Le elezioni regionali in Friuli-Venezia Giulia hanno confermato i due trend della politica nazionale, ovvero una crescente sfiducia nelle istituzioni della democrazia rappresentativa e la rivalità tra le forze di governo.
Mentre scriviamo questo articolo, il governo di Giorgia Meloni, il più a destra della storia repubblicana, ha compiuto i 170 giorni dal suo insediamento, un tempo relativamente breve, ma nel quale due trend hanno caratterizzato la politica nazionale: la crescente sfiducia nelle istituzioni e una malcelata rivalità tra le forze che compongono la maggioranza.
Quella della sfiducia degli italiani nelle istituzioni della democrazia rappresentativa borghese è una storia che va avanti da tempo. La nascita e l’ascesa del Movimento 5 Stelle sembravano aver parzialmente fermato l’emorragia di partecipanti al gioco delle elezioni, ma, dopo l’esperienza governativa dei pentastellati, anche coloro che erano rimasti imbrigliati nell’illusione della retorica populista grillina sono tornati a rifiutare il proprio diritto di elettorato attivo.
Tra il 2 e il 3 aprile, le elezioni del Friuli-Venezia Giulia hanno confermato il trend, facendo segnare il record negativo di affluenza alle urne per la regione nord-orientale, pari al 45,27% degli aventi diritto. Ancora una volta, il partito vincitore è stato quello dell’astensionismo, come accaduto nel Lazio e in Lombardia a febbraio, dove la proporzione degli astensionisti ha raggiunto addirittura i due terzi. Tuttavia, la politica nazionale e regionale continua a tacere su questo dato clamoroso, che invece dovrebbe portare ad un ripensamento completo della democrazia rappresentativa borghese che caratterizza i Paesi in cui vige il regime economico capitalista.
Se quella di Massimiliano Fedriga in Friuli può sembrare una vittoria schiacciante, con il 64,24% dei voti validi a suo favore, questa impressione viene ampiamente ridimensionata quando il dato viene presentato sul totale degli aventi diritto. Solamente il 29,08% dei friulani, infatti, ha votato per il presidente regionale in carica (e non “governatore”, come si sente sovente dire, americanizzando la politica italiana). Quanta legittimità può dunque avere un’amministrazione regionale che gode del sostegno di meno di un terzo della propria popolazione?
Sempre le elezioni friulane ci offrono una dimostrazione dell’altro trend che abbiamo sottolineato in apertura di questo articolo, ovvero la forte rivalità esistente tra le formazioni che compongono l’attuale maggioranza, in particolare tra la Lega e Fratelli d’Italia. In Friuli, i leghisti hanno ottenuto una manciata di voti in più rispetto al partito del presidente del Consiglio, il che potrebbe portare Matteo Salvini ad avanzare nuove pretese negli equilibri interni all’esecutivo. Non è un segreto, del resto, che Meloni è Salvini abbiano posizioni divergenti su alcune tematiche importanti, anche se non è ancora venuto il momento di parlare di una possibile crisi di governo.
La situazione potrebbe ulteriormente peggiorare nel caso di un’eventuale uscita di scena di Silvio Berlusconi, al momento alle prese con gravi problemi di salute che, vista l’età avanzata, potrebbero portarlo ad abbandonare la vita politica, anche nel caso di un esito positivo delle cure. Pur essendo il leader della terza forza in campo, Berlusconi ha avuto un indubbio ruolo federatore all’interno del centro-destra, propiziando la nascita dell’attuale governo. Senza la sua figura, le divergenze tra Meloni e Salvini potrebbero diventare difficili da rimarginare.
Le sorti del governo Meloni potrebbero ripercorrere proprio il cammino del primo governo Berlusconi, che durò meno di un anno a causa dell’attrito con l’allora Lega Nord di Umberto Bossi. Il 20 dicembre 1994, furono proprio i leghisti, insieme alle principali forze dell’opposizione, a presentare una mozione di sfiducia nei confronti dell’esecutivo, costringendo Berlusconi a rassegnare le dimissioni. Costui promise che non si sarebbe mai più alleato con Lega, salvo poi ripensarci qualche tempo dopo, ma questa è un’altra storia.
Allargando lo sguardo, la situazione politica italiana non è molto dissimile da quella di altri Paesi europei, che negli ultimi anni sono stati alle prese con un forte calo della partecipazione elettorale e con difficoltà sempre crescenti nella formazione di maggioranze stabili di governo. L’esempio più lampante, in questo periodo, è quello della Bulgaria, dove la crisi politica ha portato alla convocazione di cinque tornate elettorali nell’arco di due anni, ma nel passato recente anche Paesi generalmente etichettati come “virtuosi”, come la Svezia, sono passati per fasi di questo tipo. Ad essere in crisi è infatti l’intero modello politico ed economico del mondo occidentale: sia la democrazia rappresentativa borghese che il capitalismo si stanno rivelando sempre più inadeguati ad affrontare le sfide del XXI secolo, il tutto in un’Europa dove le decisioni più importanti vengono prese in base agli ordini ricevuti da Bruxelles e Washington, mettendo a nudo l’ipocrisia di un gioco elettorale che ha sempre meno valore agli occhi del popolo.
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