Il governo Meloni tutelerà la “moderazione della crescita salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi”, come si legge nel comunicato stampa dell’ultimo Consiglio dei ministri. In poche parole, gli stipendi devono crescere poco perché tanto, prima o poi, l’inflazione si arresterà risolvendo il problema. A pagarne le spese, nel frattempo, è il potere di acquisto degli italiani che per sopravvivere tra inflazione e caro vita devono attingere ai propri risparmi. Dopo quattro anni di aumenti costanti, nel 2022 il saldo totale dei conti correnti delle famiglie è infatti diminuito di quasi 20 miliardi di euro. In continuità con la linea della “moderazione”, il governo Meloni ha deciso di destinare 3 miliardi di euro al taglio del cuneo in busta paga relativamente al periodo maggio-dicembre 2023. Ciò dovrebbe portare nelle tasche dei lavoratori con un reddito inferiore ai 25mila euro circa 25-30 euro lordi mensili (tra i 300 e i 360 annui).

Il supporto “moderato” alla crescita dei salari, nell’unico Paese europeo in cui gli stipendi sono diminuiti negli ultimi 30 anni, s’inserisce nel più ampio quadro di riduzione della spesa pubblica. Stretto tra i vincoli europei, l’esecutivo ha sottolineato come il rapporto tra il deficit (differenza tra entrate e uscite) e il PIL raggiungerà il 3% nel 2025, scendendo poi al 2,5% l’anno successivo. Non a caso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha lanciato, durante le brevi dichiarazioni post-Consiglio dei ministri, un messaggio a Bruxelles, affermando che è con il percorso tracciato dal Documento di economia e finanza (DEF) che «si presenta in Europa». Al contrario dei colleghi europei, che hanno deciso di tirare i remi in barca, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha battuto una strada diversa, segnata da serie misure di sostegno ai più deboli che stanno aiutando il Paese iberico a combattere la povertà e a spingere la crescita economica. Lo scorso dicembre, il governo spagnolo ha annunciato l’azzeramento dell’IVA sui beni alimentari di prima necessità e tre mesi dopo ha innalzato il salario minimo a 1080 euro (+8%). L’inflazione nel Paese registrata a marzo è stata del 3,3%, a fronte del 7,7% nell’Unione europea.

Il grande assente delle politiche economiche del governo Meloni è il superamento, ampiamente sponsorizzato in campagna elettorale, della legge Fornero. Da settimane, il tema pensionistico è scomparso dall’agenda dell’esecutivo, con l’ultimo incontro con i sindacati risalente al 13 febbraio scorso. Resta, così, il sistema transitorio inserito in Manovra e valido soltanto per il 2023 che permetterà di andare in pensione prima dei tempi stabiliti dalla Fornero: la famosa Quota 103 che consente di accedere alla pensione avendo almeno 62 anni di età e 41 di contributi. Nella stessa Manovra, la maggioranza ha deciso di fare cassa sui pensionati (10 miliardi di euro fino al 2025) bloccando la piena indicizzazione di tutte le pensioni. A ciò si è aggiunta la mancata promessa di alzare le minime a 1000 euro, ferme invece a 563,73 euro (+38,5 euro), e la mutilazione di Opzione donna. I nuovi requisiti per accedere alla misura introdotta nel 2004 e prorogata dai governi successivi hanno ridotto infatti la platea di beneficiarie da 17mila a meno di 3mila

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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