Se qualcuno ora pensasse che il PD abbia improvvisamente buttato alle spalle agende Draghi e affiliazioni con le Ztl, se qualcuno ora pensasse che poco più di un milione di voti siano un successo dopo averne perduti oltre sei negli ultimi quindici anni, se qualcuno insomma ora pensasse che dopo le sue primarie, “il partito più grande della sinistra italiana” sia rinato a nuova vita, bene quel qualcuno avrebbe tutte le ragioni per crederlo, perché è esattamente ciò che gli viene raccontato a reti unificate. Perché è questa la rappresentazione della realtà che lo specchio deformante dei nostri media offre al paese.
Il popolo democratico è vivo, si è sentito dire. Straordinario momento di partecipazione, si è annunciato con giubilo. Peccato però che non ci si sia nemmeno lontanamente avvicinati agli oltre tre milioni di voti delle primarie che incoronarono segretari prima Veltroni e poi Bersani.
Il PD tornerà ad essere un partito vicino ai ceti più deboli e ai lavoratori precari, si è promesso e ripetuto a pappagallo nei salotti tv. Quali esattamente? Quelli protetti dei centri storici (soprattutto del Nord) che hanno tirato la volata alla nuova segretaria?
Dai gazebo è arrivata una forte domanda di cambiamento, una spinta ad innovarsi, ci hanno raccontato a destra e a manca. Anche nel 2013, però, la scalata al partito di un giovane ex-democristiano fiorentino, appoggiato peraltro da tanti vecchi militanti comunisti che lo votarono in massa, iniziò con i medesimi auspici.
Per non dire poi dell’entusiasmo per l’elezione della “prima segretaria donna” (che sa tanto di pallida e tardiva risposta alla “prima Presidente del Consiglio donna”). Gente che era novant’anni che aspettava questo momento, si è arrivato a dire con grande sprezzo del pericolo. Quasi a voler sottolineare e rivendicare la continuità con una storia completamente diversa. Una storia di fatto tenacemente ripudiata per oltre trent’anni, con cui la stessa neo-segretaria ha ben poco da spartire.
Se dessimo ascolto insomma alla narrazione dominante attorno a queste primarie diremmo che la sinistra italiana ha trovato in Elly la sua nuova lider maxima. Poco importa se poi tra il dire “cose di sinistra” e il farle sul serio, c’è di mezzo il mare. Poco importa se l’orizzonte resta sempre quello di un riformismo buono per ogni stagione, in cui la rappresentanza degli interessi dei ceti subalterni rimane confinata in una vaga lotta alle diseguaglianze che negli ultimi anni ha prodotto risultati pressoché nulli. Poco importa se il primato del mercato e il credo atlantista non siano sostanzialmente in discussione. Se i proclami di voler porre un freno alla precarietà arrivino dopo quindici anni di scelte liberiste ed antipopolari, se la guerra va alimentata con nuove armi “finché ci sarà bisogno”. E nulla conta neppure il fatto che fino all’altroieri l’autonomia differenziata, un progetto che potrebbe scardinare l’unità nazionale del paese, piacesse tanto alla neo-segretaria quanto al suo sfidante, quasi al pari dei governatori di centrodestra.
È tutto nuovo, diverso! Questa spruzzata di vernice rossa sulla scocca del democratic party è favolosa! E a sottolinearne la “lucentezza” progressista ora ci sarà un intero sistema che si sforzerà in ogni modo di contrapporla al nero stile Ventennio dell’altro campo, costruendo l’ennesimo schema bipolare vuoto, imperniato su sterili personalismi. Uno schema che fa un gran male alla partecipazione politica, e che già oggi attira alle urne all’incirca un italiano su due.
Nello scontro creato ad arte tra le due contendenti, già rappresentate come testimonial di due differenti modi di esser donna, il panorama e il dibattito politico italiano rischiano così di diventare ancora più asfittici. Gli spazi per chi è fuori dai due blocchi, grazie ad un’abile e collaudata manipolazione dell’opinione pubblica, potrebbero restringersi ulteriormente. In particolare a sinistra del PD, dove il richiamo/ricatto del voto utile, assieme alla rinnovata capacità di bluffare attenzione per gli interessi dei settori della società più colpiti dalla crisi, potrebbe finire col togliere altra spinta e consenso alla costruzione di una sinistra realmente alternativa alla destra. Una sfida che malgrado i bluff e i caroselli che festeggiano le magnifiche sorti e progressive del PD di Elly, resta tutta aperta. Perché nessuna mutazione di un partito che ha da tempo esaurito la sua scorta di credibilità di fronte ai sommersi del neoliberismo potrà mai soddisfare il bisogno profondo di sinistra che ancora c’è.