Quello che sta accadendo in Francia in queste settimane non rappresenta soltanto una protesta tra le tante contro un disegno di legge voluto dal presidente Emmanuel Macron e portato avanti a colpi di forza dal governo guidato da Elisabeth Borne. Come racconta Barbara Stiegler, professoressa di filosofia politica all’Università di Bordeaux, studiosa della tradizione liberale, in un’intervista di Hugo Boursier apparsa il 21 marzo scorso su Politis e di cui pubblichiamo qui la traduzione, quello che stiamo osservando in Francia è «una nuova tappa nella mutazione del neoliberismo», che esprime «un odio per la democrazia che non esita più a imporre “l’ordine” attraverso la violenza poliziesca e che, così facendo, semina il caos in tutto il Paese».

Per tutti coloro che in Italia, di fronte alla potenza degli scioperi, dell’opposizione popolare e dell’espressione del dissenso, ribattono che, anziché manifestare, i francesi (ovvero meno del 40% dei votanti) in fin dei conti hanno scelto di votare nuovamente Macron, laddove avrebbero potuto scegliere diversamente votando Marin Le Pen, Barbara Stiegler mostra come la democrazia non possa essere ridotta al solo ed esclusivo momento del voto. Questa critica, condensata nella formula “votare serve”, espressa in Italia da chi ritiene che il lepenismo rappresenti una reale alternativa al macronismo, è cioè figlia di quella stessa logica macronista per cui l’unica legittimità politica è incarnata dagli eletti, e che la partecipazione democratica tramite l’espressione del dissenso e le manifestazioni non siano altro che una forma di inutile folclore, dato che la soluzione ai problemi può essere esclusivamente rappresentata da un voto parlamentare. Questo logica rivela piuttosto un’incapacità a costruire un’opposizione forte e organizzata, extraparlamentare, che sia capace di raccogliere e costruire consenso, da cui storicamente sono giunti i maggiori cambiamenti sociali; nonché un’incomprensione della realtà francese, profondamente diversa in questo da quella italiana. Se certamente “votare serve”, tuttavia un voto parziale esercitato in una fase di crisi profonda della rappresentanza, connotato da una fortissima astensione e da una concreta assenza di reali proposte alternative, non è l’unico condensato dell’espressione democratica. Quest’ultima continua, invece, a essere incarnata da un popolo, unica fonte della sovranità, quando esso si riconosce e si manifesta come tale.

“Il Macronismo: un odio ben organizzato per la democrazia”

La filosofa Barbara Stiegler evoca l’esercizio del potere di Emmanuel Macron, un uomo «che si è ubriacato del suo potere, al punto da far precipitare l’intero Paese in una crisi senza ritorno».

di Hugo Boursier , 21 marzo 2023

È da un liceo di Bordeaux, da un picchetto dei professori supervisori del diploma di maturità lunedì 20 marzo, che la filosofa Barbara Stiegler risponde alle nostre domande. Un coinvolgimento nel movimento sociale che lei rivendica. Per lei il modo migliore per capire «questo momento di accelerazione storica» ​​non è osservarlo da lontano o dall’alto, ma prenderne parte.

I suoi ultimi lavori: De la démocratie en pandémie, Gallimard 2021 (traduzione italiana La democrazia in pandemia, Carbonio editore, 2021), Du cap aux grèves, Verdier 2020, Il faut s’adapter : sur un nouvel impératif politique, Gallimard 2019.

Rifiutando di ascoltare la protesta sociale, che visione esprime Emmanuel Macron della democrazia?

Barbara Stiegler: Non credo che abbia una “visione”, nel senso che uno statista avrebbe una comprensione storica degli eventi. Si comporta più come un giocatore di casinò, che ha sicuramente fatto delle cose buone (finanziarie, mediatiche, ecc.), ma che alla fine si è ubriacato del suo potere, al punto da far precipitare l’intero Paese in una crisi senza ritorno.

Per rispondere alla tua domanda, dobbiamo quindi guardare oltre il singolo Macron e i suoi problemi di personalità, per guardare a quello che potremmo definire «la Macronie» o Macronia: un nuovo continente mentale, che ha trionfato con l’immaginazione della pandemia. In Macronia la democrazia è sostituita da un regime elettivo in cui il popolo, considerato irrazionale e incapace di autogovernarsi, deve rinunciare (attraverso le elezioni) a tutto il suo potere.

In Macronia, la democrazia è sostituita da un regime elettivo in cui il popolo deve rinunciare a tutto il proprio potere.

Questa confusione tra democrazia ed elezione culmina nelle parole di Bruno Le Maire [Ministro delle finanze, n.d.r] il 20 marzo su BFMTV, dove dice in sostanza: io sono democratico perché sono stato eletto, quindi so di cosa parlo, conosco la gente. L’ideologia secondo cui l’elezione designerebbe il migliore è vecchia. È stato sviluppato dalla teoria del governo rappresentativo (alla fine del XVIII secolo), contro l’idea democratica.

In questo contesto ideologico, che è ancora il nostro, il rappresentante eletto non può far parte del popolo. Il “popolo” è la massa delle classi inferiori, gente senza istruzione che gli eletti guidano con la pedagogia. Ma se fossimo in una vera democrazia, Bruno Le Maire si stupirebbe di scoprire che lui stesso fa parte del popolo! Ma perché una tale visione lo colga, bisognerebbe ancora che noi potessimo riunirci tutti insieme e che lui fosse obbligato a riunirsi con noi.

È questo che spiega l’implacabilità della Macronia nel minimizzare le manifestazioni?

Sì, naturalmente. Il nuovo liberalismo autoritario, nato negli anni Trenta, ha imposto una cosiddetta “democrazia” in cui ha confuso il “demos” con una massa di individui da educare. Questo è il tema della fabbricazione del consenso da parte delle industrie culturali. La sfida è evitare la violenza armata (dei regimi totalitari dell’epoca) per favorire la via morbida dell’egemonia culturale, quella che prevarrà un po’ ovunque a partire dagli anni ’70.

Ma dalla bocciatura del Trattato costituzionale europeo del 2005, questo metodo non funzionerà più, ed è questo che spingerà il neoliberismo a portare e ad esercitare allo scoperto la violenza. Alla violenza economica occulta si aggiungerà la violenza psicologica (con vessazioni) poi quella fisica (con repressione poliziesca), finalizzata all’isolamento individuale e allo scioglimento di ogni forma di collettività.

Il momento che stiamo vivendo rivela una nuova tappa nella mutazione del neoliberismo: un odio per la democrazia che non esita più a imporre “l’ordine” attraverso la violenza poliziesca e che, così facendo, semina il caos in tutto il Paese.

Sfidare l’egemonia culturale neoliberista non rischia di portare al potere il nazionalismo?

Sì, certo, ma dobbiamo uscire dalla trappola di questa alternativa. Perché può condurci anche verso una primavera democratica, rivolta all’emancipazione e al progresso sociale. Tutte queste potenzialità storiche contraddittorie sono chiaramente di fronte a noi, sono persino in tutti noi, ed è per questo che le persone si stanno unendo.

In questo contesto, lo sciopero è l’invenzione perpetua di mezzi d’azione. La cosa principale è riunirsi e decidere insieme il nostro futuro. Agire in un movimento storico che si inventa ogni giorno e di cui nessuno conosce l’esito. Ecco perché la Macronia è fobica nei confronti delle persone e della loro capacità di riunirsi.

Lo sciopero è l’invenzione perpetua di mezzi d’azione.

Non appena le persone si prendono il tempo per confrontarsi, negli stessi luoghi, può sorgere qualcosa di simile a ciò che gli ateniesi chiamano “demos”. Tuttavia, in una democrazia, quest’ultimo non è né un soggetto, né soggetta ai governanti, né un contropotere da rispettare. È lui, e solo lui, che esercita il potere.

Ma come allora, in Macronia, può sorgere qualcosa come il popolo?

Basta guardare dietro di noi. Ci sono momenti in cui le persone appaiono all’improvviso. Questo è meravigliosamente raccontato dal libro di Éric Vuillard, 14 Juillet. Restituendo attraverso la letteratura il potere della presa della Bastiglia, descrive il momento in cui un gruppo di uomini e donne mobilitati divenne il popolo.

Certo, non tutti i francesi erano presenti quel giorno in Place de la Bastille; ma quelli che sono lì sono davvero i rappresentanti di tutto il popolo. Qualcosa dello stesso ordine potrebbe essere accaduto il 16 marzo in Place de la Concorde. Avremo bisogno di tempo per scoprirlo, ma questa è la domanda che ci si pone.

L’attuale movimento sociale fa riferimento, come i gilet gialli, alla Rivoluzione francese?

Sì, in parte. Si assiste addirittura a una nuova tappa dei gilet gialli, con il riferimento al 1789, alla bandiera francese, alla nozione di sovranità popolare, alla difesa dello stato sociale e dei servizi pubblici. Nel 2018 era il giallo fluorescente dei gilet gialli a brillare in una notte buia. Oggi, su gilet e bandiere, è un’esplosione di colori. Anche se non sappiamo dove ci porterà tutto questo, questi sono già i colori della democrazia.

Introduzione e traduzione di Giulio Gisondi

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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