La discussione sull’invasione russa dell’Ucraina è bloccata da una polarizzazione surreale, capace di trasformare un fenomeno serio e contraddittorio come la guerra in una disputa da stadio tra opposte tifoserie, dai tratti nemmeno più moralistici, ma ormai solo estetici.
Si discute di guerra come allo stadio
Professarsi pro o contro l’invio degli armamenti all’Ucraina o dell’embargo energetico del gas russo somiglia alle tante prese di posizione emozionali e transitorie, di cui i social network sono teatro.
Questo vale anche per coloro che si sforzano di ragionare e di rafforzare le proprie tesi con dati e riferimenti concreti. In parte si tratta dell’esito dell’estinzione della politica italiana.
Mancano i partiti, mancano i corpi intermedi e le organizzazioni in grado di raccogliere gli umori popolari per trasformarli in istanze politiche.
Strettamente connessa alla crisi della politica è poi l’assenza di una visione strategica del paese. Il neoliberalismo ha creato il deserto. Le culture politiche che dovrebbero dare una direzione morale e politica al paese sono scomparse (socialista e comunista) o lasciate in una condizione residuale (cattolica).
Domina incontrastato il neoliberalismo, abile nel separare la sfera sociale, economica e geopolitica, da quella relativa ai diritti individuali. Mentre la prima è stata sottratta dalla decisione democratica per essere data in gestione a soggetti non eletti, la seconda appare sovrarappresentata.
In Italia si parla più (più di quanto sarebbe opportuno) di schwa che di morti sul lavoro, più di bagni bisex che di questioni energetiche, più del diritto delle adolescenti di mostrare l’ombelico che dello stato disastroso in cui versano la scuola e l’università italiane.
In questo contesto, qualsiasi discussione sulla guerra assume una parvenza inconsistente e confusa, in cui i ragionamenti più sciocchi di un Massimo Gramellini qualsiasi hanno la stessa dignità intellettuale delle riflessioni più acute e misurate di Lucio Caracciolo