La delega al governo sul fisco favorisce gli alti redditi, i redditi da capitale, l’evasione e l’elusione fiscale. Il minor gettito sarà a scapito dei lavoratori dipendenti, dei contribuenti onesti, dei bassi redditi e delle prestazioni pubbliche, disegnando uno Stato minimo di tipo ottocentesco.
La nostra Costituzione, all’articolo 53, stabilisce che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Per tale motivo, quando nel 1974 venne istituita l’Irpef, furono previste ben 32 aliquote che andavano dal 10% per i redditi annui fino a due milioni di lire (circa 12.700 euro odierni, considerata l’inflazione) al 72% per i redditi oltre 500 milioni (circa 3.175.900 euro odierni).
Con la stagione liberista questa progressività è stata drasticamente abbattuta. Per prima cosa sono stati via via esclusi da questo tipo di tassazione quasi tutti i redditi da capitale, come per esempio con l’istituzione dell’imposta sostitutiva del 26% su dividendi e interessi o la cedolare secca sugli affitti. In secondo luogo le aliquote si sono ridotte a 4 di cui la prima del 23% per i redditi fino a 15.000 euro e l’ultima del 43% per i redditi di oltre 500 mila. Si è trattato quindi di modifiche che hanno penalizzato pesantemente i bassi redditi a vantaggio degli alti e altissimi.
La delega al governo di rivedere le aliquote, riducendole da 4 a 3 non costituisce pertanto, almeno a un esame superficiale, una rivoluzione ma si inserisce in un processo pluriennale. Tuttavia questa riduzione è stata annunciata come un momento di passaggio verso la flat tax, cioè un’aliquota uguale per tutti che seppellirebbe definitivamente la pur debole natura progressiva dell’Imposta sulle persone fisiche (per non parlare del sistema fiscale nel suo insieme che, in ragione dell’incidenza delle molte imposte dirette, contributi e tariffe sta acquisendo il carattere di regressività!).
La destra sta tentando di far passare la proposta anche fra l’opinione pubblica utilizzando il consueto, demagogico argomento della riduzione delle tasse per tutti, quale viatico per lo sviluppo di un rapporto amichevole fra cittadino e fisco sancito dal cosiddetto concordato preventivo biennale. Quest’ultimo comporta che per alcune categorie di contribuenti verrebbero bloccate le tasse per due anni e verrebbero riscritte le regole della lotta all’evasione fiscale “in senso preventivo e non più repressivo”. In soldoni, mentre i lavoratori dipendenti pagherebbero fino all’ultima lira, altri contribuenti contratterebbero preventivamente col fisco le tasse da pagare sulla base di una proposta del fisco stesso che potrà essere rifiutata se ritenuta sfavorevole. L’imponibile rimarrebbe quindi fisso per i successivi due anni anche se i ricavi saranno diversi da quelli concordati, favorendo così chi avrà incrementi di reddito e consentendo di non aderire a coloro che prevederanno decrementi.
È evidente il rischio di trasformare questa sorta di pace fiscale in un assist agli evasori i quali potrebbero pervenire a un patto con lo Stato per versare una quota concordata di imposte e successivamente, per i successivi due anni, continuare a evadere contando sull’assenza o l’attenuazione dei controlli.
Ma non è tutto. La delega stabilisce di eliminare la distinzione tra redditi di capitale (dividendi da partecipazioni, interessi ecc.) e redditi diversi, che includono i guadagni o le perdite derivanti dalla differenza fra prezzi di acquisto e quelli di vendita dei titoli. In questo modo le eventuali perdite dalla speculazione finanziaria andrebbero ora in detrazione ai redditi da capitale, riducendone il gettito. La ex direttrice generale del dipartimento delle Finanze Fabrizia Lapecorella ha avvertito che questa clausola “potrebbe ridurre in misura significativa o annullare il gettito attualmente derivante dai redditi finanziari“, il quale ammonta a circa 10 miliardi.
Il minor gettito dalla flat tax potrà essere stimato una volta che se ne conoscono le aliquote, ma mettendo insieme trattamenti di favore per certe categorie di reddito, favoreggiamento dell’elusione e dell’evasione e riduzione della tassazione degli alti redditi è prevedibile un minor gettito, dell’ordine delle decine di miliardi, dai ricchi e dagli evasori che può essere compensato in soli due modi: o tassando di più i bassi redditi, i contribuenti onesti e i lavoratori dipendenti o tagliando ancora di più la spesa pubblica. E, visto che le spese militari sono previste in grande crescita, le vittime saranno soprattutto la sanità, la scuola e le pensioni. Fuori dalla propaganda, non può essere negato che il tutto si riduce in una redistribuzione all’incontrario: dai poveri ai ricchi.
Ma non si tratta solo di un problema di quanta ricchezza si trasferisce indirettamente da una classe a un’altra. In gioco c’è il modello di società che si va istituendo. Per onestà intellettuale occorre ringraziare di ciò i governi di tutti i tipi che si sono succeduti per circa quattro decenni, non solo i governi di centrodestra comunque i più fanatici nella lotta contro il fisco.
Il processo infatti viene da lontano: dal taglio delle pensioni compensato dalla previdenza integrativa che ha trasferito alla finanza e alla speculazione una parte dei diritti dei lavoratori, dai tagli alla sanità che non sono rientrati neppure dopo l’esperienza drammatica della pandemia e che ugualmente hanno trasferito al mercato della salute buona parte delle prestazioni che il sistema sanitario pubblico non è più in grado di garantire, o di garantirlo in tempi accettabili, ai contratti di lavoro che, con il beneplacito dei sindacati più rappresentativi, estendono sempre di più il welfare aziendale, all’autonomia scolastica e alla “buona scuola” che sta trasformando in senso aziendalistico le scuole in cui sta riprendendo spazio la selezione di classe.
Se poi analizziamo il combinato disposto della riforma fiscale e della proposta di autonomia differenziata, che comporterà diritti differenziati fra i cittadini delle varie regioni, le ingiustizie si moltiplicano.
Infatti le regioni più povere sono anche quelle dove, per le caratteristiche del tessuto economico fatto di piccole imprese, minore sarà il gettito fiscale, mentre l’autonomia differenziata comporterà che il gettito di ogni regione sia speso prevalentemente in loco, pregiudicando la misura della ripartizione solidaristica delle risorse. Ci sarà quindi da aspettarsi uno stato minimo di tipo ottocentesco per tutti e maggiori sofferenze per le zone svantaggiate, mentre prevarrà la differenziazione fra i diritti e sarà incentivato l’egoismo.
Per questo motivo sarà necessaria una vasta mobilitazione popolare e ci auguriamo che i sindacati non si ritraggano di fronte a questa necessità.
https://www.lacittafutura.it/editoriali/flat-tax-verso-uno-stato-minimo