Mario Lombardo
Milioni di lavoratori francesi sono nuovamente scesi in piazza per continuare a lottare contro la “riforma” delle pensioni imposta dal presidente Macron senza un voto del parlamento. In varie città si sono svolte manifestazioni accolte nuovamente dalla violenza delle forze di sicurezza. Nella giornata di giovedì, alcuni settori cruciali come quello dei trasporti hanno indetto scioperi che hanno causato pesanti disagi in tutto il paese. Le tensioni sono andate alle stelle dopo l’apparizione televisiva di Macron nel primo pomeriggio di mercoledì. L’intervento, che nelle intenzioni avrebbe dovuto contribuire a calmare gli animi, si è risolto invece in una difesa a oltranza della “riforma”, nonostante l’opposizione della grandissima maggioranza dei francesi, e nella sostanziale liquidazione dei principi democratici in nome dei grandi interessi economico-finanziari a cui fa esclusivo riferimento l’inquilino dell’Eliseo.
Dal mese di gennaio sono state organizzate nove giornate di protesta su scala nazionale per cercare di fermare la legge che introduce svariate modifiche peggiorative del sistema pensionistico francese. L’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni e l’aumento degli anni di contributi per accedervi sono i punti centrali di un provvedimento impopolare come pochi nella storia recente della Francia.
Dopo una breve discussione in parlamento e il voto favorevole del Senato, la “riforma” sembrava non avere i numeri necessari all’Assemblea Nazionale, visto che il partito di Macron (“Renaissance”) ha perso la maggioranza assoluta nelle elezioni dello scorso mese di giugno. Il governo di minoranza della premier Elisabeth Borne aveva così deciso di ricorrere all’anti-democratico articolo 49-3 della Costituzione francese, che permette appunto di bypassare il voto del parlamento per fare approvare una determinata legge. Questo procedimento può essere neutralizzato solo con un voto di sfiducia che, in caso di successo, determina la caduta del governo. Due mozioni dell’opposizione sono state discusse lunedì scorso, ma entrambe sono state sconfitte, di cui una per appena nove voti.
Per il momento, lo scontro con i lavoratori sembra destinato a intensificarsi. La polizia francese intende continuare a usare il pugno di ferro contro i manifestanti e, soprattutto, contro i partecipanti agli scioperi in settori strategici. Martedì ci sono stati ad esempio scontri nella raffineria di Fos-sur-Mer, nel sud della Francia, dove le forze di sicurezza hanno tentato di requisire l’impianto. Iniziative sono andate in scena e continuano a essere organizzate in tutto il paese, come il blocco di giovedì delle arterie stradali che servono l’aeroporto De Gaulle nella capitale e del ponte Saint-Nazaire, il più lungo del paese e situato sulla costa nord-occidentale.
A Parigi, gli operatori ecologici sono inoltre in sciopero dal 15 marzo e i rifiuti si stanno accumulando rapidamente nelle strade, mentre la mobilitazione riguarda anche gli insegnanti e i lavoratori portuali. Finora, gli arresti effettuati dalla polizia francese durante le manifestazioni sono stati un migliaio, di cui quasi ottocento solo a Parigi.
L’opposizione al presidente Macron e al suo governo sta insomma raggiungendo livelli altissimi. I sondaggi indicano d’altra parte un paese schierato contro l’Eliseo, con circa l’80% dei francesi contrari alla “riforma” delle pensioni. In questo scenario, il presidente non intende fare nessun passo indietro, ma ha anzi scelto di esprimere tutto il suo disprezzo per i lavoratori. Nella già ricordata intervista di mercoledì per i canali televisivi TF1 e France 2, Macron ha difeso la legge, impegnandosi a farla entrare in vigore entro la fine dell’anno, dopo che la Corte Costituzionale avrà espresso il proprio parere.
Le parole di Macron sono un esempio perfetto dello scollamento incolmabile tra le classi dirigenti occidentali e le popolazioni che governano. Senza nessuna legittimità democratica, leader come l’ex banchiere d’affari francese impongono misure dettate unicamente dagli ambienti finanziari domestici e internazionali. Di fronte a un’opposizione generalizzata, il governo e il presidente decidono in autonomia e senza un voto del parlamento per dirottare miliardi di euro dalle pensioni verso il riarmo e, probabilmente a breve, un nuovo massiccio intervento pubblico per il salvataggio delle banche.
Macron si è dunque detto pronto ad accettare la sua “impopolarità” pur di mandare in porto la “riforma” delle pensioni, agitando un finto scrupolo democratico per cui il fatto di essere stato eletto toglierebbe qualsiasi legittimità alle proteste in corso. Nella visione oligarchica dei politici come Macron e di molti altri in Occidente, l’esercizio elettorale consente qualsiasi iniziativa anti-democratica e giustifica, di conseguenza, la repressione di eventuali proteste, anche se massicce e diffuse come quelle in atto.
In un altro passaggio dell’intervista, alla domanda su possibili ripensamenti in merito alla gestione della “riforma”, Macron si è detto rammaricato solo per non essere riuscito a convincere i francesi della necessità della legge. In realtà, il fallimento del presidente in questo ambito dipende interamente dal fatto che le ragioni alla base della “riforma” sono menzogne pure e semplici. La tesi del sistema pensionistico alla bancarotta è stata infatti smentita anche da organi di supervisione dello stato che ne hanno certificato ufficialmente la solvibilità. Che poi non ci siano risorse per le pensioni è un’argomentazione smentita dagli stanziamenti colossali già previsti per le spese militari o dai tagli alle tasse per grandi aziende e ultra-ricchi, buona parte dei quali sostenitori dello stesso Macron.
Gli eventi che stanno scuotendo la Francia confermano ancora una volta come ci siano poche o nessuna possibilità di contrastare il dominio assoluto dei poteri forti sulle strutture dello stato, né tantomeno di promuovere politiche progressiste all’interno dell’attuale sistema “parlamentare democratico”. La parvenza della democrazia occidentale serve ormai a nascondere una deriva autoritaria ben avanzata che impone politiche regressive e reprime con metodi violenti ogni forma di protesta che minacci di sfuggire di mano alle autorità
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