Il Governo americano, guidato da Joe Biden, ha approvato un progetto di trivellazioni di cui si discuteva da tempo: vale 8 miliardi di dollari e servirà ad estrarre fino a 180mila barili di petrolio al giorno. Il “Willow Project”, come è stato rinominato, è gestito dalla compagnia petrolifera statunitense ConocoPhillips, interesserà per decenni un’area di 930mila chilometri quadrati nel nord dell’Alaska e comprenderà più di 200 pozzi distribuiti su tre piattaforme di perforazione. Secondo i calcoli dell’azienda, il progetto potrebbe generare fino a 17 miliardi di dollari di nuove entrate per le amministrazioni federali, statali e locali.
Le organizzazioni ambientaliste e le comunità di nativi americani – che vivono nella regione interessata – sono sul piede di guerra, sostenendo che le trivellazioni contribuiranno a deteriorare ulteriormente le già complicate condizioni dell’ecosistema locale e rallenteranno la transizione verso combustibili più puliti, violando così gli obiettivi climatici che Biden si è imposto in campagna elettorale. Di certo a convincere l’opposizione al progetto non bastano le promesse di duemila posti di lavoro in più e bollette meno care in futuro avanzate dai politici locali.
Il paradosso è che la decisione del Governo è arrivata poco dopo la dichiarazione da parte della stessa Amministrazione di voler bloccare o limitare le trivellazioni in altre zone del Paese, soprattutto sulla costa settentrionale dell’Alaska. Il Dipartimento degli Interni ha infatti detto che promulgherà nuove regole per bloccare le estrazioni di petrolio e gas sugli oltre 13 milioni di acri – su 23 – che formano la National Petroleum Reserve-Alaska.
«È offensivo che Biden pensi che questo ci farà cambiare idea sul progetto Willow», ha dichiarato Kristen Monsell, avvocato del Center for Biological Diversity, un gruppo ambientalista. «Proteggere un’area dell’Artico per poterne distruggere un’altra non ha senso e non aiuterà le persone e la fauna selvatica».
L’approvazione del progetto della ConocoPhillips contraddice l’immagine democratica e ambientalista che il Presidente americano si è costruito negli ultimi due anni. Durante la campagna elettorale del 2020, infatti, Biden ha garantito agli elettori che, una volta salito al potere, avrebbe vietato nuove trivellazioni petrolifere sui terreni statali, «punto e basta». Promettendo, tra l’altro, di fare della lotta al cambiamento climatico il pilastro più solido della sua amministrazione, come non era mai successo in passato. È vero che già prima di questo caso, Biden aveva approvato alcuni leasing di petrolio e gas su terreni federali, ma finora non aveva mai violato la sua promessa elettorale, se non dietro obbligo di un Tribunale o un mandato del Congresso.
Alla fine, almeno in quest’ambito, l’attuale Presidente non si sta mostrando molto diverso dal suo predecessore. Nel 2020, infatti, Donald Trump, dopo decenni di protezione, aveva dato il via libera alle trivellazioni per petrolio e gas all’interno dell’area protetta Arctic National Wildlife Refuge dell’Alaska, un terreno di 78 milioni di chilometri quadrati dimora di centinaia di animali selvatici (tra cui orsi polari e caribù). Trivellazioni che solo due anni fa erano state così tanto criticate dai democratici, e che lo stesso Biden aveva deciso di bloccare.
Al momento a nulla sono servite le oltre un milione di lettere di protesta spedite dai cittadini alla Casa Bianca, né le oltre 3 milioni di firme raccolte in una petizione online. Probabilmente, per ricordare a Biden gli impegni climatici più volte promessi, non rimarrà altro che procedere per vie legali.
[di Gloria Ferrari]