Il parlamento dell’Ungheria, su iniziativa dell’Esecutivo, ha approvato una risoluzione a favore della pace in Ucraina. “Dopo un anno di guerra tra russi e ucraini – si legge all’interno del documento – è venuto il tempo della pace. Il nostro impegno è rivolto a un cessate il fuoco che avvenga quanto prima”. Un’ottica che riproduce fedelmente l’approccio del governo di Victor Orban, che è sempre rimasto fedele alla linea del no all’invio delle armi a Kiev. Per la prima volta, insomma, uno Stato membro della Nato ha reclamato ufficialmente la pace in Ucraina.
Il mese scorso, ad un anno dall’inizio della guerra, nel messaggio annuale alla Nazione il premier aveva sottolineato il ruolo chiave del suo Paese nell’attuale scenario geopolitico: «L’Ungheria – aveva detto – è l’unico paese che è per la pace, il resto dell’Ue alimenta la guerra. Questa non è la nostra guerra, dobbiamo rimanerne fuori, sollecitiamo un cessate di fuoco immediato, la Russia è un partner importante per l’energia, per cui dobbiamo dialogare, mantenere i rapporti con Mosca». Un messaggio ribadito con parole molto nette solo pochi giorni fa in occasione di un’intervista radiofonica: «La terza guerra mondiale non è mai stata così vicina», ha dichiarato Orban, criticando fortemente la «febbre da guerra» dei leader occidentali, che continuerebbero imperterriti a inviare «armi sempre più pericolose all’Ucraina». Parole che si specchiano con quelle del ministro degli Esteri Péter Szijjártó, che la scorsa settimana ha dichiarato che «le vite umane non si salvano non con le armi e con le sanzioni, ma con accordi di pace», evidenziando che «non vediamo da nessuna parte al mondo forze che vogliano davvero mettere fine a questa guerra. Siamo sempre più vicini alla possibilità di un nuovo conflitto mondiale».
Il testo della risoluzione si focalizza dunque sulla promozione di una tregua e di un accordo di pace. Se, da una parte, si condanna l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin e il diritto di Kiev all’autodifesa, dall’altra – al contrario di quanto fatto dal documento approvato dall’assemblea dell’Onu – non si chiede però il ritiro delle truppe russe dal suolo ucraino. Sul punto si è espressa criticamente l’opposizione, che ha evidenziato come il ritiro dei russi sia invece una conditio sine qua non per giungere alla pace. Mentre la maggioranza ungherese si è schierata contro le sanzioni imposte alla Russia, giudicandole un autogol, in quanto avrebbero prodotto l’aumento dei costi dell’energia, dai banchi dell’opposizione i socialisti hanno invece criticato l’azione del governo, dal momento che «l’Ungheria è l’unico stato membro dell’Ue che acquista ancora petrolio e gas russi, mentre gli altri paesi si stanno rivolgendo con successo a fonti energetiche diverse».
Le strategie di politica estera dell’Ungheria, è evidente, rimangono legate a doppio filo all’influenza di Mosca. Nel contesto di una crisi dalle radici così profonde, esplosa da un anno in una guerra sul campo proiettata ora in maniera sempre più chiara verso il rischio di un’escalation militare, il governo di Budapest sbandiera però come “responsabile” la sua posizione, che sostiene essere volta a evitare il coinvolgimento del paese nella guerra e ad aprire concreti spiragli di pace.
[di Stefano Baudino]