerad e Kreminna, sono costretti a inventarsi roba del genere per continuare l’avanzata, se intendono fermare i Leopard con questa roba stanno freschi. Sottotesto: che ci frega di Bahmut, la riprendiamo quando vogliamo.


Seconda foto: è una vanga MPL-50 in dotazione alla fanteria russa. È lunga mezzo metro e ha un lato affilato per poter essere usata come accetta (scherzone classico alle reclute è invertire il filo e comandargli di tagliare la legna). E quindi, direte voi. Quindi ieri il Ministero della Difesa inglese, nel suo briefing quotidiano, ha detto che i soldati russi sono obbligati ad andare all’assalto “solo con i fucili e con le pale”, pale, tra l’altro, il cui disegno originale risale nientepopodimeno che al 1869! Questo, come rimarca subito Repubblica dopo sole 24 ore, evidenzia il fatto che l’esercito russo non ha più equipaggiamento e che insiste “su un’azione offensiva composta in gran parte da fanteria a piedi” perché, OVVIAMENTE, i russi hanno finito le munizioni e i mezzi, come già abbiamo capito (ricordo a tutti che ieri, 4 marzo, è un anno dal tweet di Christo Grozev di Bellingcat che ci informava che i russi avevano missili solo fino a domenica prossima).
Ora.
Io non so se avete presente come si prende una trincea, o un palazzo. L’artiglieria serve prima, non durante, per l’ottimo motivo che in quella trincea ci sono anche i tuoi uomini. E la si prende, appunto, con i fucili. E soprattutto con le vanghe, il cui lato affilato non serve solo a tagliare la legna, ma a spaccare la testa o a mozzare le mani di chi ti trovi di fronte. Mi scuso per questi dettagli, perché sicuramente non si è visto mai Tom Cruise o Brad Pitt assaltare una trincea spaccando teste con una vanga (ancora meglio una mazzetta ferrata, mi dicono, ma non è d’ordinanza), però è così che vanno le cose. Sono leggere, maneggevoli, efficaci, non si incastrano negli angoli come spesso fanno i fucili eccetera. Il giornalista di Repubblica non lo sa, ovviamente; quello del Ministero della Difesa inglese immagino di sì, a meno che non abbiano appaltato anche questo a un servizio esterno. Ma non gli importa: quello che importa è che al lettore deve restare l’impressione che i russi si portino appresso roba del 1869, e che i loro assalti a ondate umane siano destinati a infrangersi contro il moro della tecnica bellica occidentale. Bene così.

FUN FACT: l’MPL-50 risale in effetti, come disegno, al 1869, anche se il brevetto è depositato nel 1870. È opera di un danese, Mads Johan Buch Linnemann, che l’ha inventata appunto per l’esercito danese. Nel 1871 è stata adottata dall’esercito austroungarico; Linnemann ha impiantato una fabbrica a Vienna e negli anni successivi il modello è entrato in esercizio anche negli eserciti tedesco, rumeno e russo. Indovinate un po’ chi sono stati gli unici a pagare i diritti a Linnemann? Esatto, i russi: 30.000 rubli.

Francesco Dall’Aglio

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