Il Ciad sta nazionalizzando tutti i beni della multinazionale petrolifera ExxonMobil, compresi i suoi permessi per l’esplorazione di idrocarburi, grazie a un recente decreto varato dal governo. Lo Stato centrafricano ha iniziato a produrre petrolio nel 2003 con il completamento dell’oleodotto che collega i giacimenti meridionali ai terminali della costa atlantica del Camerun. Su tali riserve energetiche ha investito la multinazionale statunitense Exxon, alla guida di un consorzio composto da Chevron e Petronas. L’ultimo progetto petrolifero gestito dal colosso energetico era quello di Doba, una città nel sud del Paese che di recente aveva scoperto i propri giacimenti. Nei mesi scorsi, la multinazionale statunitense era arrivata a un accordo con Savannah Energy per la vendita delle attività condotte in Ciad e in Camerun. L’intesa da 407 milioni di dollari è stata però contestata dalla giunta militare al governo che ha deciso di ricorrere alla nazionalizzazione.
L’operazione di vendita tra le due compagnie era stata condotta “nonostante le espresse obiezioni del governo ciadiano e in barba al suo diritto di prelazione”, fa sapere l’esecutivo, aggiungendo: “il giacimento Doba e l’oleodotto Ciad-Camerun costituiscono beni vitali e sovrani per il Ciad, non possono essere messi a repentaglio da un’operazione irregolare”. Con la nazionalizzazione di una società privata, uno Stato si appropria dei beni e delle concessioni appartenute a quest’ultima. Le nazionalizzazioni, frequenti negli anni ’60 e ’70, sono diventate una rarità soprattutto nei Paesi poveri o emergenti sia per l’ingente influenza politica detenuta dalle multinazionali sia per gli eventuali contraccolpi sull’economia locale. La decisione governativa potrebbe, infatti, frenare gli investitori privati nella regione nonostante il momento di crescente domanda globale di energia. La sfida più grande sarà la gestione efficiente della produzione petrolifera, nonché un maggior riguardo nei confronti della popolazione che attualmente incontra diverse difficoltà nell’accedere al petrolio e dunque a un approvvigionamento energetico stabile.
L’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite classifica il Ciad come il settimo paese più povero del mondo, con l’80% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. Le accuse sono rivolte sia all’azione esterna, con gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) volti allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi senza alcun riguardo per lo sviluppo socioeconomico del Paese, sia a quella interna, in balia della corruzione e dell’instabilità politica. Il Ciad, che attende le elezioni, è attualmente governato da una giunta militare con a capo Mahamat Deby, succeduto al padre Idriss Deby nel 2021. Il regime autoritario di quest’ultimo è iniziato nel 1990; durante i successivi tre decenni si è assistito a una erosione della democrazia oltre che al dilagare della corruzione e al clientelismo.
Con Idriss Daby al governo, i legami tra il Ciad l’ex colonizzatore francese sono stati sempre stretti, tanto che al suo funerale era presente il presidente Emmanuel Macron. La scomparsa del dittatore ciadiano è stata descritta da Parigi come: «la perdita di un coraggioso amico che aveva cercato pace e stabilità per tre decenni». Nel 2006 e nel 2008 la Francia ha fornito il proprio supporto militare a Deby per salvarlo dai ribelli che stavano per raggiungere la capitale N’djamena. Scenario simile anche nel 2019, quando Parigi non esitò a schierare le truppe dell’operazione Barkhane, utilizzando quindi il pretesto della “lotta al terrorismo”, per evitare il rovesciamento di un governo amico. Supporto dettato dalla volontà di avere ancora voce in capitolo nella regione, sia dal punto di vista geopolitico sia dal punto di vista economico, dal momento in cui il Ciad è uno dei Paesi della Françafrique e utilizza ancora il franco CFA come valuta ufficiale.
[di Salvatore Toscano]