La delegazione diplomatica dell’Arabia Saudita è arrivata nella capitale yemenita Sana’a, nonché roccaforte dei ribelli Houthi, per discutere un accordo di pace definitivo. Si tratta di un passo storico, che potrebbe far cessare una guerra quasi decennale che in Yemen ha dato origine alla peggiore crisi umanitaria in corso al mondo. Tra marzo 2015 e settembre 2021, nel Paese si sono registrati infatti circa 10 attacchi aerei al giorno, che hanno causato l’uccisione o il ferimento di oltre 18.000 civili. Nel 2014 il movimento ribelle musulmano sciita Houthi prese il controllo della capitale costringendo il presidente Abdrabbuh Mansour Hadi all’esilio; qualche mese dopo, nel marzo 2015, il conflitto si internazionalizzò attraverso la partecipazione della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita. Quest’ultima, sostenuta dalla comunità internazionale, si schierò a favore del presidente Hadi bollando le forze Houthi come dei terroristi sostenuti dall’Iran. L’attuale riavvicinamento verso un accordo di pace segue proprio la decisione di Riad e Teheran di riallacciare, su mediazione di Pechino, le relazioni diplomatiche.

Con l’internazionalizzazione, il conflitto in Yemen è diventato uno dei tanti tasselli che compongono il mosaico delle tensioni geopolitiche del Medio Oriente. Un braccio di ferro tra Paesi a discapito dei civili, che si sono ritrovati a fare i conti con carenza di cibo, acqua potabile, assistenza sanitaria, nonché con la diffusione di massicce epidemie di colera e difterite. Il venir meno della tensione principale del conflitto internazionalizzato – ovvero l’attrito tra Arabia Saudita e Iran, nemici storici in lotta per l’egemonia della regione che lo scorso marzo hanno siglato uno storico accordo di pace e cooperazione – ha aperto uno spiraglio nella risoluzione del conflitto yemenita. Secondo quanto riportato da Reuters, l’accordo potrebbe essere annunciato prima della festa musulmana di Eid al Fitr, che segna la fine del Ramadan, celebrata quest’anno il 21 aprile. Il piano saudita prevede l’estensione del cessate il fuoco in vigore in Yemen, dunque il termine della guerra e dell’interferenza di Riad nel Paese. In cambio, si chiede il versamento dei salari ai dipendenti, l’unificazione della moneta, l’apertura completa del porto di Al-Hudaydah e l’avvio del processo di ricostruzione dello Yemen. A tal proposito, la delegazione diplomatica saudita dovrebbe presentare ulteriori dettagli volti alla normalizzazione del rapporto tra le forze Houthi e quelle governative, in modo da spegnere definitivamente il conflitto che da quasi dieci anni, anche con la complicità dell’Italia, viste le forniture di armi vendute ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, insanguina la regione.

Nel frattempo, la coalizione militare guidata da Riad ha revocato le restrizioni navali che erano state estese nel corso degli anni, permettendo alle navi commerciali yemenite di attraccare direttamente nei porti del sud, dove le truppe di Abu Dhabi avrebbero iniziato la ritirata. Abu Bakr Adeed, vice capo della Camera di Commercio dello Yemen, ha sottolineato che adesso, per la prima volta dal 2015, le navi non dovrebbero più fermarsi nel porto saudita di Jeddah per sottoporsi ai controlli di sicurezza. Il funzionario ha aggiunto che, d’ora in poi, più di 500 tipi di prodotti potrebbero tornare in Yemen attraverso i porti meridionali poiché rimossi dalle liste nere della coalizione militare.

Raggiungere un accordo di pace in Yemen vorrebbe dire per gli Stati Uniti perdere definitivamente la presa sul principale alleato in Medio Oriente, l’Arabia Saudita. Negli anni del conflitto, Washington ha infatti supportato la coalizione guidata da Riad proprio per la natura anti-iraniana della stessa, alimentando di fatto la tensione tra i due Paesi. Il riavvicinamento con l’Iran prima e la presentazione di un piano di pace per lo Yemen poi esprimono la volontà di allontanarsi dall’alleato statunitense per inaugurare una nuova fase geopolitica nella regione, con tanto di beneplacito da Pechino. «La ripresa delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran è un importante passo avanti per la stabilità e la prosperità regionale», ha dichiarato il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed Al Nahyan, in riferimento all’accordo siglato lo scorso marzo da Riad e Teheran. Pechino, in virtù della sua forte vocazione commerciale (la Cina è il primo produttore manifatturiero mondiale), ha tutti gli interessi nel favorire la stabilità, nonché la prosperità economica che ne deriva, in Medio Oriente e non solo, come dimostra l’impegno diplomatico nel conflitto ucraino. La Cina, che vanta ottimi rapporti con l’Iran, ha aperto dunque all’Arabia Saudita incaricandosi lo scorso marzo della mediazione tra le parti. Inoltre, il ministro degli Esteri Qin Gang, durante un incontro con il suo omologo saudita Faisal Farhan Al Saud, ha dichiarato che la Cina è favorevole alla rapida adesione dell’Arabia Saudita ai BRICS. A margine del colloquio, avvenuto pochi giorni fa, Gang ha sottolineato che Pechino vuole impegnarsi con Riad «per difendere un mondo multipolare e contribuire ad aumentare l’influenza dei Paesi in via di sviluppo nella risoluzione delle questioni internazionali». Alla rottura del mondo a guida unipolare abbiamo dedicato il Monthly Report numero 12.

[di Salvatore Toscano]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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