Ci sono immagini che sono il lampo di un momento storico. Le lotte operaie , le vittorie e le sconfitte, dai comizi di Di Vittorio al luglio del 1960, dall’autunno caldo alla marcia dei quarantamila, dalla difesa della scala mobile alla rivolta operaia contro i dirigenti sindacali del 1992. Tutti i momenti fondamentali delle lotte con le quali il mondo del lavoro ha conquistato diritti e dignità, che poi ha cercato di difendere, sono stati immortalati in immagini potenti.
Questi ultimi trent’anni, quelli della lunga ritirata del lavoro sotto l’aggressione della precarietà e dello sfruttamento, hanno tante immagini, di resistenze e di cedimenti. Ma finora non ce ne era una che da sola cogliesse l’ultimo trentennio. Alla fine del quale l’Italia è il solo paese ricco a subire la riduzione dei salari.
Ora l’immagine del disastro che da noi ha colpito il lavoro c’è. È quella di Giorgia Meloni che comizia sicura e sprezzante al congresso della CGIL, riscuotendo persino qualche applauso da una sala, che tranne una piccola minoranza, è attonita e in fondo dominata.
La Presidente del Consiglio del più reazionario dei governi che, quando non ubbidisce all’agenda Draghi e agli ordini della NATO, scatena odio di classe contro i lavoratori, i poveri, i migranti. La leader di un partito che vanta la fiamma neofascista nel suo simbolo, ha potuto parlare da padrona al congresso della CGIL perché anni di passività e complicità dei dirigenti sindacali le hanno aperto la via.
Giorgia Meloni fa il suo mestiere, Landini ed i suoi da anni non fanno il loro. Fanno i furbetti , spiegano che la visita di Meloni è un riconoscimento della loro forza, aiutati in questo dalla stampa di regime che ne amplifica gli inesistenti ruggiti, ma la sostanza di tutto è solo subalternità.
Landini e i suoi hanno trasformato il congresso della Cgil in una succursale di Porta a Porta, mentre in Francia i lavoratori danno l’assalto ai centri del potere. Non vinceranno, come mormorano tutti i sindacalisti crumiri? Può essere, ma ci provano e se ci si prova qualcosa a casa si porta sempre. Se invece ci si arrende prima ancora di cominciare, si perde sempre tutto.
Di Vittorio si rivolta nella tomba, dalla quale invece sorge l’immagine di D’Aragona, che nel 1927 sciolse la CGL in ossequio al Presidente del Consiglio di allora.
Che paragoni sento subito dire, Landini non ha certo intenzione di sciogliere la CGIL. Certo che no, però l’ha resa come minimo inutile per i lavoratori che vogliano risalire la china da dove sono precipitati.
Se i lavoratori vorranno cancellare questi trent’anni di umiliazioni, dovranno farlo senza e contro i dirigenti sindacali che hanno dato legittimazione e forza a Giorgia Meloni.
Giorgio Cremaschi PaP UP