Nel corso degli ultimi 30 anni la sinistra ha ceduto sul terreno dell’egemonia culturale abdicando proprio dal punto indicato nella concezione di fondo elaborata da Gramsci su questo tema.

Per cercare di colmare il vero e proprio vuoto che si è creato Si tratterebbe di oltrepassare l’idea del semplice intreccio tra forza e consenso e di porre l’obiettivo di individuare le forme che dovrebbero regolare i comportamenti delle diverse soggettività politiche a partire dalla comprensione delle loro funzioni produttive, delle loro caratteristiche morali e capacità progettuali nell’espressione opposta a quella della politica – potenza.

Non si è chiusa la transizione aperta dalla distruzione delle forme politiche di massa organizzate – appunto – sulla connessione tra funzioni produttive, caratteristiche morali e capacità progettuali.

In questa vera e propria “impasse” si è infilata una destra populista fondata sulla forza dell’immagine e propugnatrice di un individualismo proprietario e consumista che è penetrato nel profondo della cultura politica del Paese.

La destra ha negato l’internazionalismo in una visione “proprietaria” di una identità ben permeata di venature egoistiche, isolazioniste e razziste: a sinistra l’aver adottato l’idea globalista in chiave di esaustività del mercato e di concezione della politica come pura competizione di potere ha fatto il resto e sono così sorti mostri come quello del PD a trazione renziana e poi del M5S.

Per far fronte a questo stato di cose appare del resto del tutto insufficiente cercare di ritornare a un “capitalismo dal volto umano” mutuato sul modello “radical” USA, ponendo al centro il tema dei diritti civili individuali.

“Capitalismo dal volto umano” cui si dovrebbero affidare le grandi transizioni in atto come quella ecologica e quella digitale: una visione del tutto insufficiente tanto più in tempi di guerra quali quelli che stiamo vivendo.

Nello specifico della vicenda italiana la destra sta tentando un vero e proprio salto di qualità., in una fase nella quale ha acquisito una dimensione elettorale maggioritaria grazie ad una vera e propria “fuga dalla politica” ( e quindi dalle urne) da parte di intere generazioni ormai diseducate dall’impegno collettivo.

La destra italiana, assunta caratteristiche di più definita identità storica e appoggiandosi a elementi di contesto internazionale molto favorevoli in Europa e fuori d’Europa sta provando a stravolgere la “narrazione storica” e a proporre una visione culturale ambiziosamente egemone di vera e propria “imposizione identitaria”.

A questa operazione va prestata grande attenzione e capacità d’analisi non limitandoci,nel piccolo della vicenda interna ai nostri confini, a osservare il tentativo di ricostituzione dell’unica famiglia politica anticostituzionale che agì nel periodo dall’immediato dopoguerra agli anni’90: il Movimento Sociale Italiano.

Si sta svolgendo in queste ore un convegno denominato “Stati Generali della Cultura Nazionale” i cui contenuti di dibattito non possono essere ridotti soltanto al tentativo di scattare una sorta di “foto di famiglia” del mondo cresciuto dentro e intorno a quello che fu l’MSI e di cui FdI appare come erede diretto.

Va sottolineato il fatto ben evidente che FdI valuta l’operazione AN soltanto come una variante tattica di tipo opportunistico :iniziativa quindi ben diversa sul piano ideologico e storico di quella che, poco tempo prima, aveva portato alla liquidazione del PCI; partito questo, è bene ricordarlo perchè di questo punto sembra smarrita la memoria, pienamente “costituzionale”.

L’operazione in corso da parte della destra non può essere semplicemente catalogata come vorrebbe qualcuno come tesa a reclamare spazio per le idee conservatrici: infatti nella lettura corrente non emergono soltanto ombre del neofascismo ma anche spunti di legittimazione dei momenti più drammatici imposti dalla destra alla recente storia d’Italia ( i fumetti della “controstoria della Strage di Bologna” o i romanzi della collaborazione di La Rochelle e Rebatet).

Il MSI è stato sicuramente utilizzato dalla DC in alcune fondamentali operazioni parlamentari come quella relativa al governo Tambroni o in occasione di elezioni presidenziali : ne restano pagine oscure per la democrazia a cavallo della strategia della tensione, della rivolta di Reggio Calabria e oltre.

Nel passaggio MSI – FdI e nella relativa costruzione di una egemonia della destra non si deve dimenticare, anzi va sottolineato, il dato della continuità sul tema dirimente del razzismo e non soltanto perché Almirante, tornato a brillare in quel Pantheon, fu segretario di redazione della “Difesa della Razza” di Interlandi.

La derivazione storica del MSI e di conseguenza di FdI è da assegnare all’adesione alla Repubblica Sociale da parte dei dirigenti che poi nel 1946 furono promotori della formazione neo-fascista.

L’adesione alla Repubblica Sociale fu un fatto che col tempo molti hanno derubricato come atto individuale di affermazione di continuità nell’onore della difesa della Patria( “i ragazzi di Salò”): in realtà rappresentò una scelta politica di una parte dell’ex-gruppo dirigente del PNF particolarmente legato al nazismo.

Una scelta che deve ancora essere considerata di piena corresponsabilità con il regime hitleriano e, soprattutto, alle scelte finali di quel regime. come molti possono credere di una scelta La scelta di Salò non fu una scelta”conservativa” ma di una affermazione ideologica che aveva nel razzismo e nella vendetta verso i “traditori” italiani una sua profonda scaturigine.

Un senso di “vendetta” che si può ancora ben vedere in certi atti e atteggiamenti assunti dalla destra italiana oggi al potere.

Dal punto di vista nostro della democrazia costituzionale forse è il momento di ripensare ad alcune questioni come quella del rapporto tra Resistenza come lotta all’invasione nazista e Resistenza come guerra civile come è stato stabilito (probabilmente con una certa dose di “ottimismo storico”) nel testo di Pavone sulla “moralità della Resistenza” i cui concetti di fondo andrebbero probabilmente rivisitati criticamente.

Nel momento in cui appare necessario rafforzare l’opposizione si tratta di comprendere che nella radicalità delle contraddizioni in atto non soltanto sul piano economico – sociale deve ritrovare posto una forte identità costituzionale sul terreno già ricordato della “connessione morale” con l’identità della Resistenza e dell’antifascismo.

Identità costituzionale, resistenziale, antifascista intesa come leva di un rinnovo di egemonia democratica.

Identità da affermare nei suoi punti più alti in cui questa è stata espressa all’interno della prima parte del testo elaborato dall’Assemblea Costituente: testo cui appoggiare con grande forza una controffensiva ideale e culturale da organizzare molto rapidamente ma della quale si intravvedono ancora scarsi elementi di consapevolezza.

Appuntamento allora al 25 aprile.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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